Michele Placido al meglio fa il mafioso, in un film che è sul Potere, e quindi anche sulla Mafia.
Damiano Damiani conferma di essere un bravo regista, con una sceneggiatura che non ti fa annoiare un momento.
la storia ha tutto quello che serve, il bravo giudice, la mafia in giacca e cravatta, l'amore del fratello per la prostituta bambina.
non perdetevelo.
buona (mafiosa) visione - Ismaele
QUI si può vedere il film completo
…Il film di Damiani soffre di qualche lungaggine melodrammatica,
come l'amore di Michele per Cecilia (Simona Cavallari), una quattordicenne che
viene fatta prostituire dalla madre, o i dubbi del procuratore capo Santalucia
(Massimo De Francovich) sulla reale onesta' del suo defunto padre, anch'egli
magistrato. Ma tolte queste irrilevanti pecche che non riescono a minare il
lavoro di Damiani, PIZZA CONNECTION può contare su un Placido eccezionale,
affiancato da comprimari perfetti e su un confronto tra i due protagonisti
degno di una tragedia biblica. Ritmo serratissimo e sequenze indimenticabili,
come quella dell'attentato, veramente drammatica e impressionante. Quella che
qui e' finzione, sette anni dopo diverrà tragica realtà. Finale forse
prevedibile e telefonato, ma di grande impatto. Come già detto cast impeccabile,
ma mi sento di menzionare l'esordiente Simona Cavallari, all'epoca appena
quattordicenne, tanto brava e intensa, quanto bellissima.
Un gran bel film di mafia, per quanto risentisse di una matrice
artigianal commerciale da tv, come da prassi negli sventurati anni ’80. Il
realismo e la freschezza sono illuminanti, nella loro verità tragica.
Il protagonista è il fratello minore di Placido, ben
interpretato da uno sconosciuto Mark Chase: indignato, genuino, non si piega
all’orrore. Non vuole uccidere il cavallo, dato che non ne ha nessuna motivo;
ma neppure vuole uccidere l’uomo, per analoghi motivi di umanità. Sono gli
stessi per i quali ha perso il lavoro: non era disonesto. Il pescivendolo viene
ucciso perché è onesto: non vuole pagare il pizzo.
Damiani, che qui compone soggetto e sceneggiatura, va al
cuore del problema, che è del potere di sempre, in gran parte, e non solo di
quello mafioso; chi ha dei valori morali proprio per questo non fa
carriera. La carriera la fa chi non vuole averne, e proprio perché non ne vuole
avere.
L’altro esempio è il giudice: roso dal sospetto che il padre
fosse corrotto, lui non vuole esserlo. Proprio per questo viene massacrato. A
colpi di bazooka, in pieno centro, con apoteosi di barbarie, che purtroppo la
realtà non ha visto limitata alla sola fiction. Straordinario il dialogo in cui
il giudice si rifiuta di accondiscendere alla proposta del suo sottoposto, una
proposta tradizionale e vincente: far affari con certi criminali,
avvantaggiandoli, pur di avere quelle informazione e quell’appoggio che sono
indispensabili per fermare alti criminali, che al momento appaiono ancor più
importanti da fermare. Ingiustizia fomentata dallo stato, pur di fermare altra
ingiustizia. Pagherà questa insensatezza il giudice, ma soprattutto per questo:
attaccherà i politici e i ricchi, quei piani alti che consentono protezione a
Cosa nostra. Il giudice può dire: «È il giudice a dover sempre essere
scortato: qui sembra lui il vero delinquente».
Il film mostra bene poi la disinvoltura con cui la mafia era
penetrata, ed era stata lasciata penetrare con modalità corrotte, nello Stato,
condizionandolo e guidandolo. La tattica del “corvo”, dell’informatore della
mafia in seno alle istituzioni, è resa bene. Così come i vari livelli di
potere: indecifrabili, ma se ne sa abbastanza perché ognuno sappia che
dev’essere disonesto e fare la sua parte nel male. Solo così potrà continuare a
prosperare.
Splendida anche la storia d’amore, pulita, che segna subito
un’impennata nella tagliente sceneggiatura: la minorenne che si deve
prostituire per volere della madre e del patrigno, solo per pagare l’eroina la
fratello maggiore, prediletto. Un orrore, consumato in modo abitudinario, nella
più corsiva quotidianità dell’ignoranza e del degrado, da cui si riscatta solo
il protagonista, pronto a rischiare di tutto. Il che è un emblema dell’unica
soluzione: i valori morali seri sono l’unica diga contro la violenza, che altrimenti
non può che prevalere.
Muy buen polizziesco ochentero con logrados
toques dramáticos. La trama mantiene en vilo al espectador en todo momento; el
conflicto entre los hermanos (que se quieren pese a ser incompatibles), el
idilio entre el inocente Michele y la atormentada adolescente Cecilia, las
intrigas en el seno de la Mafia y el retrato del Palermo de aquellos años
consiguen crear un interés creciente no sólo para los seguidores habituales del
género, sino también para un público más vasto. El en Italia bastante conocido
actor Michele Placido, que interpreta a Mario, dirigió más de 20 años después
la también muy interesante “Romanzo
Criminale” (2008). Por su parte el joven Mark Chase (que da
vida a Michele) tiene curiosamente un notable parecido físico con José Luis
Manzano, el protagonista de „El Pico“ y
otros productos del cine quinqui de Eloy de la Iglesia.
No obstante, la historia de
“Pizza Connection” filmada por Damiano Damiani no tiene nada que ver con la
auténtica Pizza Connection (sucesora mediática de la “French Connection”) que
existió en los años setenta y fue desbaratada poco antes del estreno de ésta
película; la red de contrabando de droga que funcionaba importando a Sicilia
opio procedente de Turquía para procesarlo en laboratorios de la isla italiana,
transformándolo en heroína que a su vez era exportada a los EEUU y distribuída
desde pizzerías neoyorkinas que hacían las veces de tapaderas.
Aunque no está basada en la
historia real, la película merece ser vista.
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