praticamente impossibile, non sono graditi, l'Europa non li vuole, e li prende anche per culo.
un film non perfetto ma necessario, mettersi nei panni dell'altro è il primo passo per capire qualcosa, qualsiasi cosa.
un film da non perdere, secondo me - Ismaele
…Un racconto crudo e disilluso che si svolge
a pochi passi da casa nostra ed i cui risvolti drammatici sono poco conosciuti
in Italia. Siamo infatti poco abituati a metterci nei panni dell’immigrato e ad
immaginare le minacce e le difficoltà in cui si imbatte una volta raggiunta la
meta, sia questa la frontiera italiana o quella ungherese. Ad accogliere i
protagonisti c’è la scortesia provinciale dei poliziotti di frontiera e la
sopraffazione inflitta dagli stessi connazionali. Avere i documenti in regola
di per sé non garantisce nulla, si evince che prima di essere persone si è
immigrati. Pur forzando in maniera manichea la caratterizzazione dei
personaggi, è evidente come la corsa verso una vita migliore si riveli essere
solitaria e senza alleati.
Un film che
sancisce la malvagità della divisione (dei popoli, delle famiglie) e l’utopia dell’unione,
sia essa familiare o politica. Il destino riservato dal regista serbo nei
confronti di coloro che cercano di cambiare il loro destino e di opporsi ad una
realtà crudele asservita all’odio e al razzismo è tutt’altro che serena.
…Ci sono film
che forse non sono bellissimi, ma che hanno una loro utilità. Honeymoons è
uno di questi, perché racconta due storie di migrazioni. Finora al cinema siamo
stati abituati a vederle dall’interno, dal nostro punto di vista, mostrando chi
arriva in Italia (Vesna va veloce, Quando sei nato non
puoi più nasconderti), ma mai dall’esterno, dal punto di vista di chi
parte, e inizia a pensare il viaggio dal suo paese d’origine. Honeymoons ci
mostra due coppie, una albanese e una serba, che vogliono venire in Italia e in
Austria, passando per l’Ungheria.
Le due storie si sviluppano in maniera speculare, partendo da due matrimoni. Non quello dei quattro protagonisti, però: due sono già sposati, due intendono farlo presto. Nell’episodio in Serbia, la scena è quella che siamo abituati a vedere nei film di Kusturica. Il suo stile lha lasciato il segno: musica, alcol a fiumi e spari per aria. Anche se non c’è lo stesso movimento nello spazio e la grande maestria di Kusturica nel dirigere le scene di massa.
Se si supera lo stile un po’ sciatto del film (è girato in digitale e le immagini hanno colori piuttosto sbiaditi sui toni del marrone), Honeymoons è un film che qualche insegnamento può darlo. Sarebbe utile per tutti vedere le scene dei migranti nei loro paesi d’origine, i sogni e le speranze che associano al loro viaggio. E quello che succede alla frontiera. I quattro protagonisti sono belli, giovani, innamorati, fiduciosi. A nessuno verrebbe in mente di infliggere loro le pene a cui sono costretti varcando la frontiera. L’Italia e l’Europa che si aspettano non è quella che troveranno. E stiamo attenti: l’immagine dell’Italia che cominciano ad avere all’estero è tutt’altro che quella di un “bel paese”.
Le due storie si sviluppano in maniera speculare, partendo da due matrimoni. Non quello dei quattro protagonisti, però: due sono già sposati, due intendono farlo presto. Nell’episodio in Serbia, la scena è quella che siamo abituati a vedere nei film di Kusturica. Il suo stile lha lasciato il segno: musica, alcol a fiumi e spari per aria. Anche se non c’è lo stesso movimento nello spazio e la grande maestria di Kusturica nel dirigere le scene di massa.
Se si supera lo stile un po’ sciatto del film (è girato in digitale e le immagini hanno colori piuttosto sbiaditi sui toni del marrone), Honeymoons è un film che qualche insegnamento può darlo. Sarebbe utile per tutti vedere le scene dei migranti nei loro paesi d’origine, i sogni e le speranze che associano al loro viaggio. E quello che succede alla frontiera. I quattro protagonisti sono belli, giovani, innamorati, fiduciosi. A nessuno verrebbe in mente di infliggere loro le pene a cui sono costretti varcando la frontiera. L’Italia e l’Europa che si aspettano non è quella che troveranno. E stiamo attenti: l’immagine dell’Italia che cominciano ad avere all’estero è tutt’altro che quella di un “bel paese”.
La storia si svolge contemporanea in
Albania e in Serbia dove seguiamo le vicende di due giovani coppie che decidono
di abbandonare le loro reciproche abitazioni per cercare di avere una vita
migliore nell'Europa Occidentale. Quando la coppia albanese, dopo una serie di
contrattempi, raggiunge un porto dell'Italia del sud hanno inizio i problemi.
Lo stesso accadrà, anche se con modalità diverse, alla coppia serba al momento
dell'ingresso in Europa attraverso l'Ungheria. In Kosovo sono stati uccisi due
soldati italiani e chiunque provenga dall'area è considerato un sospetto anche
se con i documenti in regola.
Goran Paskaljevic non ha mai abbandonato un modo di fare cinema che, sin dagli esordi, ha trattato le tematiche sociali della sua terra di origine (la Serbia) filtrandole sempre attraverso una profonda pietas. Paskaljevic non è mai stato tenero con i suoi conterranei (basti ricordare La polveriera) ma anche nel momento della polemica più forte non ha mai dimenticato di guardare alle origini del disagio e della sofferenza della comunità e dei singoli.
È quanto fa con la descrizione delle vite di due giovani coppie che non riescono a trovare in patria le condizioni per poter pensare a un futuro. Le tensioni familiari e le pressioni dall'esterno diventano insostenibili. Come risolvere se non cercando una speranza nell'Europa dei popoli e delle nazioni? Non sono i poveri boat people che cercano di attraccare sulle coste della Sicilia. Hanno dei visti regolari, hanno un progetto (uno di loro è un musicista che si reca a un'audizione che potrebbe aprirgli le porte al mondo dei concerti).
Ma il pregiudizio è un muro molto più alto e solido di quello caduto a Berlino. Paskaljevic riesce a di-mostrarlo senza fare retorica, con la forza di un umanesimo che unisce al pessimismo della ragione la speranza di una volontà che, proprio perché non accetta lo status quo, si fa cinema.
Goran Paskaljevic non ha mai abbandonato un modo di fare cinema che, sin dagli esordi, ha trattato le tematiche sociali della sua terra di origine (la Serbia) filtrandole sempre attraverso una profonda pietas. Paskaljevic non è mai stato tenero con i suoi conterranei (basti ricordare La polveriera) ma anche nel momento della polemica più forte non ha mai dimenticato di guardare alle origini del disagio e della sofferenza della comunità e dei singoli.
È quanto fa con la descrizione delle vite di due giovani coppie che non riescono a trovare in patria le condizioni per poter pensare a un futuro. Le tensioni familiari e le pressioni dall'esterno diventano insostenibili. Come risolvere se non cercando una speranza nell'Europa dei popoli e delle nazioni? Non sono i poveri boat people che cercano di attraccare sulle coste della Sicilia. Hanno dei visti regolari, hanno un progetto (uno di loro è un musicista che si reca a un'audizione che potrebbe aprirgli le porte al mondo dei concerti).
Ma il pregiudizio è un muro molto più alto e solido di quello caduto a Berlino. Paskaljevic riesce a di-mostrarlo senza fare retorica, con la forza di un umanesimo che unisce al pessimismo della ragione la speranza di una volontà che, proprio perché non accetta lo status quo, si fa cinema.
A double header with similar themes, Honeymoons exposes the depth of
dysfunction between traditional Balkan society and post Soviet global greed. In
both, young love has no currency compared to dirty currency and freedom is a
dream rather than a promise.
There are two weddings, one in Albania and the other in Serbia. Both are
ostentatious affairs, given by men who have become rich on the back of the new
order. It is not they, nor their arrogant acolytes, who matter so much as their
underappreciated cousins and brothers, who remain true to their beliefs and, as
a result, poor.
Rok and Vevo are Albanian peasants, living in a village that has no
telephone. Three years ago their eldest son Ilir attempted to escape to Italy
in a rubber boat, but was never heard of again. His fiancée Majilinda stays
with them, as is the custom, but cannot entertain thoughts of another romance
until Ilir’s fate has been confirmed. Nik, the younger son, loves her and plans
to take her to Italy to start a new life. The family travel to Tirana by bus
for the wedding of Rok’s brother’s daughter, where they are treated by the
rowdier guests as a reminder of rural poverty’s deep rooted backwardness, while
Nik uses family contacts to advance his plans for Majilinda.
In the second story, Marko is a budding cellist, living in Belgrade with
Vera, to whom he is secretly married. He has been invited to an audition with
the Vienna Philharmonic Orchestra, but first they must go to her cousin’s
wedding, where he meets her family, especially her father who remains
embittered by his brother’s capitulation to the corrupt world of national
politics. Again there is evidence of cultural snobbery against those who do not
flaunt wealth as the 21st century beacon of Western-style success.
In the end, this is a film, not so much about the destruction of values in
a materialistic world, but the meaning of freedom for the powerless. When the
young couples reach Italian shores, they find themselves at the mercy of
circumstance and border guards. Nothing, even that which appears greener on the
other side, is what it seems. Disappointment may be the pale shadow of
fulfilment when love fails, through no fault of its own, to conquer all.
…it’s the cinematic
equivalent of a Theodore Dreiser novel, a social-justice story with its heart
planted firmly in the right place but its author’s heavy hand too much in
evidence. The interactions too often feel contrived, the dialogue is clumsily
expository, and the camera keeps pushing into people’s faces to focus on welling
tears or thousand-yard stares of despair.
The honeymoons of the
ironic title are those of two young couples, one from a small town in Albania
and the other from Belgrade. In typically literal-minded fashion, the
screenplay underscores the similarities between these young innocents from
warring cultures by sending each to a lavish family wedding before they try to
escape to Western Europe. By the time they head out, you understand why they
need to leave a place where murderous enmities divide people even within
families, corruption runs rampant (even a bus driver expects a bribe), and
nothing quite works the way it’s supposed to. So we root for these four
underdeveloped but clearly sensitive and sympathetic young people—mournful
Maylinda, gallant young Nick, musician Marko, and bravely smiling Vera—to get
to a better place, even as we know that vicious thugs, cruel cops,
opportunistic fellow refugees, and deterministic filmmakers will get between
them and their freedom…
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