martedì 20 novembre 2018

Senza lasciare traccia - Debra Granik

Ricorda un po’ Captain fantasticun po’ Wendy and Lucy, storie di gente che vive ai margini.
qui un padre vedovo, attraversato e vinto dai fantasmi, ha portato Tom a vivere con lui, vicino alla città, ma lontano da ogni comodità, vivendo all'addiaccio.
Will, il padre, non è giusto giusto, non sappiamo niente di lui e di Tom, probabilmente Will ha perso il senno nell'esercito di qualche invasione, l'Irak o l'Aghanistan, chissà cosa avrà dovuto vedere.
Tom fa la figlia, ma anche un po' la mamma per Will, lei non lo vuole lasciare.
un piccolo film di una grande regista, non perdetevelo, poche sale, ma vale il prezzo del biglietto - Ismaele




…Non si tratta di un’opera mediocre fino in fondo, ma fa permeare la sensazione di un film senza autonomia, una pellicola di transizione che si dota di senso solo se ipercontestualizzata, come stiamo facendo noi ora. Di transizione come i protagonisti, mai fissi in un sol luogo, nomadi per scelta. Anche contro la legge, la decisione è quella di fuggire, di vivere isolati lontano dalla gente e dall’elettricità. Il discorso di Granik coinvolge proprio il topos della fuga dalla civiltà per andare a scandagliare un sentimento che non è solo escapismo; è anche quello, ma coinvolge in sé qualcos’altro, difficilmente definibile a un primo sguardo, ma tale da perdere quasi ogni attrattiva già dal secondo. L’escamotage che meglio coglie questa differenziazione è la riscrittura in termini quantomeno neutri se non addirittura positivi dei servizi sociali, mai caricati di una funzione antagonistica. La burocrazia di cui vittime e promotori non è per questo meno asfissiante, ma il loro agire non è mai freddo, distaccato. Il fatto che la sensibilità che ostentano non sia comunque presa in considerazione da parte dei duo (specie dal padre) segnala la volontà di scappare ma non nel senso classico. Il loro non è tanto un rifugiarsi quanto un rifuggire, determinato per contrasto…

 All’oltranzismo di Will, Senza lasciare traccia risponde nei fatti con una compassione e un senso di accoglienza lontani dal ritratto oscurantista e degradato della provincia americana, alla quale, invece, l’autrice regala una bellezza selvaggia e aspra come quella della foresta attraversata dai protagonisti. Come succedeva ne Un gelido inverno, anche qui il nucleo del racconto ruota intorno al tema della disgregazione famigliare intesa non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico, essendo quello di Will un deragliamento prima emotivo e poi materiale. Nel rifuggire il patetico e il commovente, Granik tratteggia il rapporto tra padre e figlia con una dolcezza che Ben Foster e Thomasin McKenzie restituiscono più con gli sguardi e i silenzi che con le parole. Rigoroso fino all’insostenibile Senza lasciare traccia fa della coerenza il motivo del proprio fascino.

Senza lasciare traccia è l’ottimo risultato di una lunga ricerca, di un cinema che coglie l’immediatezza della scoperta (il coetaneo con i conigli) e che mostra l’interazione, la dipendenza dei personaggi con i luoghi. O, al contrario, la loro estraneità  quando soprattutto si confrontano con il progresso. Il padre di Tom rifiuta il telefono, nasconde la tv quando gli è stata affidata la nuova abitazione. Sembra quasi essere un documentario per come segue i personaggi, per la ricchezza di elementi e dettagli nel raccontare una storia. La Granik non cerca soluzioni alla Malick con soluzioni tipo la luce che filtra tra gli alberi. Tom e il padre non appaiono figure eteree ma con una solida consistenza. Hanno una storia addosso che non ha importanza di essere rivelata. Come per la Lawrence in Un gelido inverno, si entrava subito in sintonia con lei anche se della sua condizione non si sapeva nulla.
Un cinema anche sensoriale, che fa sentire addosso il freddo e la paura. In un viaggio senza meta, irregolare, come nella tappa sul bus poi subito interrotta. Ma dove due punti di vista complementari si modificano gradualmente ma in modo evidente. In un film capace di aspettare i suoi tempi, diretto, carico di calore non esibito. Come nella comunità, quasi nelle zone di Into the Wild. Che col film di Sean Penn ha una direzione, contemporaneamente, uguale e (forse) contraria.

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