è comodo che decidano per lei, ma non è quello che vuole.
Martha vede sempre minacce, non riesce a essere tranquilla, è una corda di violino, nei suoi pensieri e nelle sue parole, non può mai essere controllata.
vaga per il mondo in cerca di qualcosa che non trova mai, quella setta schifosa sembrava una soluzione, è solo uno schifo in più, e lei non sarà mai pacificata.
la colonna sonora è inquietante, per una storia che di sereno ha poco e niente.
non sappiamo come finirà il film, dopo la parola fine.
film da non perdere - Ismaele
ps; Sean Durkin è il regista di un altro gran film che ho visto, Southcliffe
Un titolo. Tre nomi. Una protagonista.
Basterebbe questo per spiegare come l'esordio di Sean Durkin, regista e sceneggiatore di Martha Marcy May Marlene (titolo originale de La fuga di Martha) non è la storia di una ragazza in fuga da una sorta di setta della quale era stata volontaria prigioniera per due anni, ma quella di una ricerca identitaria. Disperata e universale…
Basterebbe questo per spiegare come l'esordio di Sean Durkin, regista e sceneggiatore di Martha Marcy May Marlene (titolo originale de La fuga di Martha) non è la storia di una ragazza in fuga da una sorta di setta della quale era stata volontaria prigioniera per due anni, ma quella di una ricerca identitaria. Disperata e universale…
…Durkin si concentra sulla perdita di identità, sulla decostruzione
sociale di un essere umano, sull’effimero e innocente sentimento di famiglia,
che sfocia in atrocità e violenze imponderabili e sulla riproposizione forzata
della distinzione di gender, nella quale
l’uomo può permettersi di sottomettere la donna. Martha compie, attraverso un
rito di purificazione, un percorso di vita disdicevole e non è consapevole
della sua situazione estrema, che non gli permette di valutare lucidamente la
sua condizione umana. Difatti la rabbia ribollente, che si riversa in atti di
follia distruttiva, monta lentamente e in modo evidente si manifesta nelle
sequenze conclusive della pellicola. Infatti si rimane abbastanza basiti e
interdetti nel momento in cui Martha non esplicita il suo turbamento nelle
scene iniziali, come se quei ricordi rappresentassero la normalità.
Durkin, accompagnando la sua pellicola con lunghissimi silenzi, non
permette alla musica di far capolino in questo dramma straziante, che rimane
abilmente sospeso in un finale che indugia sul volto spaventato e privo di
certezze di Martha. In conclusione si può affermare che La fuga di Martha è un angosciante spaccato
vitale, una compiuta opera prima, che fa sfoggio di uno stile che rifugge una
ripresa instabile per concentrarsi con assoluta fermezza sui dettagli
funzionali e necessari per sviluppare la vicenda. Durkin mette in mostra una
giovane senza identità destinata alla completa privazione di una possibilità di
costruirsi serenamente la propria vita. Un personaggio che sarà per sempre
Martha, Marcy May e Marlene.
da qui
…Her early life made her insecure in her self-image. First she was taught the sunny good things (working on the farm, preparing meals, caring for babies, meditating) and then, slowly, introduced to the bad ones (all the women are expected to sleep with Patrick). This is rape in the sense that they have no choice, but Patrick is so effective that they are mind-controlled into the illusion that it is their desire. Later, Martha even helps prepare another girl for the initiation. Group unanimity is the overarching reality; there is enormous pressure to fit in and go along. And it is very hard, Martha discovers, to leave.
Ottima pellicola sul disagio psichico di una
ragazza fuggita da una comunità "alternativa", sulla difficoltà di
tornare indietro ad un modo di vivere che si era rifiutato, per doverlo
successivamente ricercare per la durezza psicologica di quello alternativo. E'
il ritratto di una ragazza profondamente sola, manipolata fin nel suo intimo,
che ha troncato il suo passato tormentato per dedicarsi anima e corpo alla
comunità.
E' lo svuotamento di una volontà incapace di ricominciare dopo una pausa lunga due anni, incapace di comunicare il suo disagio condannandola ad una eterna fuga.
Notevole esordio di questo Sean Durkin che descrive a 360 gradi il disagio di questa ragazza alternando per assonanza immagini presenti con il passato recente di Martha. Eccellente la prova della protagonista esordiente Elisabeth Olsen capace di rendere appieno con il solo sguardo il trauma violento della sua esperienza vissuta. Un esordio non facile, superato a pieni voti.
E' lo svuotamento di una volontà incapace di ricominciare dopo una pausa lunga due anni, incapace di comunicare il suo disagio condannandola ad una eterna fuga.
Notevole esordio di questo Sean Durkin che descrive a 360 gradi il disagio di questa ragazza alternando per assonanza immagini presenti con il passato recente di Martha. Eccellente la prova della protagonista esordiente Elisabeth Olsen capace di rendere appieno con il solo sguardo il trauma violento della sua esperienza vissuta. Un esordio non facile, superato a pieni voti.
… Quella di non dare risposte è una
scelta audace e assolutamente rispettabile; ma se a latitare sono anche le
domande e quegli interrogativi necessari per andare al di là di ciò che stiamo
vedendo, la delusione è una conseguenza quasi inevitabile.
Non basta una confezione impeccabile e delle interpretazioni di tutto rispetto (se Elizabeth Olsen è una scoperta, John Hawkes è o almeno dovrebbe essere una conferma).
Il film attende per tutta la sua durata un cambio di passo che non avviene mai: l'eterna attesa è affascinante, ma resta in zone ombrose che non riusciamo a cogliere. Scegliere la strada del non detto non dovrebbe equivalere alla realizzazione di un film che dice poco.
Non basta una confezione impeccabile e delle interpretazioni di tutto rispetto (se Elizabeth Olsen è una scoperta, John Hawkes è o almeno dovrebbe essere una conferma).
Il film attende per tutta la sua durata un cambio di passo che non avviene mai: l'eterna attesa è affascinante, ma resta in zone ombrose che non riusciamo a cogliere. Scegliere la strada del non detto non dovrebbe equivalere alla realizzazione di un film che dice poco.
Batte
sentieri impervi l’opera prima di Sean Durkin,
viottoli cinematografici contraddistinti da trappole nascoste alle quali è
quasi impossibile sottrarsi, nonostante la buona volontà. E il talento. Ultima
next big thing in ordine di tempo a presentarsi con il tagliando di made in
Sundance, Martha Marcy May Marlene è un
film che fa del suo fascino elementare l’elemento maggiormente forviante: la
dimostrazione pratica di una promessa precocemente già etichettata come
fuoriclasse. Il primo Durkin è
patrimonio sfuggente, invitante e al tempo stesso incompiuto, in quanto saturo
di ogni caratteristica propria di certe pellicole festivaliere: pregi molti,
difetti altrettanti. Se non di più. La fuga di Martha s’impossessa
di quasi tutto l’alternative statunitense che conta(va?): una protagonista che
sembra arrivare dritta dall’esordio di Sofia Coppola, una
macchina da presa che la guarda fuggire di spalle alla maniera di Aronofsky, una cabina telefonica qualunque in un
esterno giorno qualsiasi stile Van Sant: da
qualche parte, poco lontano da New York. E poi (tanto) altro…
…La fuga di Martha conta su una messa in scena ineccepibile, fatta di lunghi silenzi, regia
rigorosa, musiche minimaliste. Un crescendo di tensione che mantiene vigile l'attenzione
dello spettatore nonostante la lentezza del ritmo. L'inquietudine non lascia
mai spazio alla risoluzione: è impossibile capire le motivazioni di Martha,
divisa tra il terrore muto che prova nei confronti di Patrick e l'ammirazione
verso l'unico uomo che le abbia mai dato fiducia. Il finale lascia tutto in
sospeso: starà al pubblico capire se Martha sia finalmente libera e proiettata
verso il futuro, oppure se “qualcuno” le stia ancora dando la caccia…
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