mercoledì 2 gennaio 2019

Coincoin et les Z'inhumains - Bruno Dumont

un film in quattro parti, per un totale di circa tre ore, come il precedente Quinquin (qui) .
stessi attori, una storia misteriosa, senza finale, ma non importa.
tutti gli attori sono bravissimi, e il regista è folle e geniale.
anche quest'anno Cahiers du cinema mette il film di Dumont fra i più buoni dell'anno.
a me è piaciuto molto.
cercatelo e godetene tutti - Ismaele






non sembra che Coincoin si ponga la possibilità di un futuribile, perlomeno all’interno del suo grottesco, piccolo universo. È tutto immerso in un labirinto poco meta e molto fisico di incapacità di prendere sul serio le relazioni e le connessioni interne della società, al punto che un Dharma razionale, come spesso in Dumont, sembra più che mai irraggiungibile. Il cielo manda segnali ma non dà risposte. E così il regista sfrutta la freddezza composta della cinepresa per immergersi egli stesso nel labirinto, sottilmente lasciando passare la sua angoscia collerica mediante la sontuosità simbolica e fotografica dei movimenti di macchina e della composizione delle immagini, la leggerezza degli stacchi di montaggio e l’asciuttezza cartoonesca del sound design. Non sarà una lucido testimonianza sull’esistenza nel mondo moderno, e anzi ci viene sempre più da pensare che la cosa interessante del cinema di Dumont sicuramente non è la lucidità, ma Coincoin è potente, unico, folle. Una visione che riesce incredibilmente ad avere senso nei nostri tempi nonostante non sembri porsi il problema di voler proporre un messaggio, una soluzione, una prospettiva. E nel caos dell’audiovisivo circostante, non c’è niente che più possa rappresentare alla perfezione quel 2018 che a breve sarà un cadavere.

Coincoin et les z’inhumains è, giocoforza, un prodotto atipico e folle, che comporta necessariamente uno sforzo da parte dello spettatore nel momento in cui si va a posizionare in un loculo di una nicchia finora ignorata. Non è ragionevole neppure dare per scontato che l’epopea di Quinquin/Coincoin finisca qui, bisognerebbe piuttosto guardare a questa serie di lavori come si guarda alle Elegie di Sokurov (solo collegate fra loro), cioè produzioni parallele al “lavoro principale” dotate di una loro identità che ne fa progetti singolari a latereI, però. D’altro canto è chiaro che s’è raggiunta una climax di questa “fase della commedia”, procedere oltre questo livello sarà difficile, per complessità della riflessione sul tragicomico: certo, non si esclude una terza miniserie però nel mentre aleggia la consapevolezza che il prossimo film programmato di Dumont, un sequel di Jeannette con il canonico processo, sarà un vero punto di rottura, come lo sono stati Twentynine palms o Camille Claudel 1915che aprirà a una terza fase completamente differente, che comunque noi attendiamo carichi ed euforici.

Le quattro parti di CoinCoin Et Les Z’Inhumains sono una scorribanda grottesca ed esilarante sul filo della fine del mondo, più film lungo che serie tv, più consigliata da tracannare in un sorso che a tappe; è così che ci si gode meglio il flusso di presunto nonsense, i tic, le manie e le falle mentali di tutti quei freaks umani che affollano lo schermo.
Pur declinato in modo divertente (l’omaggio principale è a L’Invasione Degli Ultracorpi di Don Siegel), il fattore sci-fi è un espediente narrativo, che serve a Dumont per sottolineare ancora una volta le infinite derive della nostra specie e mostrare il quanto mai labile confine tra l’inspiegabile e l’umano.
Nei loop mentali e dialogici dei duecento minuti di CoinCoin si nascondono le manie e i cortocircuiti della famosa Humanité, che diventa una tragicomica e assurda parata; che si incarna nelle figure mascherate sullo sfondo, silenziose, inquietanti ed apparentemente casuali, così fuori contesto da rappresentare l’essenza della vita scriteriata e non direzionata dei “civili”.
E se poi in questo percorso riflessivo vengono gli addominali dal ridere, come in questo caso, tanto meglio. Ma guai a considerare quello di CoinCoin un messaggio “light”, o peggio un prodotto televisivo in senso detrattivo: dalla ratio alla confezione CoinCoin, complice la fotografia meravigliosa di Guillaume Deffontaines (già al fianco del regista per Ma Loute), è di impeccabile precisione.
Ancora una volta Dumont, tra le righe, parla impietosamente di noi.

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