la regola sembra, ed è, "sorvegliare e punire", Julieta Zylberberg, la protagonista è di una bravura enorme, già solo per lei il film merita di essere visto, ma c'è altro che vale.
soffocante e angosciante, come molti film dell'orrore non arrivano ad essere, a me è piaciuto molto - Ismaele
…Una estupenda Julieta Zylberberg compone de
manera admirable a esa profesora que se debate entre las normas que se ve
obligada a cumplir y sus deseos de hacer realidad sus más íntimas pasiones. Su
temor a romper con el orden establecido viene a simbolizar el miedo de muchos
ciudadanos a rebelarse contra unas dictaduras que coartan sus libertades.El
jefe de preceptores sería esa figura paternal a la que apelan muchos regímenes
autoritarios. Su aparente bondad se desvela como falsa cuando tiene que violar
los derechos de los ciudadanos -en este caso el de una profesora a su cargo- en
beneficio propio. De la misma manera, el colegio, mostrado casi como si fuera
una cárcel, sería el símbolo de un país y un tiempo, la Argentina de la
dictadura, donde todo el mundo estaba bajo sospecha. La apagada fotografía
refuerza más si se quiere el tono grisáceo y triste que reina en cualquier
régimen donde las libertades son constantemente vulneradas y todo el mundo se
encuentra en permanente observación.
En resumen, La mirada invisible es una más que interesante película
que, pese a ciertas innecesarias reiteraciones y subrayados de su guión, se
convierte en una de las mayores revelaciones del cine argentino de las últimas
temporadas.
…El Proceso (1976-1983), como se denomina a la dictadura que sometió a la
Argentina, aplicó la persecución, el secuestro, la tortura y la desaparición
como método sistemático, bajo el pretexto de "impedir que el comunismo se
instalara en el país". Aunque sabemos que, más bien, era un plan
orquestado por las grandes potencias, que reproducían este esquema en toda la
región para sostener un régimen que no pensaba en los seres humanos como tales,
sino en función de los intereses económicos de sus clases dirigentes. Esa
sistematización del proceso, esa sensación de miedo impuesto a través de unas leyes
totalmente subjetivas y ese temor al castigo están más que impresos en el film
de Lerman.
Ce film
argentin, présenté à la Quinzaine des réalisateurs de Cannes 2010, prend le
parti de situer son action en mars 1982, alors que le pouvoir militaire en
place est sur le point de chuter, suite à l'échec de la guerre des Malouines,
et de ne jamais montrer que l'intérieur d'un collège voué à la formation des
élites, sous la coupe d'un pouvoir en place. Austère en diable, le film de
Diego Lerman met en place un savant parallèle entre l'oppression qui règne au
cœur du collège et ce que l'on peut imaginer de la dictature extérieure. Les
individus, écrasés, à l'image de cette frêle jeune femme qui traverse à pas
rapide une cour en forme de damier gigantesque, sont méprisés, épiés dans leurs
moindres gestes…
…Voulu comme une oeuvre suffocante, mais expiatoire grâce à un final
cathartique forcément brutal, L’oeil
invisible déploie toute une
panoplie scolaire pour oppresser et subvertir ; le résultat final n’est
pas déshonorant mais quelque peu figé dans les bonnes intentions. On en ressort
mi-admiratif par la beauté formelle des images, mi-engourdi par leur didactisme
ronflant. Encore une fois, Diego Lerman, chef de fil de la Nouvelle Vague
argentine, est passé à côté d’un grand film…
… Tutto il film, in realtà, manca di nerbo. La messa in scena non lascia
pensare nemmeno un secondo di poter pervenire a quello “sguardo invisibile” che
intitola il film: lui solo avrebbe potuto rendere realmente perturbanti i
sintomi che la regia si affanna a gonfiare. Essa insomma vorrebbe rendere il
demone che pulsa sotto la pelle, i sintomi di un desiderio represso che scalcia
per arrivare in superficie. Ma dove, per dire, Lucrecia Martel pur non essendo
un genio capisce (capiva) che i sintomi devianti hanno senso solo se la regia
li mescola ambiguamente a qualche altra cosa (come per esempio il dato
narrativo “normale” di una scena), Lerman invece commette l’ingenuità fatale di
mettere questi sintomi direttamente al centro dell’interesse della macchina da
presa. Il che fa perdere a tutti questi “bollori” tutta la loro forza
eventuale, li sfiata osservandoli da troppo vicino, impedendo a una metafora
davvero troppo scontata e telefonata di riscattarsi dalla sua prevedibilità.
.. Gran parte della riuscita di questo film si deve alla straordinaria
interpretazione di Julieta Zylberberg che domina lo schermo dalla prima
all’ultima inquadratura. L’attrice riesce a comporre, con rara sensibilità, il
personaggio tormentato e oppresso di Marita. La recitazione è dominata da una
postura fisica rigida e controllata; la ragazza cammina come un manichino, ha i
capelli strettamente raccolti sulla nuca, i vestiti scialbi e severi. La sua
lotta interiore, lo scarto fra il desiderio carnale, la gioia ‘sovversiva’ per
la vita, il sesso da un lato e un dovere di conformità alle regole dominanti
dall’altra, tutta questa tempesta di sentimenti contrastanti, attraversa come
un guizzo nervoso il suo guardo, traspare in una leggera contrazione delle
labbra, in un tremito fugace del volto. L’umanità del personaggio, la sua
completa dissoluzione e liberazione è affidata all’ultima scena del film in cui
Marita, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, i vestiti scompigliati, si
trascina a passi lenti e malfermi verso l’uscita della scuola e verso la sua
libertà. Di fronte a tante qualità si può rimproverare al regista di avere
calcato un po’ la mano sulla descrizione delle pulsioni sessuali dei
protagonisti: l’esasperazione di tanta libido repressa è, a tratti, eccessiva e
rischia di parere leggermente caricaturale. Inoltre il ritmo della narrazione
soffre, nella parte centrale del film, di una certa lentezza. Nonostante
questi piccoli difetti La mirada invisibile resta
senza dubbio un film degno di nota.
C’è molta
grazia nella regia di Diego Lerman. Ma è una grazia acerba, eccessivamente
timorosa di accostarsi ad una realtà considerata troppo fragile per sopportare
il peso di un’interpretazione chiarificatrice. La gracile femminilità della
protagonista diffonde nell’ambiente circostante un sentore di precarietà ed
incertezza: una fragranza rarefatta che emana dai fremiti dei sentimenti
repressi. Maria Teresa Cornejo, detta Marita, nel 1982 ha ventitré anni e
lavora come sorvegliante in uno storico collegio di Buenos Aires. A lei è
affidato il compito di vigilare sempre, e in ogni luogo, sulla condotta degli
allievi, che devono essere perfetti in tutto, a cominciare dal modo di portare
i capelli o di indossare la divisa. Il suo ruolo è quello dello sguardo invisibile, che osserva senza essere notato,
intrufolandosi segretamente ovunque, soprattutto negli angoli più nascosti,
dove i ragazzi sono convinti di potersi abbandonare indisturbati alle loro
piccole passioni proibite, dal bacio adolescenziale ai giornaletti di satira
politica. E così, senza che nessuno se ne accorga, Marita riesce ad inserire di
soppiatto, nella pratica della sua missione istituzionale, un obiettivo
strettamente personale: spiare uno studente di cui si è invaghita...
da qui
Di Lerman ho "Tan de Repente", girato in un bianco e nero sgranato, bellissimo. Recupero d'obbligo anche per questo!
RispondiEliminami dirai...
RispondiElimina"Tan de Repente" ancora non l'ho visto, ma l'ho trovato dopo "La mirada invisible", lo metto in listat