Stefano e Giulio sono due medici che lavorano in un ospedale militare, durante la prima guerra mondiale.
Stefano rimanda tutti a morire per la patria, se ancora quei soldati respirano, Giulio cerca di fare il possibile per rimandare a casa quei poveri cristi che ancora respirano, mandati a morire per una guerra maledetta, come tutte.
Anna, la loro amica infermiera, prima sposa le tesi di Stefano, poi Giulio la convince.
alla fine Giulio paga per la sua umanità, per il suo elogio della diserzione, quando possibile.
non è un film perfetto, ma il suo compito (quasi un documentario) lo svolge benissimo.
buona (pacifista) visione - Ismaele
…Campo di battaglia riesce a comunicarci visivamente molto altro, un
senso continuo di minaccia, di orrore, di collasso di un mondo. Di apocalisse.
Con una fotografia livida che, soprattutto negli esterni, ci restituisce la
desolazione di edifici massicci e grigi adibiti a ospedali, caserme, luoghi di
contenzione e concentramento. Edifici squadrati, arcigni, come protesi verso il
nulla (con un che, ma sì, di kafkiano, se volete di buzzatiano, di
profondamente mitteleuropeo e poco italo-mediterraneo). E l’insistere della cinepresa
sui corpi malati e vulnerati, sul sangue rappreso, sui bendaggi, sulle protesi,
sulle stampelle, finiscono col configurare, forse al di là delle intenzioni
dello stesso regista, un universo concentrazionario da cinema del mistero e
dell’orrore. Di un orrore coporale e ancora di più mentale, psicologico. Che è
una cifra assai rara nel nostro cinema e che fa di Campo di battaglia qualcosa di audace e anomalo.
Ancora di più si slitta dal cinema bellico al gothic nella
seconda parte, quando scende in campo un altro nemico, l’epidemia che
prenderà il nome di spagnola. I due medici amici-nemici, Siefano e Giulio, si
troveranno ad affrontare anche questa nuova battaglia, ognuno a modo suo e con
ruoli diversi: mentre il tasso visionario si alza e Campo di battaglia si fa sempre più incubo
notturno, con quel lazzaretto dove vengono accumulati e isolati i malati per
contenere il contagio, fino alla grande sequenza dei cadaveri buttati nella
fossa comune e bruciati (ogni riferimento alla recente pandemia da Covid è
probabilmente voluto). Si resta alla fine con la sensazione di avere assistito
non a un classico film sulla guerra, piuttosto a un cinema di esplorazione del
lato oscuro, nostro e della Storia, individuale e collettivo. Gabriel Montesi,
attore in ascesa, è perfetto quale medico carogna, Alessandro Borghi forse un
filo troppo manierato come Giulio. Federica Rosellini, gran nome del nostro
teatro (non solo) di ricerca, è la crocerossina che voleva essere medico.
…Bei
dialoghi che rispettano le etimologie meravigliose dei nostri dialetti unici,
così diversi da sembrare lingue differenti, ma non per questo passibili di non
fare comprendere i sentimenti di chi li esprime ad altri coscritti, uniti da
lingue differenti ma capaci di comprendersi con un semplice sguardo.
Un film
scientemente lento e riflessivi, lucido e schietto che non rinuncia a ottime
ricostruzioni di campi di battaglia e trincee, ospedali devastato da urla e
dolore.
I tre
interpreti citati sono davvero bravi, e Gianni Amelio si
conferma, c'è ne fosse bisogno, un caposaldo versatile e sensibile del cinema
di casa nostra.
Gianni Amelio è uno dei grandi vecchi del cinema italiano, continua
per la sua strada senza tentennamenti, anche se la critica nostrana sembra
avergli voltato le spalle già da anni. "Campo di battaglia" è un film
certamente dignitoso, magari non una delle sue opere maggiori in assoluto, ma
non è un film di cui ci si possa liberare in maniera sbrigativa, come ha fatto
una parte della stampa alla mostra di Venezia.
Il film è una requisitoria contro la guerra e un'analisi del
conflitto di coscienza da parte di due ufficiali medici che si trovano a curare
soldati feriti provenienti dal fronte della prima Guerra mondiale: il dottore
interpretato da Gabriel Montesi vuole che i soldati guariscano in fretta per
tornare al fronte, quello interpretato da Alessandro Borghi invece è pronto a
causare ferite ulteriori per allontanare definitivamente il ritorno alla
trincea…
incredibile a dirsi, ma i presupposti di Campo di
battaglia di Gianni Amelio sono tutti giusti. L’obiettivo, è chiaro,
è di fare un film sulla prima guerra mondiale (in
realtà poi vuole usare quello scenario per parlare d’altro, ma a questo ci
arriviamo) e l’osservatorio scelto è perfetto: il Friuli Venezia Giulia nel
1918. Vuole raccontare di come le persone vivessero la guerra e per farlo
sceglie anche le figure perfette: due medici che lavorano in un ospedale
militare che non fa che ricevere feriti veri e
feriti che si sono procurati le ferite (anche gravi) per essere mandati a casa.
E poi ancora ha la caratterizzazione giusta: questi due medici sono uno
molto patriottico, spietato, che indaga, cerca, scopre le
truffe e non fa che rimandare al fronte al minimo dubbio; l’altro molto compassionevole che,
di nascosto, opera e peggiora le condizioni di alcuni pazienti (in accordo con
loro), così che non possano che essere davvero mandati a casa.
Sono le due anime del paese di
fronte alla guerra, ma anche di fronte a qualsiasi cosa: quella rigorosa che
crede nelle istituzioni, in quello che dicono e nella necessità di un
atteggiamento intransigente; e quella che invece opera al di fuori di tutto, a
proprio rischio, anteponendo l’umanità e i propri valori
a quelle che sono le decisioni dello Stato, rispondendo a una morale che è sia
sua che (nella sua testa) più alta. E nonostante entrambi gli attori, Gabriel
Montesi e Alessandro Borghi,
siano molto bravi a fare (da romani) due medici veneti, è Montesi a stupire di
più, con questo personaggio davvero di altri tempi, una tipologia umana che non
c’entra niente con il presente e ha un altro modo di fare, di relazionarsi, di
muoversi e di parlare, che sembra venire dal passato. Duro e inflessibile,
regio in tante cose, e che con abilità lascia trapelare ogni tanto un’umanità
nascosta sotto strati di un senso del dovere come lo si poteva
concepire solo a inizio Novecento…
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