poi, per un colpo di sfiga, un incidente sul lavoro gravissimo lo sfigura.
viso e voce sono da elephant man, uno che nessuno vuole più come amico, e Dagmara (la fidanzata) gli sfugge per sempre.
in quel paese si costruisce una statua monstre di Gesù, che ormai è diventata una tradizione, morto per sempre, buono per le offerte.
la gente si comporta poco cristianamente con Jacek, è facile amare gli storpi se sono lontani, o meglio morti.
la chiesa ne esce malissimo, domande ai peccatori fatte in modo schifoso, da persone malate.
un film da non perdere - Ismaele
…Questo gran bel film
polacco comincia con un prologo bellissimo, apparentemente scollegato dal resto
del film ma, invece, assolutamente coerente.
Iniziano i saldi natalizi, una moltitudine di persone si apposta fuori dal
negozio.
Già la cosa è deprimente di suo ma lo diventa ancora di più perchè questo
saldo ha una regola, ovvero entrare nel negozio in intimo, quasi nudi.
Vedi questi uomini in mutande e queste donne in mutande e reggiseno lottare
per dei televisori al Led.
La scena è grottesca, girata benissimo.
Poi vediamo il nostro protagonista, col suo bel televisore, tornarsene a
casa, prima con l'automobile, poi con il traghetto.
Per buona metà del film ti ricordi questo prologo e non capisci cosa voglia
dire.
Poi, man mano che il film prosegue, ti accorgi che più che la storia intima
di Jacek questo film racconta un paese, la Polonia, e lo fa in un modo
spietatissimo.
Questa corsa umiliante, nudi per un televisore, questa corsa alla futilità,
sarà solo la prima pennellata della regista ad un quadro fosco, foschissimo, di
un popolo senza umanità…
… Sur un ton de comédie dramatique, le film
épingle ainsi l'hypocrisie d'un peuple basant toutes ses valeurs sur des
préceptes religieux, mais qui finit par n'en appliquer quasiment aucun. L’image
finale (attention spoiler) du Jésus regardant finalement ailleurs, et
détournant ainsi le regard de ce qu’il se passe en Pologne, est à la fois
hautement symbolique et constitue un message d’actualité. Une véritable
réussite, mélangeant avec habilité tendresse et drame.
…Le deformità (o le difformità) degli esseri umani sono un
tema piuttosto ricorrente al cinema. Da The Elephant Man (1980) di
David Lynch, storia di Joseph Carey Merrick che – reso visivamente mostruoso
dalla sindrome di Proteo – divenne, in epoca vittoriana, un personaggio quasi
mondano, a Dietro la maschera (1985) di Peter Bogdanovich, struggente quanto breve iter
esistenziale di Roy Lee Dennis, ragazzo colpito da displasia cranio-diafisaria
(malattia ossea più nota come leontiasi) che visse neppure 17 anni a Glendora,
California. Solo per citare i due film più noti (Nocturno dedicò al tema, anni
fa, un intero dossier). Il polacco Un’altra vita – Mug (che
significa “muso”), già premiato a Berlino 2018 dove vinse l’Orso
d’argento, ma uscito in Italia solo il 24 aprile scorso, si riallaccia al tema
della deformità facciale, quella che rende “altro”, che annulla l’interiorità a
beneficio (o a maleficio) dell’esteriorità, che crea il “mostro” ambulante.
Tanto più se chi ne è colpito, come il protagonista del film di Małgorzata
Szumowska (autrice e regista quarantaseienne di una quindicina di opere in
patria, ma da noi più o meno misconosciuta), era, prima dell’incidente che gli
ha devastato il viso, un bellissimo ragazzo di nome Jarek, folta chioma,
passione per la musica heavy metal che ascolta a tutto volume correndo sulla
sua Fiat 126 rossa, prossimo al matrimonio con la biondina Dagmara nonché operaio
nel villaggio di Swiebodzin, intento a lavorare alla mastodontica statua del
Cristo redentore (realizzata davvero in quel villaggio, dal 2005 al 2010),
alta, col basamento, oltre 52 metri.
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