martedì 2 luglio 2013

La mirada invisible - Diego Lerman

ambientato nel 1982, in un'Argentina oppressa, ma sembra che il tempo si sia fermato al collegio del giovane Torless.
la regola sembra, ed è, "sorvegliare e punire", Julieta Zylberberg, la protagonista è di una bravura enorme, già solo per lei il film merita di essere visto, ma c'è altro che vale.
soffocante e angosciante,  come molti film dell'orrore non arrivano ad essere, a me è piaciuto molto - Ismaele





…Una estupenda Julieta Zylberberg compone de manera admirable a esa profesora que se debate entre las normas que se ve obligada a cumplir y sus deseos de hacer realidad sus más íntimas pasiones. Su temor a romper con el orden establecido viene a simbolizar el miedo de muchos ciudadanos a rebelarse contra unas dictaduras que coartan sus libertades.El jefe de preceptores sería esa figura paternal a la que apelan muchos regímenes autoritarios. Su aparente bondad se desvela como falsa cuando tiene que violar los derechos de los ciudadanos -en este caso el de una profesora a su cargo- en beneficio propio. De la misma manera, el colegio, mostrado casi como si fuera una cárcel, sería el símbolo de un país y un tiempo, la Argentina de la dictadura, donde todo el mundo estaba bajo sospecha. La apagada fotografía refuerza más si se quiere el tono grisáceo y triste que reina en cualquier régimen donde las libertades son constantemente vulneradas y todo el mundo se encuentra en permanente observación.
En resumen, La mirada invisible es una más que interesante película que, pese a ciertas innecesarias reiteraciones y subrayados de su guión, se convierte en una de las mayores revelaciones del cine argentino de las últimas temporadas.

El Proceso (1976-1983), como se denomina a la dictadura que sometió a la Argentina, aplicó la persecución, el secuestro, la tortura y la desaparición como método sistemático, bajo el pretexto de "impedir que el comunismo se instalara en el país". Aunque sabemos que, más bien, era un plan orquestado por las grandes potencias, que reproducían este esquema en toda la región para sostener un régimen que no pensaba en los seres humanos como tales, sino en función de los intereses económicos de sus clases dirigentes. Esa sistematización del proceso, esa sensación de miedo impuesto a través de unas leyes totalmente subjetivas y ese temor al castigo están más que impresos en el film de Lerman.

Ce film argentin, présenté à la Quinzaine des réalisateurs de Cannes 2010, prend le parti de situer son action en mars 1982, alors que le pouvoir militaire en place est sur le point de chuter, suite à l'échec de la guerre des Malouines, et de ne jamais montrer que l'intérieur d'un collège voué à la formation des élites, sous la coupe d'un pouvoir en place. Austère en diable, le film de Diego Lerman met en place un savant parallèle entre l'oppression qui règne au cœur du collège et ce que l'on peut imaginer de la dictature extérieure. Les individus, écrasés, à l'image de cette frêle jeune femme qui traverse à pas rapide une cour en forme de damier gigantesque, sont méprisés, épiés dans leurs moindres gestes…

Voulu comme une oeuvre suffocante, mais expiatoire grâce à un final cathartique forcément brutal, L’oeil invisible déploie toute une panoplie scolaire pour oppresser et subvertir ; le résultat final n’est pas déshonorant mais quelque peu figé dans les bonnes intentions. On en ressort mi-admiratif par la beauté formelle des images, mi-engourdi par leur didactisme ronflant. Encore une fois, Diego Lerman, chef de fil de la Nouvelle Vague argentine, est passé à côté d’un grand film…

… Tutto il film, in realtà, manca di nerbo. La messa in scena non lascia pensare nemmeno un secondo di poter pervenire a quello “sguardo invisibile” che intitola il film: lui solo avrebbe potuto rendere realmente perturbanti i sintomi che la regia si affanna a gonfiare. Essa insomma vorrebbe rendere il demone che pulsa sotto la pelle, i sintomi di un desiderio represso che scalcia per arrivare in superficie. Ma dove, per dire, Lucrecia Martel pur non essendo un genio capisce (capiva) che i sintomi devianti hanno senso solo se la regia li mescola ambiguamente a qualche altra cosa (come per esempio il dato narrativo “normale” di una scena), Lerman invece commette l’ingenuità fatale di mettere questi sintomi direttamente al centro dell’interesse della macchina da presa. Il che fa perdere a tutti questi “bollori” tutta la loro forza eventuale, li sfiata osservandoli da troppo vicino, impedendo a una metafora davvero troppo scontata e telefonata di riscattarsi dalla sua prevedibilità.

.. Gran parte della riuscita di questo film si deve alla straordinaria interpretazione di Julieta Zylberberg che domina lo schermo dalla prima all’ultima inquadratura. L’attrice riesce a comporre, con rara sensibilità, il personaggio tormentato e oppresso di Marita. La recitazione è dominata da una postura fisica rigida e controllata; la ragazza cammina come un manichino, ha i capelli strettamente raccolti sulla nuca, i vestiti scialbi e severi. La sua lotta interiore, lo scarto fra il desiderio carnale, la gioia ‘sovversiva’ per la vita, il sesso da un lato e un dovere di conformità alle regole dominanti dall’altra, tutta questa tempesta di sentimenti contrastanti, attraversa come un guizzo nervoso il suo guardo, traspare in una leggera contrazione delle labbra, in un tremito fugace del volto. L’umanità del personaggio, la sua completa dissoluzione e liberazione è affidata all’ultima scena del film in cui Marita, i lunghi capelli sciolti sulle spalle, i vestiti scompigliati, si trascina a passi lenti e malfermi verso l’uscita della scuola e verso la sua libertà. Di fronte a tante qualità si può rimproverare al regista di avere calcato un po’ la mano sulla descrizione delle pulsioni sessuali dei protagonisti: l’esasperazione di tanta libido repressa è, a tratti, eccessiva e rischia di parere leggermente caricaturale. Inoltre il ritmo della narrazione soffre, nella parte centrale del film, di una certa lentezza.  Nonostante questi piccoli difetti La mirada invisibile resta senza dubbio un film degno di nota.

C’è molta grazia nella regia di Diego Lerman. Ma è una grazia acerba, eccessivamente timorosa di accostarsi ad una realtà considerata troppo fragile per sopportare il peso di un’interpretazione chiarificatrice. La gracile femminilità della protagonista diffonde nell’ambiente circostante un sentore di precarietà ed incertezza: una fragranza rarefatta che emana dai fremiti dei sentimenti repressi. Maria Teresa Cornejo, detta Marita, nel 1982 ha ventitré anni e lavora come sorvegliante in uno storico collegio di Buenos Aires. A lei è affidato il compito di vigilare sempre, e in ogni luogo, sulla condotta degli allievi, che devono essere perfetti in tutto, a cominciare dal modo di portare i capelli o di indossare la divisa. Il suo ruolo è quello dello sguardo invisibile, che osserva senza essere notato,  intrufolandosi segretamente ovunque, soprattutto negli angoli più nascosti, dove i ragazzi sono convinti di potersi abbandonare indisturbati alle loro piccole passioni proibite, dal bacio adolescenziale ai giornaletti di satira politica. E così, senza che nessuno se ne accorga, Marita riesce ad inserire di soppiatto, nella pratica della sua missione istituzionale, un obiettivo strettamente personale: spiare uno studente di cui si è invaghita...
da qui

2 commenti:

  1. Di Lerman ho "Tan de Repente", girato in un bianco e nero sgranato, bellissimo. Recupero d'obbligo anche per questo!

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  2. mi dirai...
    "Tan de Repente" ancora non l'ho visto, ma l'ho trovato dopo "La mirada invisible", lo metto in listat

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