mercoledì 11 settembre 2024

I Ragazzi del massacro - Fernando Di Leo

tratto da una storia di Giorgio Scerbanenco, il film nelle mani di Fernando Di Leo diventa un gioiellino.

una storia terribile, nei primi minuti si vede e si capisce tutto e poi tocca al commissario Lamberti cercare di capire cosa è successo.

una sceneggiatura che non lascia respiro, non perdetevelo.

buona (violenta) visione - Ismaele



QUI si può vedere il film completo

 

 

Qualche anno prima di “Arancia meccanica” di Kubrick, Di Leo ci mostra i “nostri” drughi nostrani, che bevono anice lattescente al posto di “latte più” e risultano molto ma molto più brutali e meschini di Alex e la sua banda. Di Leo prende come spunto il lavoro di Scerbanenco per costruire una storia che per l'epoca era davvero attuale e per alcuni fatti di cronaca quasi premonitrice.
Ottima la scelta di Pier Paolo Capponi, che riesce ad incarnare un commissario dalle mille sfumature: deciso ma tenero con chi capisce che potrà condurlo alla soluzione finale, convinto a catturare il mandante contro tutto e tutti, anche a costo della propria carriera.
Ottima la scelta di utilizzare per il “branco” ragazzi di strada, non attori professionisti, scelti esclusivamente per le loro caratteristiche fisiche e per i volti segnati da una reale vita difficile.
Alcuni di loro hanno cercato in seguito una carriera nel settore cinematografico, invano.

da qui

 

Un' "Arancia meccanica" arrivata in anticipo e senza lo straordinario talento visionario di un genio come Kubrick, ma di Leo, con pochi mezzi (si notano alcune inquadrature da "buona la prima"!), riesce a rendere un'atmosfera angosciante e coinvolgente, tutta italiana ma esportabile. Viene voglia alzarsi dalla poltrona e stringere la mano al regista per dirgli: "Bravo! Davvero bravo!"

da qui

 

Quando osserviamo quel manipolo di delinquentelli farsi stupratori e assassini della loro giovane insegnante, la prima impressione che ne riceviamo è di essere dinnanzi a dei figli del demonio. Le loro facce torve sono il manifesto incontestabile del Male che li governa. La loro impassibilità, o meglio ancora la loro ferrea serenità, ci è insostenibile. Di fatto tutto ciò che vien dopo, nel film, si configura come un'umanizzazione progressiva di questi piccoli mostri, a partire da quella prima, orrifica, Polaroid iniziale. Per esempio uno dei ragazzi, il più giovane, non ha il coraggio di guardare la fotografia dell'insegnate straziata; un altro ha sonno, quasi in maniera infantile; un altro ancora sembra raggiungere il suo stato di beatitudine massima solo per il fatto di poter indossare giacca e cravatta, sotto la Galleria Vittorio Emanuele, come una persona perbene. Sono più gli adulti, incredibilmente, nel seguito, a farci ribrezzo: chi non ha intenzione di contribuire a risolvere il caso, chi vuole disfarsi dell'ingombrante presenza dei ragazzi il prima possibile, chi vuole conservare la poltrona... e soprattutto colui che ha empiamente corrotto le menti dei giovani prospettando loro soldi e donne facili. A quest'Omino di Burro è sufficiente una lucente Porsche - e un po' di alcol - per catturare la loro fantasia, e ingabbiarli in un bituminoso sogno da Paese dei Balocchi. Io tuttavia non credo ci sia un intento giustificazionista alla base: come dire, i giovani sono cattivi perché sono cattivi gli adulti. E non è neanche lontanamente presente un sottotesto consolatorio, del tipo, l'uomo nasce secondo principi di bontà, e viene contaminato dall'ambiente che lo circonda. Penso piuttosto che la poetica di Di Leo si cibi di una visione del mondo in cui tutto è nero, sia il giovane sia l'adulto, sia la persona perbene sia l'uomo dei bassifondi, sia il criminale sia il poliziotto. Solo il burbero commissario Lamberti rimane estraneo a questo inferno, ma la sua faccia ci dice moltissimo sul fardello della sua battaglia in solitario.

da qui

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