Ricorda un po’ Captain fantastic, un po’ Wendy and Lucy, storie di gente che vive ai
margini.
qui un padre vedovo, attraversato e vinto dai fantasmi, ha portato Tom a
vivere con lui, vicino alla città, ma lontano da ogni comodità, vivendo
all'addiaccio.
Will, il padre, non è giusto giusto, non sappiamo niente di lui e di Tom,
probabilmente Will ha perso il senno nell'esercito di qualche invasione, l'Irak
o l'Aghanistan, chissà cosa avrà dovuto vedere.
Tom fa la figlia, ma anche un po' la mamma per Will, lei non lo vuole
lasciare.
un piccolo film di una grande regista, non perdetevelo, poche sale, ma vale
il prezzo del biglietto - Ismaele
…Non si tratta di un’opera mediocre fino in fondo, ma fa permeare la
sensazione di un film senza autonomia, una pellicola di
transizione che si dota di senso solo se ipercontestualizzata, come stiamo
facendo noi ora. Di transizione come i protagonisti, mai fissi in un sol
luogo, nomadi per scelta. Anche contro la legge, la decisione è quella di
fuggire, di vivere isolati lontano dalla gente e dall’elettricità. Il discorso
di Granik coinvolge proprio il topos della fuga dalla civiltà
per andare a scandagliare un sentimento che non è solo escapismo; è anche
quello, ma coinvolge in sé qualcos’altro, difficilmente definibile a un
primo sguardo, ma tale da perdere quasi ogni attrattiva già dal secondo. L’escamotage che
meglio coglie questa differenziazione è la riscrittura in termini quantomeno
neutri se non addirittura positivi dei servizi sociali, mai caricati di una
funzione antagonistica. La burocrazia di cui vittime e promotori non è per
questo meno asfissiante, ma il loro agire non è mai freddo, distaccato. Il
fatto che la sensibilità che ostentano non sia comunque presa in considerazione
da parte dei duo (specie dal padre) segnala la volontà di scappare ma non nel
senso classico. Il loro non è tanto un rifugiarsi quanto un rifuggire,
determinato per contrasto…
… All’oltranzismo di Will, Senza lasciare traccia risponde nei fatti
con una compassione e un senso di accoglienza lontani dal ritratto oscurantista
e degradato della provincia americana, alla quale, invece, l’autrice regala una
bellezza selvaggia e aspra come quella della foresta attraversata dai
protagonisti. Come succedeva ne Un gelido inverno,
anche qui il nucleo del racconto ruota intorno al tema della disgregazione
famigliare intesa non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico,
essendo quello di Will un deragliamento prima emotivo e poi materiale. Nel
rifuggire il patetico e il commovente, Granik tratteggia il rapporto tra padre
e figlia con una dolcezza che Ben Foster e Thomasin McKenzie restituiscono più con gli sguardi e
i silenzi che con le parole. Rigoroso fino all’insostenibile Senza lasciare traccia fa della coerenza
il motivo del proprio fascino.
…Senza lasciare traccia è l’ottimo risultato di una lunga
ricerca, di un
cinema che coglie l’immediatezza della scoperta (il coetaneo con i conigli) e
che mostra l’interazione, la dipendenza dei personaggi con i luoghi. O, al
contrario, la loro estraneità quando soprattutto si confrontano con il
progresso. Il padre di Tom rifiuta il telefono, nasconde la tv quando gli è
stata affidata la nuova abitazione. Sembra quasi essere un documentario per
come segue i personaggi, per la ricchezza di elementi e dettagli nel raccontare
una storia. La Granik non cerca soluzioni alla Malick con soluzioni tipo la
luce che filtra tra gli alberi. Tom e il padre non appaiono figure eteree ma
con una solida consistenza. Hanno una storia addosso che non ha importanza di
essere rivelata. Come per la Lawrence in Un gelido inverno,
si entrava subito in sintonia con lei anche se della sua condizione non si
sapeva nulla.
Un cinema anche sensoriale, che fa sentire
addosso il freddo e la paura. In un viaggio senza meta, irregolare, come nella tappa sul bus poi
subito interrotta. Ma dove due punti di vista complementari si modificano
gradualmente ma in modo evidente. In un film capace di aspettare i suoi tempi,
diretto, carico di calore non esibito. Come nella comunità, quasi nelle zone
di Into the Wild. Che col film di Sean Penn ha una direzione, contemporaneamente, uguale
e (forse) contraria.
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