un villaggio di pescatori viene sempre più abitato nelle vacanze da ricconi, che mettono ai margini gli abitanti del luogo.
è la gentrificazione, modello economico antico, che cambia pelle, si tratta dell'esproprio e del furto da parte dei potenti contro i più deboli.
il film è davvero potente, una piccola storia ignobile che diventa una storia di resistenza, nelle mani di un regista con occhi e tecnica ottimi, e con una sceneggiatura sempre viva.
cercatelo e godetene tutti - Ismaele
…«Fishes
live in the sea, as men do a-land; the great ones eat up the little ones»,
scriveva Shakespeare molti secoli fa, in una legge che pare ancora vigere oggi
nella terra d’Albione, sulle sue rive scoscese. E Bait è
esattamente questo, un turbine ciclico di primi piani strettissimi e campi
infiniti, un montaggio estremo e di attrazioni vorticose, un rutilare di libere
associazioni, figlie dell’avanguardia che fu e nuove rappresentanti delle
tensioni sociali dell’oggi. Il rituale della pesca, filmato copiosamente in
ogni dettaglio, riflette quasi la forma del documentario etnografico o
d’inchiesta, quasi come fosse il necessario (e forse unico possibile) punto di
partenza per tornare a far film in maniera politica nell’Inghilterra post-industriale,
ora nelle briglie ancora sconosciute della Brexit e nelle sue derive
incontrollabili. Jenkin guarda a Kuleshov più che a Ejzenstejn, cerca una
primitività dello specifico filmico donandoci immagini graffiate e
scintillanti, che tremolano costantemente attraverso la luce e che finiscono
dissolte nelle tenebre. Per un’opera assai (e dichiaratamente) derivativa, che
però trova il suo essere in un’impossibile classificazione (soprattutto
attuale), cruda e straniante anche nell’uso del suono forzato ed
extra-diegetico, anch’esso pienamente espressionista. Bait è
un film che respira lo stesso disorientamento che vivono i suoi
protagonisti, aggrappati costantemente a un filo in attesa del disastro,
del naufragio (metaforico) in cui è incapsulato questo dramma narrativamente
classico e minimale. Anche l’emotività così è stilizzata e sospesa, quella di
chi vive il dramma come quella di coloro che lo guardano smarriti, come davanti
a un oggetto misterioso ed estremamente affascinante, difficile da decifrare.
Un’odissea il low-fi che lascia interdetti e attoniti, un’estetizzazione
anti-spettacolare tra le più radicali degli ultimi tempi, filmando la realtà
per costruirne un’altra apparente in cui lo spazio-tempo è deformato e piegato
ai nostri deliri come alle nostre ossessioni. Un piccolo gioiello che, in poco
più di un’ora, ci riporta indietro ad un’altra società (come a un altro
cinema). A noi volerci accedere.
…Da dove cominciare a elogiare Mark Jenkin per Bait?
In qualità di sceneggiatore, ha intrecciato insieme un’illuminante racconto
sulla Gran Bretagna contemporanea che si svolge subito dopo il referendum per
la Brexit a Charlestown e Penzance, ruotando attorno alla fiorente industria
della pesca, alla gentrificazione e alle divisioni di classe. In qualità di
regista, Jenkin ha un’incredibile maestria del linguaggio filmico e osa
nell’uso della recitazione iperrealistica per stabilire e ottenere un tono
comico. Quale direttore della fotografia, ha creato sequenze squisite in bianco
e nero utilizzando una Bolex 16 mm a carica manuale degli anni ‘70 del secolo
scorso e ha elaborato manualmente la pellicola Kodak utilizzando il caffè, tra
gli altri materiali naturali, per produrre un aspetto che fosse come la
caffeina per la cornea. L’editing è ottenuto dallo stesso tessuto di Sergei
Eisenstein, utilizzando il montaggio per costruire un mondo ricco, produrre
tensione e giustapporre i diversi stili di vita conflittuali, creando un
mosaico di personaggi sfacciati. E inoltre ha gestito la musica, realizzando un
quadro con un paesaggio sonoro impressionante, dove una borsa per terra può
suonare come un terremoto e il vento ululante è come il crescendo di
un’orchestra…
Cornish
film-maker Mark Jenkin’s breakthrough feature is a thrillingly adventurous
labour of love – a richly textured, rough-hewn gem in which form and content
are perfectly combined. A refreshingly authentic tale of tensions between
locals and tourists in a once-thriving fishing village, it’s an evocative
portrait of familiar culture clashes in an area where traditional trades and
lifestyles are under threat. Shot with clockwork cameras on grainy 16mm stock,
which Jenkin hand-processed in his studio in Newlyn, Bait is
both an impassioned paean to Cornwall’s proud past, and a bracingly tragicomic
portrait of its troubled present and possible future. It’s a genuine modern
masterpiece, which establishes Jenkin as one of the most arresting and
intriguing British film-makers of his generation…
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