giovedì 12 marzo 2020

You Were Never Really Here - Lynne Ramsay

Lynne Ramsay gira negli Usa, ma non fa un filmetto, anzi.
Joaquin Phoenix è il protagonista del film, è un killer su commissione, e questa volta deve salvare una ragazzina, rapita per fare la prostituta.
Joe, questa volta, anzichè uccidere deve salvare.
il film cita altri film, sembra roba già vista, ma è un errore pensare solo così.
nelle mani di Lynne Ramsay e con l'interpretazione di Joaquin Phoenix questo diventa un film da non perdere.
come sempre la regista fa film ruvidi, poco simpatici, ma questo è il suo cinema, per fortuna.
buona visione - Ismaele






Il montaggio, apparentemente confuso e disordinato, è rappresentativo della volontà di scarnificare l’opera. All’interno della quale i contenuti sono suggeriti, anziché mostrati. Le scelte stilistiche rendono intuibili i motivi della sofferenza e della desolazione di Joe. Provato a causa dei traumi subiti sia in infanzia che sul campo di battaglia, e a causa della sua condizione attuale. Incapace di adattarsi al mondo Joe ha tendenze suicide, senza mai però riuscire a portare a termine il suo intento soprattutto per le responsabilità nei confronti della madre, di cui si fa carico. Le scene dei tentati suicidi si alternano a visioni della sua fanciullezza e della guerra, che rendono chiaro il passato psicologico del protagonista…

Non mi interessa minimamente sapere se A Beautiful Day - You Were Never Really Here vi è piaciuto, piace o piacerà. Così come, del resto, non mi interessa dire se questo film mi è piaciuto e quanto. Trovo molto meno futile e insensato, invece, porre il quarto lungometraggio di Lynne Ramsay in una prospettiva che tenga conto dei suoi precedenti film e che, alla luce di questi, favorisca una piccola riflessione sulla poetica della regista scozzese.
Il cinema di Lynne Ramsay è un cinema del condizionamento, seppure possa sembrare davvero tutta un'altra cosa. Fin dai suoi primi corti, passando per Ratcatcher (1999) e approdando a Morvern Callar (2002), si tratta di un cinema che imprigiona i personaggi in un contesto soffocante e inesorabile. La pressione/oppressione ambientale è particolarmente forte in Ratcatcher: una Glasgow cenciosa e traboccante di rifiuti scrive il destino del piccolo James Gillespie con un'evidenza melmosa e infettante. Non c'è via di scampo da questo immondezzaio purgatoriale, se non in un escapismo post mortem: James immagina il trasloco della famiglia nei nuovi e più confortevoli immobili solo mentre sprofonda nelle stesse acque stagnanti del canale in cui ha provocato l'accidentale annegamento di un compagno di giochi. Ed è lo stesso contesto pestilenziale ad aver posto le premesse concrete dell'annegamento. Di fatto, è Lynne Ramsay che, per interposta fantasticheria, offre al piccolo protagonista un'impossibile via di fuga in punto di morte. Per quanto stringente e palese, il modello della Mouchette bressoniana viene superato da questa rêverie che, in una certa misura, squarcia idealmente l'esiziale determinismo ambientale. Resta il fatto che la realtà messa in scena non offre ipotesi di salvezza, se non in questo epilogo immaginario…

…In You were never really here i rimandi a Taxi Driver si sprecano: il reduce alienato, la prostituzione minorile, le carrellate lungo i quartieri sordidi, la brezza impetuosa del putridume cittadino che soffia e leviga il volto stremato del personaggio, il senatore corrotto come simbolo della base di tutto il male che c’è in giro; persino il metodo stanislavskijano di Phoenix, con cui trasforma se stesso nel fisico e nell’attitudine, sa di quell’irresistibile De Niro. Secondo Lynne Ramsay la storia era già appassionante in fase di scrittura ma il personaggio non aveva uno spessore così prima che Phoenix non decidesse di entrarvi e nutrirlo fino a renderlo imponente, quasi biblico, con la sua barba patriarcale…

Uno de los aspectos más sorprendentes de este inicio de metraje reside en la concepción de que Joe, el protagonista interpretado por el siempre apoteósico Joaquin Phoenix, representa al bando de los buenos pues, basándonos en la imagen obtenida de él durante los primeros compases, presagiamos todo lo contrario. La apatía de su mirada, la desconexión con la realidad y su lacerante misantropía condicionaban nuestra mirada y lo posicionamos, por pura preconcepción, dentro de una atmósfera de criminalidad inexorable. En cierto modo, es verdad que este sicario hace mucho tiempo que vive al margen de conceptos tan categóricos como el bien o el mal. Otra de las historias analépticas presentes en la cinta es la evolución del personaje hasta convertirse en el brutal detective más infame del gremio. Una evolución degenerativa y muy marcada por la constante exposición al trauma violento. Este héroe trágico salido de un híbrido genérico entre el hard boiled y el thriller asiático, recibe el encargo de rescatar a la hija secuestrada de un senador. El entramado argumental, oscuro por naturaleza, se adentrará en lo más sórdido de los suburbios neoyorquinos para seguir el rastro de depravación y perversión presente, tanto en los orquestadores del secuestro, como en el propio escenario de interacción dramática, a través del cual el protagonista se abrirá paso a golpe de martillo hasta lograr alcanzar una merecida serenidad redentora que lo concilie consigo mismo.

Ramsay directs in an engrossing way, pulling it up from a standard thriller to the classic greatness ranks of the similar-themed Taxi Driver. This is an uncompromising and well-made film noir, told with useful flashbacks to fill us in on the backstory. It’s about as good as it gets when it comes to oddball tough-minded psychological dramas. Using minimal dialogue and trying as much as possible to focus on the troubled hitman rather than his acts of violence, the heart of the film centers on the inward awareness and torture of the pained protagonist trying to cope with his predicament. It’s a timeless film to savor, one I might reconsider as a masterpiece with further viewings.

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