lunedì 9 marzo 2020

L’Agnello - Mario Piredda

In Costa Smeralda e nei villaggi turistici è pieno di sardi, che fanno i camerieri e le pulizie, e non solo (come canta Piero Marras)
La Sardegna non è più un posto di mare e sole e vacanze per il cinema, sempre più anche il cinema la rappresenta per quello che è, una regione dove si fatica, ci si ammala sempre di più, magari vicino alle basi e ai poligoni militari.
Insomma è diventata, nel cinema, ma lo è sempre stata, una regione difficile, non solo per i banditi del capolavoro Banditi a Orgosolo di Vittorio De Seta.
Già Bonifacio Angius ce l’aveva fatto vedere nel 2018 in un suo film (qui).
L’Agnello racconta una storia semplice e complicata insieme, di padri e figli, e figlie, di morte e malattia, di come ci si sente prigionieri a casa propria (leggi qui).
Gli animali si ammalano e muoiono, uomini e donne si ammalano e muoiono. Tutto questo è lo sfondo del film.
Il resto lo fanno un giovane e bravissimo regista, al suo primo lungometraggio, e la sua banda di attori, Luciano CurreliPiero MarcialisMichele Atzori e soprattutto Nora Stassi, l’attrice che interpreta Alice, la protagonista del film.
Quando riapriranno i cinema cercatelo in tutti i modi, e se qualche cinema lo “censurerà” per la sua carica antimilitarista, implicita e chiarissima, non arrendetevi, cercate di vederlo comunque, non sarete delusi (se non siete generali dell'esercito italiano) - Ismaele


qui e qui due ottimi cortometraggi di Mario Piredda





Della Sardegna Piredda non sa solo riprendere i panorami e gli spazi, siano essi delle scabre montagne o un mare incontaminato. Sa cogliere con efficacia e senza alcuna sbavatura retorica i ritmi di vita, le chiusure, le speranze che faticano a rivelarsi a causa di un pudore atavico dei sentimenti. L'ambiente che descrive è rurale ma in esso si è inserita una presenza anomala: quella dei mezzi corazzati dell'esercito, delle aree recintate con il filo spinato, di un inquinamento che può portare morte.
Ed è proprio contro la morte, quella di quell'uomo che chiama Jacopo invece che babbo, che lotta Anita. Lo fa con caparbietà ma anche sapendo far emergere dal suo bel volto corrucciato il sorriso di un'adolescente che vorrebbe poter rimanere tale ma che ha dovuto crescere troppo in fretta. Non le resta allora che percuotere i piatti di una batteria o la pelle tesa dei tom tom insieme al cuore, altrettanto indurito, di chi si rifiuta di sentire il legame del sangue, consapevole com'è che solo da lì può ancora arrivare una soluzione, una possibilità di vita per il padre.
Quella di Nora Stassi è una presenza forte, capace di incarnare determinazione e fragilità in un mondo dominato da figure parentali maschili e in cui le donne o tacciono, quasi perse in un passato insondabile, o si sono chiuse in una remissività che solo occasionalmente riesce ad esplodere in grido un'accusa

Con eleganza di regia e finezza di scrittura, l’autore e regista tratteggia un paese di tradizioni primigenie, indissolubilmente legato agli strumenti in grado di connetterlo all’humus dove affondano le sue radici più profonde, non dimenticando di infrangere la serietà delle questioni affrontate con la spontaneità di un’ironia bucolica, brillante e spigliata. La Sardegna torna sì a essere quel regno agreste di contadini, coltivazioni, di musica, di acqua e argilla che conferma un immaginario già consolidato dalle credenze collettive, ma assume adesso i connotati di una distesa di campagna desolata, sempre più abbandonata al suo destino a se stessa, in cui le lande brulle e aride non possono far altro che dare risalto agli intimi e diversi dubbi esistenziali che assillano i personaggi.

l'esordio nel lungometraggio del regista di Sassari, Mario Piredda, appare lucido, riuscito, schietto e abile nel districarsi tra argomenti e tematiche sulla carta assai rischiose, in quanto minacciate costantemente da trappole insidiose nascoste in trabocchetti di retorica e facili tenerezze.
Qui invece, e per fortuna, ogni tentazione retorica è completamente lasciata al di fuori, sostituita dal desiderio di concentrarsi sui personaggi e sulla forza del loro agire, ancor prima del loro comunicare, comunque scarno, ruvido, attraverso quell'idioma così particolare ed assai efficace che non lascia spazio a possibilità di travisamenti, supportato da una complicità che scatta con una semplice occhiata, ben più loquace ed espressiva di qualunque discorso o altra forma di comunicazione.
E anche la Sardegna schietta, verace e montana che qui fa da sfondo alla vicenda, sa rifuggire con coraggio ogni luogo comune folkloristico e turistico che troppo spesso finisce - altrove per fortuna -  per danneggiare o compromettere storie o situazioni, motivate magari dalla necessità di cedere alla tentazione di peraltro utili aiuti finanziari in cambio di ritorni di immagine spesso fuorvianti o fuori luogo rispetto al contesto narrativo del film.


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