di Francesco Masala
Dopo
quattro anni di chiusura riapre un piccolo cinema da 82 posti, al centro della
città (che funziona anche come teatro).
Ha
del miracoloso, dopo la chiusura di almeno una decina di sale all’inizio di
questo secolo, la (ri)apertura di una sala, per quanto piccola, che si aggiunge ad altre quattro sale (due all'Odissea e due al Greenwich) con una programmazione di film d’essai
(quelli che non si vedono nelle multisale, film e popcorn, o viceversa, per capirci).
In
quel piccolo cinema resuscitato ho visto tanti film, e due me li ricordo più di tutti, La
banda, di Eran Korolin, e La zona, di Rodrigo Plà, nel 2007, a distanza di
poche settimane, due film grandissimi.
Se
uno non li ha visti li cerchi, non se ne pentirà.
Il
primo giorno di riapertura, il 16 febbraio, è stata una festa, sala pienissima,
interventi affettuosi e a volte commossi, fra gli interventi il ricordo di
Sergio Naitza della situazione culturale e cinematografica, delle associazioni e delle sale a Cagliari negli ultimi 50 anni. Forse si è dimenticato di citare il cinema
Sant’Eulalia e il più piccolo di tutti, il Vicoletto, pazienza, mica poteva
dire tutto in pochi minuti, e altri cinema li starò dimenticando anche io.
Però vorrei ricordare Gianni Olla, che frequentava sempre l’Alkestis.
E soprattutto Sergio Naitza ha ricordato il famoso padre Egidio Guidubaldi, una figura gigantesca in Sardegna per la cultura cinematografica, e non solo, da metà degli anni settanta, a Cagliari, scomparso nel 1994.
(Ho
ritrovato un articolo di Sergio Naitza su padre Guidubaldi, del 2012, su
facebook, lo trovate alla fine della pagina.)
E
poi mi sono ricordato, ma non era padre Guidubaldi che aveva fondato il
cineforum nel cinema della chiesa de Le Grazie, all’inizio negli anni settanta,
a Nuoro?
Eravamo
alle scuole medie e poi alle superiori, da 13 a 15-16 anni (poi saremmo andati da soli al cineforum), un paio di professori ci portavano a
vedere dei film che il MIM (Ministero dell’Istruzione e della Mediocrità)
vieterebbe per studenti e studentesse di oggi.
Allora
si chiamava Ministero della Pubblica Istruzione, come suona bene.
Venivano
preparate delle schede dei film, per tutti gli studenti, stampate col ciclostile,
quando la fotocopiatrice (o il fotocopiatore?) era ancora un oggetto del
desiderio.
Ho
cercato un paio di amici di allora (gli amici a quell’età sono e saranno amici
per sempre) e abbiamo ricordato qualche titolo:
Gott
mit uns, di Giuliano Montaldo
Family
life, di Ken Loach
Uomini
contro, di Francesco Rosi
Papillon,
di Franklin J. Schaffner
Rosemary’s baby, di Roman Polanski
Jesus Christ Superstar, di Norman Jewison
Tempi moderni, di Charlie Chaplin
Giordano Bruno, di Giuliano Montaldo.
Noi
eravamo ragazzini e ragazzine nella città (e provincia) additata come il regno
del banditismo e dei sequestri, in tutta Italia, ma la nostra era una vita normale e felice,
grazie anche a quei film.
Eravamo
fortunati ad avere insegnanti un po’ pazzi, e forse è così che devono essere
gli insegnanti.
Poi abbiamo avuto la fortuna che qualche insegnante ci facesse appassionare alla cultura, alla letteratura, ai libri, trasmettendoci il messaggio di Terenzio: "Sono un uomo: nulla, che sia umano, mi è estraneo", non smetteremo mai di ricordarcene.
ma questa è un'altra storia, forse.
Intanto buona vita all’Alkestis.
Ricordo di padre Egidio
Guidubaldi – Sergio Naitza
("L'Unione Sarda" del 12 aprile 2012)
Il vulcanico gesuita per vent'anni agitò le paludose acque dello
"spettacolo".
A Cagliari inventò nuovi spazi, promosse il cineforum, occupò l'anfiteatro.
Sotto il nero cespuglio increspato delle sopracciglia, che contrastava col
bianco candido dei capelli, si muovevano due pozze d'acqua chiara: occhioni
dolci e imploranti, l'arma segreta con la quale riusciva a convincere i più
scettici della bontà delle sue mirabolanti operazioni culturali.
Arrivava in redazione a piedi, sudando e sbuffando nel clergyman,
trascinando la sua mole di pachiderma ferito. Ti guardava sottecchi, sollevava
il mento inquisitorio e disegnava con parole forbite la nuova avventura di
organizzatore di spettacolo disponendo sul tavolo carte stropicciate,
fotografie unte, fotocopie illeggibili che gonfiavano il suo fedele marsupio,
una borsa impiegatizia di pelle lucida. E alla fine puntava bonario l'indice,
ammonendo contro qualcuno e tutti, ma si capiva che lui testardamente voleva
andare fino in fondo. Dove? Al cuore delle sue sfide-utopie, progetti diventati
più grandi di lui, che riassumeva in titoli meravigliosamente colti e astrusi,
lunghi come un film della Wertmüller.
VULCANICO
Questo era padre Egidio Guidubaldi, il vulcanico gesuita scomparso nel
febbraio del 1994 a 74 anni, che per un ventennio ha smosso lo stagno paludoso
della cultura in Sardegna. Un solitario combattente oggi dimenticato, nessuno
che gli abbia dedicato una serata omaggio, un premio, una rassegna. Eppure
quanti debiti abbiamo, e Cagliari in particolare, con questo omone rustego,
paziente per spirito cristiano ma brusco nelle decisioni e nell'imperio del
comando verso i suoi giovani collaboratori. Mal sopportato dal vertice della
compagnia gesuita che borbottava a ogni sua scapestrata intrapresa, scacciato
come una mosca molesta dai politici dispensatori di pecunia pubblica che lo
associavano a un saltimbanco, Guidubaldi tirava dritto nella granitica
convinzione d'essere nel giusto. E lo era anche quando, negli anni prima della
morte, si era infatuato - complice una folgorazione per Jean-Luc Godard al
tempo di Prénom Carmen - della cultura russa, viaggiava oltrecortina, aveva
stretto alleanza con l'Accademia delle Scienze di Mosca, studiava un
parallelismo tra Dante e Aleksandr Blok, poeta dell'Ottobre sovietico,
coltivato in quattro libri, di impervia lettura e complesse teorie, ma spesso -
a parere di illustri critici - ci azzeccava pure.
LA RUSSIA
Allora, però, nessuno gli dava ascolto. E questo era il suo cruccio. Uscito
di scena come organizzatore, in pensione dall'Università (insegnava Letteratura
italiana al Magistero di Sassari) impiegava il suo tempo con cocciutaggine
sulla connection sovietica, che frequentava già nelle more del crollo comunista
e nei vagiti della perestrojka . Dalla Russia con ardore: tornava in città
euforico, una volta entrò trionfante in redazione e sciorinò, come prova del
credito acquistato a Mosca, una copia in cirillico della Literaturnaja gazeta ,
dicendo al perplesso giornalista che naturalmente nulla capiva, «guarda, qui si
parla di me». Sembrava - lo era - un Don Chisciotte: i suoi mulini a vento
erano l'ottusità del potere, la sua Dulcinea la cultura, e Sancio Panza i suoi
fedeli spettatori.
Però Braccobaldo, così era amichevolmente soprannominato, macinava idee,
dibattiti, spettacoli: andava controcorrente, non aveva paura del suo
anticonformismo che gli procurò rimbrotti dai superiori. Non venne mai sospeso
ma poco ci mancò quando difese a spada tratta Je vous salue Marie di Godard che
rileggeva l'Immacolata in chiave moderna. Il Papa condannava il film, orde di
cattolici s'accodavano al monito e lui, nientemeno, organizzava a Roma l'anteprima
nazionale, facendo accorrere la polizia per sequestrare la pellicola. E due
giorni dopo, a Cagliari, promuoveva in un salone dell'Hotel Mediterraneo
(nessuno gli aveva concesso una sala) una serata spettacolo pro Godard. La sua
foto finì in prima pagina sull'Unione Sarda, sopra quella di Papa Wojtyla:
protestò con l'incolpevole giornalista per la mancanza di rispetto che gli
avrebbe procurato guai ma sotto sotto si sentiva orgoglioso della sua
“marachella”.
Era il 1985, l'apice della popolarità e del turbinìo organizzativo. Ma già
nei dieci anni precedenti Guidubaldi aveva segnato la storia cagliaritana dello
spettacolo. Iniziò col teatro guidando la messinscena “domenicale” di testi
come Antonio e Cleopatra di Shakespeare, Aulularia di Plauto, affidati
all'anziano regista Aldo Ancis, arruolato con pacche sulla spalla.
IL CINEFORUM
Il cavallo di battaglia fu il cinema: nella saletta di via Ospedale, dure
sedie di legno cigolanti, il suo cineforum calamitò e educò al piacere del film
molti giovani. Si vedeva Nashville di Altman e tanto cinema della Hollywood di
sinistra (Scorsese, Rafelson, Penn), si proiettava Jesus Christ superstar per
dimostrare l'apertura mentale dei cattolici (e subito dopo L'esorcista ), si
scuoteva la platea con L'altra faccia dell'amore di Ken Russell e soprattutto
con La montagna sacra e El topo di Jodorowsky, film carichi di violenza
surreale e allora vietatissimi ai minori di 18 anni. Gli fu fatto notare che
aveva censurato una sequenza in cui si vedevano dei genitali maschili e lui,
lapidario: «Meglio che li tagli io, prima che li taglino a me», riferendosi al
minculpop gesuitico. Ben prima che Nanni Moretti inventasse la battuta «No, il
dibattito no», Guidubaldi l'aveva messa in pratica: a fine proiezione,
presidiava il centro della sala e microfono in mano dava vita alle sue
elucubrazioni cine-letterarie, già annunciate dalla scheda ciclostilata
consegnata alla cassa. Il pubblico scappava alla chetichella, oppure
rumoreggiava insolente e lui sollevava il tono baritonale. Più di una volta
fece sprangare le porte, intrappolando tutti nella sacra discussione.
La sua poliedrica attività non si fermava qui: scrisse un musical
sindacal-politico, Lama star , organizzò spettacoli di ballo a Sassari con
Carla Fracci, convinse il medagliato regista Orazio Costa Giovangigli, allora
ottantenne, a dirigere una messinscena dell'Inferno dantesco, prima
all'anfiteatro, poi al Colosseo: aveva tutto pronto, scene e bozzetti, pure
articoli sul Messaggero ma la soprintendenza di Roma gli negò il permesso.
INVENTORE DI SPAZI
Intanto scovava nuovi spazi: una rassegna di cinema sullo sfondo del
nuraghe di Barumini, una sulla piazza grande di Fertilia, montò uno schermo nel
cortile del Conservatorio di Cagliari, affittava l'Astoria, votato alle luci rosse,
per proiettare Pasolini creando un cortocircuito con l'abituale pubblico di
sbavatori.
Quando non aveva uditori, s'inventava l'evento. Un giorno disse di aver
istituito il premio Mediterraneo e decise che sarebbe andato al regista greco
Theo Angelopoulos. Come fare? Guidubaldi prese l'elenco telefonico di Atene,
chiamò tutti i Theo Angelopoulos: prima incappò in un omonimo violinista (che
stava incautamente per invitare) poi finalmente scovò il regista. «Venga a
Cagliari, c'è un grande premio per lei».
Non sapeva neppure che faccia avesse, chiese al solito giornalista
(stavolta esterrefatto, non perplesso né incolpevole) di indicarglielo nello
sciame di turisti sbarcati all'aeroporto di Elmas. In un francese da venditore
di souvenir Guidubaldi si scusò dicendo che il premio non era ancora pronto, lo
portò all'anfiteatro dove, sotto il flash di un fotografo raccattato all'ultimo
momento, gli mise in mano due volumi su Cagliari. Poi sul cortile sconnesso di
Sant'Eulalia per la proiezione su un lenzuolo stiracchiato di Alessandro il
Grande . Il piccoletto, educatissimo Angelopoulos dall'aria sempre più smarrita
lo seguiva come ipnotizzato, fino a quando la notte, prima di chiudere la porta
della camera d'albergo, gli chiese: «Scusi, ma lei cosa vuole da me?».
Guidubaldi non disse niente, sorrise tra l'ebete e il sornione, e si congedò.
L'OCCUPAZIONE
Questo era Braccobaldo, uno show continuo. Nonostante la flebite, il
diabete, un infarto non chiudeva mai la sua personale fucina di cultura.
Memorabile l'impegno per l'anfiteatro abbandonato all'incuria: fece irruzione
durante un consiglio comunale brandendo il suo bastone contro il sindaco
Ferrara, una volta scavalcò la cancellata e occupò simbolicamente i graniti
soffocati dalle erbacce. Un'altra ancora chiese al giornalista (di nuovo
perplesso) di accompagnarlo all'anfiteatro dove lui, per protesta, avrebbe
dormito sotto un canalone. Era una notte di luglio. Guidubaldi sgusciò dentro,
in una mano una coperta, nell'altra una pila. La figura claudicante scomparve
inghiottita dal buio, insieme alla luce sempre più fioca. Sembrava il finale de
L'albero degli zoccoli , col lanternino contadino che si spegne nella nebbia.
La fine di un'epoca, di un modo di far cultura, di una geniale follia che vien
voglia di rimpiangere.
(Sergio Naitza)
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