lunedì 2 marzo 2020

Cattive acque - Todd Haynes

uno di quei film senza effetti speciali, quasi cronaca, racconta una storia mai finita, di un'impresa assassina e degli sforzi di resisterle, grazie a un avvocato informato dei fatti e incazzato.
è inquietante come gli stati rinunciano ai loro poteri di controllo, le imprese si autovalutano, e quando qualcosa non va basta aumentare le soglie di tolleranza.
che crepi la gente, quello che conta sono i profitti e i dividendi degli azionisti, prima regola del business, il resto non conta o si può comprare.
e che dire dell' equazione, più lavoro, più malattie, un ricatto al quale è difficile resistere, in tutto il mondo.
a un certo punto dice Mark Ruffalo, lo straordinario attore che interpreta l'avvocato, che non ci si può fidare di nessuno, imprese, giustizia, governo, sono loro il nemico dei cittadini.
il film non annoia un secondo, ed è un esempio di cinema civile di ottimo livello.
e se pensi che quella storia non riguarda la tua vita, dai uno sguardo qui.
buona (imperdibile) visione - Ismaele




Mark Ruffalo brilla nel ruolo di protagonista, interpretando non un eroe senza macchia, ma un uomo che decide contro ogni buon senso di perseguire una battaglia agli occhi dei più impossibile, ma necessaria. Vediamo, nel corso dei due decenni che costituiscono il tempo del racconto, la sua discesa nel baratro dell'indifferenza generale rispetto a una causa che invece riguarda tutti (il film ci informa che il 98% degli esseri umani presenta tracce di teflon nel sangue). Vediamo la sua salute fisica e mentale vacillare in contrasto con la sua incrollabile determinazione.
Non è certo un film rassicurante, la tensione che fin dalle prime inquadrature permea il racconto non viene mai allentata e la pellicola, così come la vicenda giudiziaria ancora in corso, non finisce, rimanendo semplicemente in sospeso, in quel limbo di incertezza e pericolo. Il talento davanti e dietro la macchina da presa è innegabile, dando valore aggiunto ad un'opera che in altre mani avrebbe potuto risultare generica e noiosa, ma che invece cattura l'attenzione e trattiene lo spettatore dall'inizio alla fine.

Cosa funziona in Cattive Acque
Cattive Acque è un legal thriller, ma anche un film di denuncia, un’occasione per trasmettere alle persone il peso della minaccia alla salute pubblica, che questa minaccia è reale e come essa sia messa in attoCattive Acque è costruito su una serie di complessità stratificate per cui sembra quasi impossibile che possa sostenere il peso dell’enorme mole di informazioni tecniche, legali, sulla salute ambientale, a descrivere il processo che un caso legale subisce, la sua costruzione, la ricerca, il percorso a livello federale e statale fondendo il tutto con la storia personale di un uomo “normale”, le cui idee vengono completamente ribaltate dalle sue scoperte, e che si trova ad affrontare rischi psichici, emotivi e quasi mortali per portare avanti la sua ricerca per la verità.

Perché non guardare Cattive Acque
E’ una storia altamente intricata e angosciante, raccontata senza troppi fronzoli e giri di parole, che non può essere vista senza una buona dose di concentrazione. Le tematiche trattate sono sconvolgenti perciò chi non è disposto ad ascoltare o ha paura della riflessione derivante da ciò che Cattive Acque denuncia, non ha davanti il film giusto.

Ci vuole coraggio a sfidare il Potere e i Potenti, ma non solo. Non si tratta di andare in contro alla paura, quanto piuttosto di tollerare le conseguenze psicologiche di una tale azione. Bilott lentamente si consuma, perde ogni certezza, si sente solo e viene definito persino pazzo, perde l’affetto delle persone a lui più care. È quindi sufficiente avere solo coraggio? Ci vuole molto di più. C’è bisogno – paradossalmente – di un senso di incoscienza. È la salute mentale, oltre quella fisica, che viene meno.
Cattive Acque smuove le coscienze e invita a riflettere sul fatto che ci sono volte in cui bisogna sapersi difendere da soli, rischiando persino di guardare in faccia la morte. La pellicola è mesta, ma potente ed impegnata. Non basta neanche impegnarsi per diciannove anni per ottenere giustizia: non si smette mai di combattere. Bilott sta ancora lottando. C’è un desiderio irrefrenabile di verità, lo stesso che aveva mosso i cronisti del Washington Post in “Tutti gli uomini del presidente”: abbiamo bisogno che vengano raccontate queste storie, e ne avremo sempre bisogno…

…Ciò che rende questo un film di Haynes, oltre alla fotografia del suo fidato e geniale collaboratore Ed Lachman, è qualcosa di intangibile e misterioso. Ai fan dell’autore verrà di sicuro in mente Safe, il classico indie del 1995 con Julianne Moore nei panni di una moglie e madre convinta di essere contaminata da un’ignota sostanza nell’ambiente. Quella sensazione di terrore pervade anche questo film, e lo rende un’opera spaventosa e senza tempo, lontana dallo stile di un docudrama. Nell’era di Trump, quando gli abusi delle aziende sono stati dimenticati in nome del profitto, siamo tutti allarmati dal prossimo attacco al nostro già fragile clima. Bilott ha agito per fermare tutto: noi che cosa stiamo facendo?

…Probabilmente il nome DuPont vi dirà poco e niente (al massimo vi ricorderà il film Foxcatcher, che però non ha legami con questa storia), non esistono sul mercato globale prodotti che si rifacciano in modo diretto a questa precisa compagnia, eppure una delle loro innovazioni si trova quasi certamente nelle case di ognuno di noi: parliamo del Teflon. È il nome abbreviato per descrivere il politetrafluoroetilene, un polimero miracoloso che repelle l'acqua e non solo, diventato essenziale negli ultimi decenni soprattutto in un determinato settore: quello delle padelle antiaderenti da cucina. Un elemento prodotto per la prima volta dalla DuPont per servire l'esercito americano intento a costruire la bomba atomica, tanto per capire le potenzialità del Teflon.
Peccato che la stessa azienda abbia per anni insabbiato la pericolosità dei materiali di scarto prodotti dal polimero in questione, inquinando corsi d'acqua e terreni, in maniera simile a come la criminalità organizzata ha fatto nel nostro Paese ma in maniera più subdola, senza infrangere leggi o regole precise. A determinare infatti il grado di pericolosità degli elementi rilasciati in natura è stata la stessa DuPont per decenni, tutto questo però lo scoprirete in dettaglio guardando Cattive Acque al cinema, un film girato con stile che vanta un valore aggiunto non da poco: un Mark Ruffalo eccezionale

Cattive acque è un film importante, fortemente attuale e che ci riguarda tutti. Alla fine del film, alcune scritte in sovrimpressione ci ricordano che più del 90% della popolazione mondiale ha nel proprio sangue tracce di PFOA; come qualunque altra questione ambientale, anche l’inquinamento delle industrie chimiche è un problema globale, che tocca ciascuno di noi. Un’ulteriore riflessione, solo apparentemente ovvia, in un film che fa pensare, fa arrabbiare e lascia una sensazione di inquietudine sul finale.
La DuPont ha pagato per i propri errori; ci rendiamo però bene conto che il colosso della chimica ha scontato una pena molto inferiore ai danni inflitti. Considerando le conseguenze del comportamento criminale dell’azienda, durato per decenni, sentiamo che giustizia è stata fatta, ma ad un costo umano altissimo. Cattive acque è, oltre alla ricostruzione fedele di un caso giudiziario, il racconto crudo di come le persone possano soffrire a causa dell’acqua che bevono e dell’aria che respirano. Questi pericoli sono spaventosamente ordinari e il film di Todd Haynes ci ricorda che dobbiamo affrontarli tutti, quotidianamente, inevitabilmente.

…“Sembrava la cosa giusta da fare!”. Sentendo le parole pronunciate con timida umiltà dal vero Billiott durante un’intervista, pare proprio che anche il buon Todd Haynes abbia pensato a qualcosa di tremendamente simile prima di battere il primo ciak di Cattive acque, sentendo tutta l’urgenza di un autore ormai maturo nel dover, in un modo o nell’altro, fare i conti con la dura realtà dei propri tempi, dove non importa a nessuno se qualche molecola di PFAS in più viene allegramente assorbita dal nostro organismo durante un bel bagnetto o una rinfrescante bevuta; l’importante è avere sempre a disposizione le nostre brave pentoline antiaderenti. Magari prodotte da gentaglia che se ne infischia allegramente di gettare i propri rifiuti nello scarico del cesso. Per narrare tutto ciò al meglio delle proprie capacità, il buon Haynes capisce bene di doversi mettere totalmente in disparte, chiedendo al fido Edward Lachman di bagnare la propria calorosa fotografia nel ghiaccio secco, per sputar fuori un dolente dramma giudiziario a fosche tinte, nel quale la consueta gabbia narrativa del genere formata da completi gessati, investigazioni sul filo del rasoio, quintali di ciclostili e battaglie all’ultimo sangue fra i bachi degli imputati si trasforma in un incalzante e disturbatissimo tour de force legale. Una gimkana quasi kafkiana al termine della quale l’amaro rimasto in bocca dalla tremenda consapevolezza acquisita risulta ben più abbondante delle misere soddisfazioni ottenute dalle povere vittime del caso. D’altronde si sa: questa è la vita, e la vita, cari amici, è ben diversa da qualunque film, bello o brutto che sia.

Il recentissimo Cattive acque (2019), ispirandosi all’articolo del New York Times Magazine del 2016 The Lawyer Who Became DuPont’s Worst Nightmare di Nathaniel Rich, racconta la storia vera di Robert Bilott, avvocato societario specializzatosi nella difesa di aziende chimiche, al quale nel 1998 un agricoltore di Parkersburg, in West Virginia, chiede di indagare sul nesso tra la presenza di un impianto dell’azienda chimica DuPont nei pressi della sua fattoria e i tumori e le malformazioni che affliggono le sue mucche. Bilott scopre che da decenni la DuPont smaltisce indisturbata nei corsi d’acqua della zona grandi quantità di acido perfluoroottanoico, mettendo a rischio la salute e la vita della popolazione locale e, commercializzando altrettanto indisturbata il teflon, anche quella della popolazione globale. Qui si innesca una vera e propria lotta tra Davide, sempre più solo in un mondo che non capisce il senso delle sue azioni, e Golia, il moloch industriale che ha a disposizione conoscenze e ricchezze sufficienti a ostacolare le indagini dell’avvocato per decenni. Rinunciando al glamour e all’estetica del melodramma cui ci ha abituato per vent’anni, ma senza indulgere agli stereotipi del cinema sulle class action stile Erin Brockovich – Forte come la verità (2000) di Steven Soderbergh, Haynes scava senza reticenze nel sogno di giustizia di Bilott. Ce ne mostra le resistenze, poi la caparbietà, poi i rischi. Soprattutto ci mostra le sofferenze cui quel sogno, che pian piano diventa totalizzante ed esclusivo, condanna l’avvocato sul versante familiare e poi più in generale psicologico. Mark Ruffalo dà un’interpretazione magistrale di un everyman che scopre dentro di sé un eroe e paga un pesantissimo scotto per la hybris di dare corso al suo sogno eroico. Anne Hathaway e Tim Robbins sono altrettanto intensi nel dare corpo alla moglie e al titolare dell’avvocato, prima giudicanti, diffidenti e delusi, poi finalmente consapevoli della grandezza e del sacrificio di Bilott. Il risultato è un film livido, a tratti angoscioso, che rievoca le atmosfere del cinema americano della paranoia degli anni Settanta e ci fa presagire l’enormità e la pervasività degli ingranaggi di potere e interesse che sorreggono il mondo in cui viviamo.

Si fa un torto a liquidare Cattive acque come “divulgativo”, come si trattasse una docufction di Real Time. Non è scoprire qualcosa che importa ad Haynes, ma l'imparare a relazionarsi con questo senso del dovere. Come nel The Post di Spielberg, scegliere cosa fare, e se fare, e perché. Ne varrà la pena? Se lo chiede spesso Bilott, un Ruffalo mostruoso, in sottrazione, capelli col riporto e vocetta tremante, imbarcatosi in una battaglia legale che lo porterà sull'orlo del fallimento professionale e privato; nel mentre, attorno a lui, i peccati originali della società dei consumi sfigurano facce, denti e corpi di un Midwest ridotto a scenario da Resident Evil. Il film è un veicolo per lui, e i grandi volti di contorno fanno da spalla (ci sono Tim Robbins, Bill Pullman e Bill Camp con accenti hillbilly, una Anne Hathaway castigata nel ruolo ingrato di moglie-supporto). Lo script li riunisce attorno alla crociata del protagonista, e va come un treno verso il non-climax finale, tra vita vissuta e sana indignazione. Come un piccolo Chernobyl ad ampio raggio (moltissimo in comune), ancora un americanissimo racconto sulle resistenze morali e personali contro un sistema negazionista; stavolta senza premi, ma sempre formalmente ineccepibile.

Nello specifico, Cattive acque ricostruisce come la crociata individuale di un avvocato abbia messo alla luce il fatto che, per decenni, la DuPont ha consciamente avvelenato i cittadini di Parkersburg, in West Virginia. Ad oggi, Bilott sta continuando a rappresentare con successo, una a una, le vittime di quello scempio.
Ma è la stessa storia degli Stackler di Purdue Pharma, che hanno creato milioni di tossicodipendenti mentre si arricchivano con il fentanyl; o di Adam Bowen e James Monsses, gli imprenditori di Juul Labs, inventori delle sigarette elettroniche al mentolo che adesso stanno bandendo ovunque perché dannose come il tabacco.
È LA STORIA di abusi del capitalismo che non sono più «scandali» isolati ma cose di tutti giorni. Il che rende il film di Haynes un horror autentico, allo stesso tempo necessario e disperante.

Nessun commento:

Posta un commento