vi farà correre a 100 all'ora, come nelle montagne russe, seguirete Howard nelle poche ore e giornate in cui è concentrata la storia.
Howard ha mille difetti, il primo è che non sa stare solo con se stesso, e quando ci riesce è solo perchè si nasconde, ma lo trovano sempre, un altro grande difetto è che è un giocatore d'azzardo come pochi, e il tempo, che lui vorrebbe amico, è una clessidra implacabile.
se fosse diverso non sarebbe così, e Dostoevskij ne trarrebbe grande ispirazione, se volesse conoscere un giocatore nel nostro mondo di oggi, nell'ombelico del mondo che è una New York che non dorme mai, dove tutto si può avere e perdere in un secondo.
buona, immancabile, visione - Ismaele
…questo è uno di quei
casi in cui la velocità del tutto non crea noia ma, al contrario, attenzione,
atmosfera, tensione.
Magari ci sono anche altri film "veloci" che danno queste
sensazioni agli spettatori (altrimenti i botteghini non premierebbero solo la
spazzatura) ma qui siamo davanti ad una rapidità di cinema volta a chi il
cinema lo ama, non agli estimatori- legittimi eh - dei Luna Park.
Credo di trovarci davanti ad una specie di miracolo di sceneggiatura e di regia
perchè girare un film videoclipparo (madò se è abusato sto termine... ma ancora
oggi mi sembra uno dei più azzeccati) che causa nello spettatore le stesse
sensazioni del grande cinema d'autore è impressionante.
Il film comincia e poi finirà senza che te hai quasi respirato. E in tutto
questo fai pure in tempo a provare tensione, ad apprezzare la recitazione, la
sceneggiatura, le musiche.
Magari non ci sono tante tematiche, quasi nessuna, ma che cazzo ce ne
frega, intanto siamo entrati in una Ferrari e abbiamo fatto un giro della
città, una bellissima città, con alla guida Michael Schumacher.
Sempre un lettore ha tirato fuori (se l'abbia letto da qualche parte non
so), il termine "multitasking".
Perfetto.
Questo è il prototipo di un cinema multitasking, un cinema che
contemporaneamente racconta di più cose, un cinema in cui i dialoghi, diversi
dialoghi, si intervallano continuamente uno sopra l'altro, in cui le vicende,
diverse vicende, si intervallano continuamente una sopra l'altra, un film dove
noi non siamo altro che il nostro protagonista, ovvero uno che deve portare
avanti 5 cose contemporaneamente cercando di non impazzire, ascoltando tutto
con le orecchie, seguendo tutto con gli occhi, elaborando tutto con la testa.
Se c'è spaesamento, se a volte non capiamo chi parla, chi è quello, che
voleva l'altro, tutto questo caos non è un errore ma, anzi, la perla del film,
un film che racconta la confusione di una vicenda, di un uomo, di un'intera
città che non riesce a dormire o pacificarsi.
Tutto è così overload che la coscienza alla fine si perde, che se hai fatto
30 non fai 31 ma 200…
…Scandito dalle musiche ipnotiche di Daniel Lopatin (conosciuto anche come
Oneohtrix Point Never e già autore dello score di Good Times),
costruito attorno agli spostamenti frenetici di Howard, alle sue conversazioni
sguaiate, alle sue disavventure che esplodono in improvvisi picchi di violenza,
aperto da una sequenza in una miniera etiope a cui segue un flusso di immagini
lisergiche che dalle viscere della Terra conduce (letteralmente) alle viscere
del protagonista, Uncut Gems - cioè gemma grezza, non
tagliata e forse senza valore come la vita di Howard - è un trip visivo e
sensoriale che per più di due ore conduce nel caos di uomo irresistibilmente e
stupidamente attratto dall'azzardo e dalla sfida a sé stesso («Questo è il
bello di scommettere, cazzo: io, un fan dei Knicks, che punta tutto sui
Celtics...»).
Come ammesso dagli stessi registi, per cui «ogni film
precedente è stato una tappa d'avvicinamento a questo film», Uncut
Gems è la summa del cinema dei fratelli Safdie, mai così bravi a richiamare
i loro modelli (i soliti Cassavetes e Scorsese, qui
produttore esecutivo, ma anche PT Anderson, James Gray o
il JC Chandor di 1981: Indagine a New York); mai così
precisi nel raccontare il legame fra un personaggio e il suo ambiente; mai così
attenti, ancora, a legare le loro vicende paradossali alla realtà (la
straordinaria scena finale ruota attorno alla gara 7 delle semifinali di
Conference della NBA del 2012 tra Boston Celtics e Philadelphia 76ers).
E finalmente maturi abbastanza da allargare il loro
sguardo da un mondo di disadattati e sconfitti a un'intera città, o un intero
paese, in perenne movimento, violento, spietato, grottesco, disperatamente
legato al denaro.
…Non è tanto un film sull'avidità, come si potrebbe
pensare dato il contesto, quanto sull'innato bisogno degli esseri umani
di trovare una sfida adeguata che dia loro la forza di proseguire. A
volte questo istinto può portare all'eccesso, come nel caso di Howard Ratner.
Diamanti grezzi è dunque anche un film
sulla dipendenza dal gioco: Howard non smette mai di scommettere, anche quando
vince. Anzi, una vittoria per lui è solo un risultato su cui investire
ulteriormente, alla ricerca costante dell'adrenalina che deriva dalla
consapevolezza di aver battuto le probabilità…
…La regia è
perfetta nel mostrare la caotica ed alienante New York, la sceneggiatura è
perfetta nel raccontare questo progressivo e grottesco delirio, dove anche la
sacralità pagana viene posta al centro della discussione con un fare quasi
comico, incarnato proprio nello scaramantico Garnett. Un costante gioco di
microcosmi che si incontrano e si scontrano inevitabilmente, sempre con il
sorriso di Sandler stampato sul volto, nonostante l’effetto domino è sempre in
procinto di schiacciarlo.
Diceva Newton che ad ogni
azione corrisponde una reazione uguale e contraria. Ebbene, Diamanti Grezzi prende in
prestito il cinema delle due coste statunitensi per raccontarci la storia di un
mondo, il nostro, dove l’unica cosa che rispetta un ordine è il caos. Che in
fin dei conti, come ci dice Saramago, è solamente ordine che dev’essere ancora
decifrato.
…È impressionante la sicurezza con cui Benny e Josh manovrano
la camera, lavorano sui primi piani, sul montaggio e sulla musica – grazie
specialmente alla grande colonna sonora di Onethrix Point Never -. Uncut
Gems funziona perché come spettatori entriamo dall’inizio
del film all’interno dell’azione, simpatizziamo con Howard e sentiamo il tempo
come lo sente lui…
…Le riprese
forsennate e il montaggio serrato danno un senso di fluidità frammentaria,
tutto avviene con una consequenzialità chiara che in ogni istante fornisce
informazioni sulla mentalità o sul retroscena culturale di Howard, e su come la
sua storia può essere rappresentativa di qualcosa per capire il genere umano e
il nostro mondo. Ma succedono tantissime cose, e molto velocemente, è un po’ un
attacco d’ansia e un po’ una montagna russa nella cocaina. Due ore e un quarto
sembrano tre quarti d’ora. Usando la cinepresa in modo così grezzo ma senza mai
dimenticare le lezioni del cinema classico (e di Scorsese, produttore
esecutivo) sulla relazione nello spazio tra la macchina da presa e la reale
intenzione simbolico-narrativa della scena, questa tachicardia cinematografica
diventa un’esperienza incredibilmente soddisfacente…
…È un film
totalmente dentro alla contemporaneità e ci arriva con una naturalezza che fa
quasi paura, come se stesse raccontando il tipo di personaggi psicologicamente,
moralmente e socialmente ambigui del neorealismo, gli abbandonati che decidono
di andare verso la perdizione, ma sotto un’ottica pop e americana. Non
commercializzando uno stilema ma cercando di innovare un linguaggio, e peraltro
in modo sottile. I Safdie sono colti, amano Mike Leigh ed Ermanno Olmi, il loro
immaginario sarà stato percorso negli anni da migliaia di film e di vite da
spiare e raccontare. I loro protagonisti sono reietti autodistruttivi, ma che
in qualche modo persistono, e forse meritano una qualche trascendenza. E magari
finiscono come vittime, e il mondo direbbe che è giusto così, ma per come il
film è raccontato sembrano perlopiù dei martiri. Sembrano trascendere. La
storia di Howie è la storia di uno sfigato, qualcuno direbbe persino di un
mostro, ma che sopporta una vita, un ritmo, e una propria essenza talmente
incasinate che si merita una redenzione, una soddisfazione, una vittoria. Anche
a costo di tutto il resto. Perché lui è nato in un mondo che ha permesso che
una persona come lui potesse esistere. I Safdie lo sanno scrivere, raccontare,
mostrare, accordare. Sanno mettere in scena la confusione della quotidianità,
l’irrefrenabile natura ansiogena della ripetitività, la noia irritante della
routine e la volatile fugacità dell’adrenalina. Con un prologo e un epilogo di
natura ciclica che suggeriscono una dimensione spirituale/esistenziale che è
giusto che sia solo accennata e mai approfondita vista la natura del
protagonista, Uncut Gems è l’instant-cult americano di cui
avevamo bisogno, non il grande ritorno di un maestro conclamato, non il film
ben fatto ma la cui ambiguità lo rende interpretabile in troppi modi distanti,
non il film sperimentale, non il film sociale, non il grande dramma classico,
non l’esordio che fa discutere: è un film di genere e d’autore, che saltella
tra il sapore dell’amatoriale e la sovrastruttura del film ad alto budget, che
racconta una storia stratificata e spudorata. Mostra un mondo con un’estetica
definita e delinea un personaggio unico e indimenticabile.
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