per quasi tutta la durata il film è normale, niente di nuovo sul fronte dei film di sopravvivenza, quello che colpisce di più è, dopo la salvezza, il silenzio, i sensi di colpa, l'indicibile, che è successo, necessario per la sopravvivenza.
ps: nel 2017 Idris Elba, in un film di Hany Abu Assad, dopo un disastro aereo, in montagna, nella neve, si salva camminando per diversi giorni, fino alla salvezza.
QUI la storia del disastro aereo sulle Ande, del 1972, su wikipedia
…La società della neve mostra la lotta sopravvivenza nell'arco di 71
giorni, fino al 22 dicembre 1972. Lo sguardo del cineasta è vicino ai suoi
personaggi, anzi convive con loro. "Per chi saranno quelle
immagini?". Le fotografie diventano determinanti come forma di cronaca
prima e di memoria poi.
Bayona gira un film efficace ma anche emotivamente trascinante dove la componente
spettacolare è importante ma è comunque subordinata a uno dei temi che
caratterizzano l'opera del cineasta, in cui l'incubo può trasformarsi in una
tragica realtà e i protagonisti devono lottare, sia fisicamente, sia
mentalmente (The Orphanage e Sette minuti dopo la mezzanotte) con i propri demoni. E il suo film regge
benissimo la durata di 144 minuti senza avere mai un attimo di cedimento.
…La stessa descrizione della scelta (obbligata) del
cannibalismo da parte dei superstiti mostra un notevole pudore nella messa in
scena: le sequenze in tal senso sono rapide e lasciano fuori campo, o sfocato,
il terribile cibo di cui gli uomini sono costretti a nutrirsi; mentre ampio
spazio viene dato a primi e primissimi piani dei personaggi stessi mentre attendono
al terribile banchetto, a evidenziarne la dolorosa repulsività. L’enfasi, più
volte ribadita, sul non sapere chi è colui di cui ci si sta
cibando, prende significativamente la direzione opposta a quella della
rivelazione esplicita e didascalica di volti, storie e nomi: Bayona sembra
suggerirci che solo lo spettatore, dal suo punto di vista privilegiato, può
ricondurre vivi e (soprattutto) morti a esseri umani e vicende reali, mentre ai
superstiti questa consapevolezza è vietata, pena la follia. Tuttavia, per il
resto, l’ottica fornita allo spettatore, in La società della neve,
è tutt’altro che fredda e distaccata: al contrario, man mano che l’orrore si
protrae, e il gruppo dei sopravvissuti si riduce, il film evidenzia in misura
sempre maggiore i legami che tengono stretti i personaggi – legami interni a
chi resta e con chi se n’è andato – trasmettendone senza mediazioni di sorta
tutto il portato emotivo e melò. Il risultato, in un film tecnicamente
impeccabile (la sequenza dello schianto dell’aereo e quella successiva della
frana sono pezzi di cinema di grande valore) è un’ondata emotiva capace di
restituire consistenza e realismo al genere, affidandosi (senza lasciarsene
sopraffare) a un commento musicale di Michael Giacchino potente e ispirato.
Difficile, date le premesse e lo stretto recinto in cui il progetto si muoveva,
chiedere di più.
…La Sociedad de la Nieve es ante
todo una película de supervivencia y una celebración del esfuerzo humano en
toda regla. Una cinta que no es en absoluto complaciente, pero que junto a su
final feliz, da una reflexión sobre las consecuencias por todo lo vivido.
Espero sinceramente que Juan Antonio Bayona se alce con el Oscar por esta
película titánica, humana y de enorme belleza sobre una situación completamente
escalofriante en la que jamás desearía verme envuelto.
…L’impasto di La società della neve è
un survival movie che però si apre presto allo sviluppo
individuale, forte di una voce narrante che introduce, testimonia, accompagna,
pondera e illude prima di spiazzare (non vi posso dire altro, abbiate
pazienza). Coinvolge nella tensione perché mostra un tenace lavoro di squadra,
nel raggiungimento di una meta (visto che si parla di rugby) che appare
irraggiungibile. Il merito di Bayona è però quello di far
letteralmente immergere lo spettatore nel dramma, rendendolo claustrofobico,
privo di sbocchi. E per far questo gioca dapprima sul contrasto, poi sul
soffocamento. Da un lato mostra le enormi distese della cordigliera delle Ande
al confine tra Argentina e Cile, il paesaggio maestoso ma annichilente fatto di
un’unica candida superficie che si perde nell’immensità del paesaggio, talmente
ampio da rendere invisibile ai soccorsi anche il relitto dell’aereo. La
Natura che impone il suo peso sull’esiguità della dimensione umana.
Dall’altro, nell’angustia dello spazio necessariamente condiviso per
solidarietà verso i feriti e per tentare di non morire di freddo durante le
escursioni termiche notturne, Bayona e il suo direttore della fotografia Pedro
Luque (è uno bravo, fidatevi) cambiano totalmente gli obiettivi e strozzano la
prospettiva con un grandangolo che smette di mostrare per costringere il
pubblico a penetrare e condividere dall’interno il dramma dei superstiti.
Una scelta forte, che su grande schermo avrebbe spaccato, ma funziona lo stesso
anche sullo schermo di una tv da un po’ di pollici, se dotati di discreta
immaginazione.
Un’immersione
che diviene asfissia, in un film che punta metaforicamente a
riemergere e a conquistare spazi, fino a scavallare, a invertire la tendenza
mestamente indirizzata: una narrazione che non perde colpi in oltre due ore (12
minuti sono di titoli di coda: pazzesco) e che dopo l’abilissima costruzione
anche visiva della tensione, come abbiamo detto, e una riflessione tutt’altro
che banale sui limiti morali della sopravvivenza, si libra in uno slancio
lirico finale che non guasta, che non fa crollare banalmente la a tratti cinica
narrazione, ma sa tanto di inevitabile catarsi, giunti alla fine di tanto
penare. Loro e anche nostro. Ed è per questo che il film funziona e merita di
essere visto. Nella sestina dei migliori film in lingua non inglese del Golden
Globe (battuto da Anatomia di una caduta) e candidato per la
Spagna ai prossimi Oscar. Lo so, non vuol (più) dire niente, ma comunque sempre
meglio di un calcio nel culo.
…Ahora la fuente primordial es el
volumen del mismo título del 2009 del escritor y periodista uruguayo Pablo
Vierci y el film en sí recupera de manera prolija cada uno de los latiguillos
por los que la colisión y sus consecuencias constituyen un pivote tan tenido en
cuenta en las antologías sobre desastres aéreos, sobre dramas de supervivencia
en regiones inhóspitas y sobre ejemplos de antropofagia en las civilizaciones
recientes, pensemos para el caso en el espantoso colapso de la aeronave, que se
queda sin cola y ambas alas, en la desesperación de los protagonistas cuando
descubren que las autoridades de Argentina, Chile y Uruguay han dejado de
buscarlos a la octava jornada, todo gracias a una pequeña radio que hallaron
entre los restos, en las deliberaciones alrededor de la posibilidad de la
antropofagia, único recurso para sobrevivir sin flora ni fauna a la vista, en
esa avalancha que enterró el fuselaje partido, empeorada por una tormenta de
nieve, y en la consabida aventura de exploración en busca de ayuda, recién
consiguiéndola en el décimo día de una caminata hiper helada.
Resultaría divertido consagrarse a
la cantidad y la complejidad de problemillas que arrastra la propuesta que nos
ocupa, una coproducción entre España y Estados Unidos con algo de apoyo de
Uruguay y Chile en términos del rodaje, si uno no tuviese en cuenta lo doloroso
del episodio y su claro estatuto en la memoria cultural internacional en tanto
exponente hiperbólico de lo que el ser humano es capaz de hacer con tal de
sobrevivir, un detalle que desde ya reinstala el instinto biológico más
primario de los cuerpos -mantenerse con vida- y tira por la borda todo el
maquillaje social/ ético/ religioso/ humanista/ filosófico/ cultural del que
tanto gusta empaparse hipócritamente el grueso de los bípedos de las
civilizaciones modernas y posmodernas…
…Es una película que empieza narrando preguntas que se
supone responderá lo que veremos, como enfrentarse al mundo por uno mismo, no
solo de manera existencial, como complemento; o por lo más marcado, lo más
terrenal, sino incluso se puede entender económicamente o desde el cine social.
Se siente en ello un humanismo hacia el prójimo y al mismo tiempo proclama el
anhelo de autosuperación. El filme hace ver cuan difícil era dar el paso de
comer carne humana, pero era un paso indispensable para lograr sobrevivir, aun
cuando Nurma Turcatti (Enzo Vogrincic), un eje importante, no quería hacerlo
(aunque lo llegó a hacer). No obstante ayudó en todo y proporcionó un estado de
ánimo general, un estado positivo al grupo, como de unidad y compañerismo casi
de hermanos, de gente que se ama altruistamente, tal como anuncia el título, de
una sociedad en que todos se ayudan mutuamente, en que todos juntos salen
adelante, apoyados en las distintas propias habilidades, como aquel que arregla
la radio o aquel que sabe de electricidad, o de medicina, o se halla en mejores
condiciones físicas. Es un filme en el que se vive mucha tensión y a la misma
vez mucha fe en la humanidad. Se siente un estado de lucha más que de
melodrama, de enfrentar la adversidad, aunque había lógicos bajones anímicos,
pero no pasaba mucho y volvían a la carga, a no dejarse rendir. El presente suceso
es un canto de éxito, hasta conseguir lo extraordinario, desde gente real. Cada
momento, cada pensamiento, toma peso humano, que implica trascender como
persona, desde la esencia humana, enfrentar la muerte, que la invoca la
poderosa naturaleza; así mismo enfrentar la falta de recursos. Se trasmiten
muchas emociones, visualmente. Hay mucha sensibilidad en el ambiente, Bayona
logra mucha empatía con su versión.
Mi è piaciuto molto. Nonostante la messincena spettacolare non spettacolarizza il fatto ma mostra l'umanità e la coesione dei superstiti. Sorprendente.
RispondiEliminasono d'accordo con te, il punto forte del film è che tutta la parte tragica, violenta, dolorosa viene lasciata immaginare...
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