due storie che si incrociano, Alessandro, cantante e mezzo alcolizzato e Francesca, alla quale hanno tolto l'unico figlio, Antonio.
Alessandro e Francesca si incontrano in ospedale, reparto psichiatria.
non si può dire che i due si piacciano reciprocamente, ad Alessandro Francesca piace, infatti le chiede di fidanzarsi.
e poi sono insieme nell'avventura di prendere Antonio, da Sassari a Cagliari, contro la giustizia.
e organizzano (più o meno) anche una fuga, su una macchina presa a prestito, diciamo.
un film che ci ricorda che affianco a noi ci son persone sgradevoli, a volte, ma non possono essere solo oggetto di attenzione dei servizi sociali e delle forze dell'ordine, per non parlare dei TSO.
hanno una umanità come la nostra, sono solo più sfortunati, molte volte.
un gran bel film, da non perdere.
è in meno di 10 sale, riempitele! - Ismaele
NOTE DI REGIA
Tutte le volte che mi trovo alle prese col raccontare
una storia e dei personaggi, mi scopro a ragionare sempre sullo stesso enigma.
A riflettere su come sarebbe stata la mia vita se lungo la strada non avessi
incontrato quella grande passione che è il cinema. Credo che il cinema, che per
me è sempre stato elemento fondamentale e terapeutico per esorcizzare paure e
nevrosi, mi abbia, fino ad ora, salvato la vita. E senza di esso sarei forse
stato un essere umano ingabbiato in un mondo che non gli appartiene. Un mondo
incomprensibile, di cui avere paura. Un mondo da prendere a pugni in faccia o
dal quale fuggire, proprio come fanno gli esseri umani raccontati in
"Ovunque proteggimi". È così che Francesca e Alessandro sono entrambi
parti di me stesso. Lui, detentore di una passione che si allontana
inesorabile, inconsapevole di essere già troppo deteriorato per poterla
riacciuffare, ma ancora straripante di vita. Lei, convinta di potersi salvare
scappando da una vita piena di macerie, defraudata di un figlio che ama più di
sé stessa, ingannata da una società fasulla, cinica e moralista, sempre pronta
a giudicare e violentare i sentimenti più puri.
Personalmente, la necessità e l'urgenza di trasmettere quello che sento nel profondo, nasce da situazioni e sentimenti che ho vissuto in prima persona. E se i personaggi da me descritti fossero sbrigativamente etichettati come "marginali", allora posso dire, con lucida sincerità, di essere marginale anch'io.
Non c'è niente di Zavattiniano nel mio lavoro. Io non pedino nessuno, non guardo il mondo attraverso buchi di serrature, non osservo gli animali nella gabbia dello zoo. Io sono semplicemente già lì, dentro la gabbia, con loro, che sono tanti, troppi, la maggioranza silenziosa che nessuno ascolta, che nella realtà dei fatti è tutt'altro che marginale, anzi, è il vero centro del mondo.
Dunque i miei sentimenti, le mie esperienze, la mia rabbia e le mie paure più profonde, estremizzate e portate sullo schermo. Quasi un modo per allontanarle, trasformarle da negative a positive, da veleno ad antidoto. Le voglio mostrare attraverso il cinema col tentativo di renderle più cristalline e comprensibili possibile, come fossero messe in scena in un film di Chaplin o in un cartone animato giapponese degli anni ottanta. Attraverso l'utilizzo di un meccanismo narrativo diretto, emotivamente chiaro, che non ha paura di mostrarsi nella sua autentica natura, e con un linguaggio figlio di un cinema, un tempo popolare, ora quasi dimenticato. Un cinema fatto di personaggi, in cui tutti gli elementi espressivi che mi hanno fatto innamorare dello schermo quando ero adolescente, sono vivi in un unico corpo. Le solitudini, il sentimento di rivalsa, i perdenti, l'amore, la follia, il melodramma, l'utilizzo della colonna sonora come elemento protagonista. Tutti fattori preposti ad un'intensità narrativa ariosa, rapida, avvincente, amara, ironica, avventurosa e dolorosa al tempo stesso.
In "Ovunque proteggimi" c'è la volontà di espandere il cuore pulsante di Alessandro e Francesca e di mostrarlo all'umanità intera, quella stessa umanità che non si accorge della loro esistenza e voglia di vivere, ma anche quell'umanità di cui loro e noi stessi facciamo parte. Una battaglia persa in partenza, che però può darci, solo per un attimo, la sensazione di sentirmi e di sentirci, un po' meno soli.
Personalmente, la necessità e l'urgenza di trasmettere quello che sento nel profondo, nasce da situazioni e sentimenti che ho vissuto in prima persona. E se i personaggi da me descritti fossero sbrigativamente etichettati come "marginali", allora posso dire, con lucida sincerità, di essere marginale anch'io.
Non c'è niente di Zavattiniano nel mio lavoro. Io non pedino nessuno, non guardo il mondo attraverso buchi di serrature, non osservo gli animali nella gabbia dello zoo. Io sono semplicemente già lì, dentro la gabbia, con loro, che sono tanti, troppi, la maggioranza silenziosa che nessuno ascolta, che nella realtà dei fatti è tutt'altro che marginale, anzi, è il vero centro del mondo.
Dunque i miei sentimenti, le mie esperienze, la mia rabbia e le mie paure più profonde, estremizzate e portate sullo schermo. Quasi un modo per allontanarle, trasformarle da negative a positive, da veleno ad antidoto. Le voglio mostrare attraverso il cinema col tentativo di renderle più cristalline e comprensibili possibile, come fossero messe in scena in un film di Chaplin o in un cartone animato giapponese degli anni ottanta. Attraverso l'utilizzo di un meccanismo narrativo diretto, emotivamente chiaro, che non ha paura di mostrarsi nella sua autentica natura, e con un linguaggio figlio di un cinema, un tempo popolare, ora quasi dimenticato. Un cinema fatto di personaggi, in cui tutti gli elementi espressivi che mi hanno fatto innamorare dello schermo quando ero adolescente, sono vivi in un unico corpo. Le solitudini, il sentimento di rivalsa, i perdenti, l'amore, la follia, il melodramma, l'utilizzo della colonna sonora come elemento protagonista. Tutti fattori preposti ad un'intensità narrativa ariosa, rapida, avvincente, amara, ironica, avventurosa e dolorosa al tempo stesso.
In "Ovunque proteggimi" c'è la volontà di espandere il cuore pulsante di Alessandro e Francesca e di mostrarlo all'umanità intera, quella stessa umanità che non si accorge della loro esistenza e voglia di vivere, ma anche quell'umanità di cui loro e noi stessi facciamo parte. Una battaglia persa in partenza, che però può darci, solo per un attimo, la sensazione di sentirmi e di sentirci, un po' meno soli.
…Il personaggio di Alessandro è spiazzante anche per la sua palese
richiesta d’amore. D’altronde, come dici tu, succede la stessa cosa nella vita
reale: questo tipo di esternazioni ti catalogano in senso negativo nei
confronti dell’altro. Tornando all’anarchia, mi sembra che talvolta Alessandro
e Francesca la esprimano anche in maniera violenta, ma comunque con una purezza
fanciullesca che li rende comunque innocenti.
Si, hanno un comportamento infantile, però io ti vorrei
spingere verso un altro ragionamento. Alessandro e Francesca risultano
inadeguati al mondo, ma, se ci pensi, le azioni che compiono sono tutte
razionali, non sono mai gesti da squilibrati. D’altra parte, la follia non mi
interessa neanche come malattia psichiatrica; preferisco concentrarmi sulle
reazioni a una certa condizione di vita e ai comportamenti che scaturiscono
quando il mondo si dimostra ostile. Trattandosi di una storia molto personale,
ho cercato di lasciare un po’ da parte l’ambiguità presente in Perfidia per raccontare qualcosa di più
semplice e cristallino. Però, poi ho giocato con lo spettatore attraverso il
personaggio di Francesca, che è raccontato dal punto di vista di Alessandro e,
quindi, con informazioni parziali rispetto ai motivi per cui gli è stato tolto
il figlio e sul perché è finita in un reparto di psichiatria. La cosa
interessante, ma anche dolorosa, è stata che nelle proiezioni test alcuni – una
minoranza fortunatamente! – pur avendo scarsa conoscenza su di lei l’hanno
giudicata in maniera negativa: mi sono sentito dire che è chiaro che lei è una
drogata e che, quindi, hanno fatto bene a toglierle il figlio. Questo la dice
lunga sul tempo che stiamo vivendo, in cui una semplice accusa o una diceria è
sufficiente per renderti immediatamente colpevole. Alessandro ragiona in
maniera opposta: essendo un puro non ha bisogno di avere altre prove oltre a
quella dell’amore materno tra figlio e madre e tra madre e figlio. Degli altri
ragionamenti non gliene può fregare di meno. Considerando, poi, che il padre di
questo film è un capolavoro inarrivabile come The
Kid di Charlie
Chaplin, serviamocene per fare un altro ragionamento: tenendo presente
che il protagonista si occupa del bambino quando nessuno lo vuole fare, e
poi lo rende suo complice in una serie di piccoli furti, ti chiedo da quale
parte stava il pubblico degli anni trenta quando a un certo punto il potere
costituito glielo vuole togliere?
Immagino che parteggiasse per il vagabondo…
E adesso, invece, per chi farebbe il tifo? Questa sarebbe
la domanda da farsi…
…Fedele alle sue inquietudini e
a un décor dove il suo cinema nasce e si rigenera, Bonifacio Angius affronta al
fianco dei suoi personaggi la paura di diventare pazzi, l'alienazione
volontaria dai legami affettivi, la necessità di essere altro da sé per
sopravvivere. Filma un uomo e una donna nel momento, trasfigurando
la loro intimità attraverso l'immaginario cinematografico. Fisico e tellurico, Ovunque
proteggimi è un'ode a quella complicità che unisce gli esseri e
perdura dopo la loro separazione. Dopo uno portellone chiuso e una rotta
aperta.
… Ci sono, dicevamo, tempi comici e drammatici che si
susseguono uno con l'altro, e su diversi piani si fondono dando nell'insieme un
senso di realismo non indifferente. Puntando alla sfaccettatura dei toni usati,
infatti, il regista restituisce un bell'affresco del mondo.
Bonifacio Angius (al terzo film dopo
"sa Gràscia" e "Perfidia")
è un regista da tenere d'occhio soprattutto per il lavoro con gli attori e i
rispettivi personaggi. La sua capacità di mettere in scena la coppia di
outsider è notevole, così come anche l'uso che fa dei paesaggi sardi che
fungono da specchi dell'animo umano. Il personaggio di Alessandro, su tutti, è
quello che funziona meglio: l'alcool, le macchine a cui gioca, la camicia, le
parole. Un conflitto tutto interiore che macera e si sfoga di tanto in tanto.
Alla ricerca di una salvezza, tanto umana, lontana. E tutto il malessere sembra
svanire di fronte a una donna da amare, anche in un progetto improbabile
(mettersi insieme per fregare i servizi sociali), come se fosse fuori la
disfunzionalità. E Alessandro Gazale lo interpreta in maniera magnifica, con
una fisicità possente e delicata…
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