martedì 3 settembre 2024

Sette opere di misericordia – fratelli De Serio

un'opera cupa, due scarti della società s'incontrano e da lì nasce un rapporto complicato, ma si capiscono subito.

Roberto Herlitzka è perfetto per quel ruolo.

le sette opere di misericordia sono quelle del Vangelo secondo Matteo.

i registi poi hanno girato solo Spaccapietre.

da non perdere.

buona (misericordiosa) visione - Ismaele


 

 

 

Torino. Luminita è una giovane clandestina moldava che sopravvive grazie al borseggio di cui deve poi dare i frutti ai suoi 'padroni'. Luminita ha però un piano per sfuggire al loro controllo e ottenere dei documenti falsi. Inizia a metterlo in atto scegliendosi una vittima a caso. La vittima è Antonio, un uomo anziano e malato che vive in una situazione di semidegrado ed è costretto periodicamente a farsi ricoverare in ospedale. È lì che la ragazza lo incontra e inizia a seguirne le mosse.
Se vivessimo nell'area francofona in cui la passione cinefila è ancora intensamente vissuta si potrebbe paragonare l'esordio nel lungometraggio di finzione dei fratelli De Serio a quello dei Dardenne con 
La Promesse. Temiamo invece (sperando ovviamente di essere smentiti) che questo film non riceva l'attenzione che invece merita. Perché la rilettura delle cristiane opere di misericordia non ha nulla di confessionale e invece ha moltissimo di quel cinema che sa scavare a fondo nell'animo umano tout court…

da qui

 

Luminita ha una vita fatta di espedienti ed emarginazione, Antonio invece consuma le sue giornate nella solitudine di una vecchiaia senza parole. L'emancipazione di entrambi passerà attraverso un incontro, in cui le differenze ed i contrasti si scioglieranno nella consapevolezza di una sofferenza comune.

Modulato sulle estetiche di un cinema derivato dalla realtà, ma capace di superarla per diventare apologo esistenziale, e qui ci riferiamo alla fenomenologia del quotidiano dei fratelli Dardenne, ed al Krzysztof Kieslowski del "Decalogo", ripreso nella traslazione sul piano laico e prosaico di un tema evangelico e religioso, "Sette opere di misericordia" vive sul contrasto tra l'essenzialità di un racconto minimalista, quasi muto, costruito sulla gestualità, anche corporale dei personaggi, e la complessità di una messinscena, dalla fotografia desaturata al puzzle di suoni reali ed artificiali, organizzata per dare voce all'ineffabile, nel tentativo di far emergere l'universale dal particolare. Immergendo la vicenda in un paesaggio urbano tanto concreto, per la specificità di ambienti quasi sempre lontani dall'iconografia del benessere, quanto rarefatto, per il progressivo diradarsi degli elementi che normalmente costituiscono la cornice della storia, quelli che permettono di inserirla in un contesto geografico o temporale, i fratelli De Serio, al loro esordio in un lungometraggio di finzione, danno vita ad una serie di quadri, ognuno dei quali è introdotto da una didascalia riferita all'opera di misericordia (corporale) che i personaggi stanno per compiere…

da qui

 

Schermo nero. Rumori, presenze. E poi Luminita, giovane moldava, marginale persino in una baraccopoli, clandestina in cerca del minimo riconoscimento sociale, di un documento falso che documenti una (comunque) falsa integrazione. O quantomeno certifichi la sua esistenza. E poi Antonio, anziano prossimo alla morte, dedito ad affari la cui mancanza di limpidezza ha probabilmente bruciato e bucato la gola, uomo solo, bisognoso di cure mediche. Lottano, entrambi, per la sopravvivenza. E si scontrano: lei rapisce un neonato per rivenderlo in cambio di un’identità, aggredisce l’uomo, gli si installa in casa, lo sequestra nella sua stessa dimora. Poi, muti per divergenza linguistica e handicap fisico, si incontrano. Si guardano. Si comprendono. I gemelli De Serio, classe 1978, non sono una scommessa: le loro opere, tra installazioni, corti e documentari (l’ultimo, in ordine di tempo, è il bellissimo Bakroman), hanno girato il mondo, sono state premiate ovunque. E hanno creato una poetica riconoscibile, una visione del mondo e del cinema: un’arte che cammina verso i margini, che si muove lungo i bordi, che guarda e insegna a guardare al di là di ogni pregiudizio, di ogni significato automatico, cristallizzato, stantio. Per questo scelgono, per il loro esordio nel lungometraggio di finzione, di riempire il Cinemascope, il formato dello Spettacolo, dello spettacolo misero e umano della realtà. Per questo non ricorrono a facili drammatizzazioni, per questo creano vuoti ellittici in una narrazione potenzialmente piena di thrilling. Per questo non invitano all’immedesimazione classica, non addomesticano i personaggi per renderli gradevoli allo spettatore, per questo se ne fottono del manicheismo: non ci sono buoni e cattivi, qui. Ci sono uomini, prima che funzioni narrative. Per questo i cartelli che, tra Kieslowski e Godard, citano le sette opere di misericordia e punteggiano la storia si svestono dell’iniziale ironia, fino ad astrarsi dagli eventi mostrati. Perché questo è cinema, rarissimo oggi in Italia, che mostra la realtà e chiede di andare oltre, dallo stato delle cose allo spirito. Per questo parte dal vero e lo scolpisce nel tempo, con i suoi suoni, la sua luce: per dare forma a un concetto, a un sentimento di comprensione. E se il rigore si compiace, se l’idea di cinema si dice troppo esplicitamente, è per marcare la propria - già evidente - differenza: un neo giustificabile, in un’opera prima.

da qui

 

Dal Vangelo secondo Matteo: 1. Dar da mangiare agli affamati; 2. Dar da bere agli assetati; 3. Vestire gli ignudi; 4. Alloggiare i pellegrini; 5. Visitare gli infermi; 6. Visitare i carcerati; 7. Seppellire i morti. Sono queste le sette opere di misericordia del titolo. Rilette in altra forma dai due gemelli De Serio, Gianluca e Massimiliano.

Se nel Vangelo queste sono quelle richieste dal Cristo, per ottenere il perdono dei peccati ed entrare nel suo regno, nel cinema dell’esordio dei fratelli De Serio queste diventano i sette fondamenti su cui si poggia un’estetica della vita e dell’azione, che al suo interno conserva, ma nello stesso tempo distrugge, ogni genere…

da qui

 

E’ un film che si può sintetizzare in un unico aggettivo: crudele. Le sette opere di misericordia corporale (poi ci sono anche quelle spirituali perché giustamente sette sole non bastavano) sono quelle richieste da Gesù per guadagnarsi il regno del Padre. A prescindere dai significati cristiani la rappresentazione delle realtà proprie dei due protagonisti (con la superba espressività del sempre splendido Herlitzka) ben rappresenta alcune situazioni sociali e l’effettivo calvario di molte esistenze. Due percorsi pregni di differente sofferenza si scontrano, s’incontrano accudendosi e infine trovano due distinti e personali momenti di sofferta gratificazione nel “riscatto” del neonato e nel ravvedimento e restituzione dello stesso. La conseguente immancabile punizione evidenzia la componente “bestiale” di tanti umani a prescindere dall’etnia. Il film si chiude con l’unica speranza che, come sempre, dovrebbe risiedere nell’amore. A mio parere è un film che anche senza alcune ostinate sequenze (es: svestizione della moldava o nel finale assurdo persistere del bianco al lunotto del bus) e con qualche dialogo in più non avrebbe perso nulla del suo messaggio. In questo nasce il sospetto d’inutile forzatura verso il cinema d’essai…tranquilli gemelli! …anche con qualche taglio non sarebbe stato ugualmente un film per tutti.

da qui 

 

 


Nessun commento:

Posta un commento