lunedì 9 settembre 2024

Campo di battaglia - Gianni Amelio

Stefano e Giulio sono due medici che lavorano in un ospedale militare, durante la prima guerra mondiale.

Stefano rimanda tutti a morire per la patria, se ancora quei soldati respirano, Giulio cerca di fare il possibile per rimandare a casa quei poveri cristi che ancora respirano, mandati a morire per una guerra maledetta, come tutte.

Anna, la loro amica infermiera, prima sposa le tesi di Stefano, poi Giulio la convince.

alla fine Giulio paga per la sua umanità, per il suo elogio della diserzione, quando possibile.

non è un film perfetto, ma il suo compito (quasi un documentario) lo svolge benissimo.

buona (pacifista) visione - Ismaele


 

 

Campo di battaglia riesce a comunicarci visivamente molto altro, un senso continuo di minaccia, di orrore, di collasso di un mondo. Di apocalisse. Con una fotografia livida che, soprattutto negli esterni, ci restituisce la desolazione di edifici massicci e grigi adibiti a ospedali, caserme, luoghi di contenzione e concentramento. Edifici squadrati, arcigni, come protesi verso il nulla (con un che, ma sì, di kafkiano, se volete di buzzatiano, di profondamente mitteleuropeo e poco italo-mediterraneo). E l’insistere della cinepresa sui corpi malati e vulnerati, sul sangue rappreso, sui bendaggi, sulle protesi, sulle stampelle, finiscono col configurare, forse al di là delle intenzioni dello stesso regista, un universo concentrazionario da cinema del mistero e dell’orrore. Di un orrore coporale e ancora di più mentale, psicologico. Che è una cifra assai rara nel nostro cinema e che fa di Campo di battaglia qualcosa di audace e anomalo. Ancora di più si slitta dal cinema bellico al gothic nella seconda parte, quando scende in  campo un altro nemico, l’epidemia che prenderà il nome di spagnola. I due medici amici-nemici, Siefano e Giulio, si troveranno ad affrontare anche questa nuova battaglia, ognuno a modo suo e con ruoli diversi: mentre il tasso visionario si alza e Campo di battaglia si fa sempre più incubo notturno, con quel lazzaretto dove vengono accumulati e isolati i malati per contenere il contagio, fino alla grande sequenza dei cadaveri buttati nella fossa comune e bruciati (ogni riferimento alla recente pandemia da Covid è probabilmente voluto). Si resta alla fine con la sensazione di avere assistito non a un classico film sulla guerra, piuttosto a un cinema di esplorazione del lato oscuro, nostro e della Storia, individuale e collettivo. Gabriel Montesi, attore in ascesa, è perfetto quale medico carogna, Alessandro Borghi forse un filo troppo manierato come Giulio. Federica Rosellini, gran nome del nostro teatro (non solo) di ricerca, è la crocerossina che voleva essere medico.

da qui

 

…Bei dialoghi che rispettano le etimologie meravigliose dei nostri dialetti unici, così diversi da sembrare lingue differenti, ma non per questo passibili di non fare comprendere i sentimenti di chi li esprime ad altri coscritti, uniti da lingue differenti ma capaci di comprendersi con un semplice sguardo.

Un film scientemente lento e riflessivi, lucido e schietto che non rinuncia a ottime ricostruzioni di campi di battaglia e trincee, ospedali devastato da urla e dolore.

I tre interpreti citati sono davvero bravi, e Gianni Amelio si conferma, c'è ne fosse bisogno, un caposaldo versatile e sensibile del cinema di casa nostra.

da qui

 

Gianni Amelio è uno dei grandi vecchi del cinema italiano, continua per la sua strada senza tentennamenti, anche se la critica nostrana sembra avergli voltato le spalle già da anni. "Campo di battaglia" è un film certamente dignitoso, magari non una delle sue opere maggiori in assoluto, ma non è un film di cui ci si possa liberare in maniera sbrigativa, come ha fatto una parte della stampa alla mostra di Venezia.

Il film è una requisitoria contro la guerra e un'analisi del conflitto di coscienza da parte di due ufficiali medici che si trovano a curare soldati feriti provenienti dal fronte della prima Guerra mondiale: il dottore interpretato da Gabriel Montesi vuole che i soldati guariscano in fretta per tornare al fronte, quello interpretato da Alessandro Borghi invece è pronto a causare ferite ulteriori per allontanare definitivamente il ritorno alla trincea…

da qui

 

incredibile a dirsi, ma i presupposti di Campo di battaglia di Gianni Amelio sono tutti giusti. L’obiettivo, è chiaro, è di fare un film sulla prima guerra mondiale (in realtà poi vuole usare quello scenario per parlare d’altro, ma a questo ci arriviamo) e l’osservatorio scelto è perfetto: il Friuli Venezia Giulia nel 1918. Vuole raccontare di come le persone vivessero la guerra e per farlo sceglie anche le figure perfette: due medici che lavorano in un ospedale militare che non fa che ricevere feriti veri e feriti che si sono procurati le ferite (anche gravi) per essere mandati a casa. E poi ancora ha la caratterizzazione giusta: questi due medici sono uno molto patriottico, spietato, che indaga, cerca, scopre le truffe e non fa che rimandare al fronte al minimo dubbio; l’altro molto compassionevole che, di nascosto, opera e peggiora le condizioni di alcuni pazienti (in accordo con loro), così che non possano che essere davvero mandati a casa.

Sono le due anime del paese di fronte alla guerra, ma anche di fronte a qualsiasi cosa: quella rigorosa che crede nelle istituzioni, in quello che dicono e nella necessità di un atteggiamento intransigente; e quella che invece opera al di fuori di tutto, a proprio rischio, anteponendo l’umanità e i propri valori a quelle che sono le decisioni dello Stato, rispondendo a una morale che è sia sua che (nella sua testa) più alta. E nonostante entrambi gli attori, Gabriel Montesi e Alessandro Borghi, siano molto bravi a fare (da romani) due medici veneti, è Montesi a stupire di più, con questo personaggio davvero di altri tempi, una tipologia umana che non c’entra niente con il presente e ha un altro modo di fare, di relazionarsi, di muoversi e di parlare, che sembra venire dal passato. Duro e inflessibile, regio in tante cose, e che con abilità lascia trapelare ogni tanto un’umanità nascosta sotto strati di un senso del dovere come lo si poteva concepire solo a inizio Novecento…

da qui

 




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