lunedì 26 febbraio 2024

La zona d'interesse - Jonathan Glazer

il film inizia con uno schermo nero per alcuni minuti e allo stesso modo finisce.

le musiche di Mica Levi sono perfette, aggiungono angoscia e terrore in questo film d'orrore (quotidiano, sorridente, felice)

e quei rumori, spari, urla di dolore, latrati dei cani, dall'altra parte del muro sono ignorati, qualcosa di naturale, come un tuono in lontananza.

il film è a tratti insostenibile, toglie il respiro, stai male.

il film è straordinario, il non detto, il non visto si fa sentire, si fa vedere, questo è un film che sta negli occhi di chi guarda.

una critica che posso fare, Jonathan Glazer mi perdonerà, quei pochi istanti nel museo del campo, oggi, sono didascalici, sono forse un di più, tutti abbiamo già capito tutto.

e quelle buste piene di vestiti che arrivano dal campo, che cosa terribile, e quelle minacce di morte della padrona di casa a una povera serva ebrea, come se nulla fosse*.

il film riesce a mostrare, a trasmettere non solo la banalità del male, ma anche il Male vero e proprio.

un film da non perdere, anche se farà soffrire.

buona (al di qua del muro) visione - Ismaele



Malcolm X (qui) parlava del negro da cortile e del negro da campo, nel film ci sono gli ebrei da cortile (e da casa) e gli ebrei da campo (di concentramento), niente di nuovo sotto il sole.


ps: il muro, come non pensare al muro costruito dagli israeliani, di là il genocidio, lo sterminio, le distruzioni, la colonizzazione della terra e del popolo palestinese, al qua l'ordinata vita degli israeliani, allegra, ordinata, senza proccupazioni, se non quella di opprimere nel modo più inumano e burocratico il popolo palestinese, tutti e ciascuno, al di qua del muro a comandare c'erano i nazisti, adesso i sionisti.

e come allora le nazioni democratiche sanno cosa accade al di là del muro, lasciano fare e appoggiano ("si costerna, s'indigna, s'impegna

poi getta la spugna con gran dignità", direbbeFabrizio De André), poi, forse, faranno un museo.

come dice Malcolm X (qui) "la democrazia è ipocrisia"


  

 

La zona d’interesse è un’opera che sposta gli equilibri, che si giova di quanto il cinema – e non solo – ha detto/documentato sull’Olocausto (con le vette rappresentate da Schindler’s list e Il pianista, scostamenti di campo come Il bambino con il pigiama a righe) per fare un paio di passi in più che gli spalancano praterie da (far) solcare. Levigato in superficie e perturbante nelle viscere, estremo e rigoroso, con poche parole e fatti, ma più che sufficienti per togliere/sgretolare certezze, con una produzione di effetti collaterali situate ai massimi storici.

Tra stati d’animo imperturbabili e la tragedia che si consuma alle loro spalle, ordini da eseguire e obiettivi da centrare, immagini pubbliche e private (con quello scarto che si fa solitamente fatica a decriptare/accettare), assunti e controcampi, angosce e alienazioni, con stimolazioni sensoriali che non conoscono confini (dinamiche riprese con camera termica, un paio di oscuramenti visivi, uno squarcio che conduce in un’area museale rimandando all’imprescindibile conservazione della memoria) e un indotto tanto sterminato (nei fatti) quanto variabile (a seconda della singola sensibilità e alla volontà di guardarsi dentro).

Lucido e annichilente.

da qui

 

Oltre il giardino c’era Auschwitz.

Di qua aiuole fiorite, piscina, serra di piante tropicali, stalla per il cavallo di razza a cui il padrone parla con affetto,

Il buio oltre la siepe, di là.

Glazer sceglie il buio: all’inizio il titolo sfuma in lentissima dissolvenza, segue schermo nero per lunghi secondi, quindi un cinguettìo rompe l’angoscia.

Stessa cosa alla fine, schermo nero e il rumore assordante, cupo, dei suoni di cui Tarn

Willers e Johnnie Burn disseminano il film, un mix che solo il paesaggio sonoro dell’Inferno di Dante può eguagliare.

Immersa nel nero la villa di Rudolf Höss (Christian Friedel), grigia costruzione severa anni quaranta, ampia metratura e confort ideali per una vita agiata in cui crescere i figli secondo i dettami della mistica nazista e della devozione alla patria,..

da qui

 

La zona d’interesse utilizza la suggestione e il suono – ciò che il regista definisce «male ambientale» – per evocare come gli esseri umani possano considerare l’uccisione metodica di altri esseri umani come un rumore di fondo nelle loro vite piuttosto che una tragedia profonda. Mentre le pittoresche scene domestiche si svolgono in giardini soleggiati e in sale da pranzo splendidamente progettate, il suono dei cani che abbaiano, degli spari e delle urla si intreccia con la colonna sonora. L’autore ha anche deciso di far iniziare il film con una lunga sequenza di schermo nero, accompagnata solo dalla colonna sonora atonale di Mica Levi. «Volevo che gli spettatori si rendessero conto di essere come sommersi», spiega Glazer, riferendosi al vuoto che accoglie gli spettatori prima di passare alla famiglia Höss che fa un picnic in riva al lago. «Era un modo per sintonizzare le orecchie prima di sintonizzare gli occhi su ciò che si sta per vedere. C’è il film che si vede, e c’è il film che si sente»…

da qui

 

 

2 commenti:

  1. Sul finale non sono d'accordo... l'ultima scena per me è straordinaria, indispensabile per il significato del film (spoiler): Höss vomita sangue in fondo a un corridoio buio, e dopo pochi secondi, in un nero abbacinante, ci ritroviamo ai giorni nostri, con le inservienti che puliscono i pavimenti indifferenti a quello che hanno alle loro spalle. L'indifferenza, l'assuefazione, è la causa di tutti i mali del mondo. Per me quella scena è perfetta, va benissimo così :)

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  2. questioni d'interpretazione, ho pensato che fosse uno spiegone...

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