giovedì 9 maggio 2019

SARAH & SALEEM - LÀ DOVE NULLA È POSSIBILE - Muayad Alayan

anche l'adulterio è una cosa molto complicata, a Gerusalemme. Sarah e Saleem, già sposati ognuno per conto suo, si vedono, solo per fare sesso, diranno poi.
le cose si complicano, e molto, quando si capisce che Sarah è la moglie di un militare israeliano, spesso in missione - Ismaele





…Il film sorprende per eleganza e precisione: dopo un breve parabolico flash forward, ci presenta la vicenda per ciò che è, nuda e cruda. Un piccolo imprevisto mette in moto una serie di eventi che, stavolta sì, dipingeranno gli incontri di Sarah e Saleem come frutto di intrighi politici e spionaggio militare, da una parte e dall’altra. Ma il pubblico conosce la verità: non c’è eroismo in questa storia e d’amore, forse, ne è rimasto appena un briciolo.
Sono altre emozioni, sfumate ai limiti dell’indistinguibile, a corredare la pellicola, quasi del tutto priva di accompagnamento musicale: eccitazione, pietà, disgusto, vergogna e, firma del regista, senso di colpa. È un peccato che, all’ascesa di quest’ultimo, insieme al personaggio di Maysa Abed-Alhadi (moglie incinta di Saleem), il ritmo si sia inabissato troppo e non riesca a recuperare prima dei titoli di coda. Il finale anticlimatico è comunque potente, ma avrebbe potuto raccogliere molto di più, vista la semina più che abbondante.

Sarah & Saleem è il secondo lungometraggio diretto dal palestinese Muayad Alayan, classe 1985; il suo esordio del 2015, Amore, furti e altri guai, trovò anche una rapida distribuzione in Italia dopo essere stato presentato alla Berlinale, grazie a Cineclub Internazionale. Per quanto siano diversi il budget a disposizione e ancor più la maturità espressiva del regista, i due film hanno in comune la volontà evidente di ragionare sul conflitto israelo-palestinese da una prospettiva se non nuova almeno non usurata. Nel suo esordio Alayad inscenava il tragico microcosmo mediorientale attraverso suggestioni di genere, giocando col buddy movie e con l’action, col thriller e con la commedia rocambolesca e al limitar del picaresco. In Sarah & Saleem, invece, il discorso si fa più sfumato, complesso, e meno ludico. Il giovane regista palestinese parte dalla più canonica delle situazioni melodrammatiche: un uomo e una donna, entrambi sposati (lei con una figlia, lui con la moglie in piena gravidanza), sono impegnati in una relazione extraconiugale. Saleem, che è palestinese, lavora come facchino e consegna le merci nel bar gestito da Sarah, israeliana; i loro rendez-vous erotici si risolvono tutti nel furgoncino con cui lavora l’uomo, in incontri serali abbastanza rapidi per quanto metodici e strutturati. Ovviamente la differenza etnica, che è anche differenza di censo e di possibilità, di per sé allarga la visuale a scenari prossimi al mood shakespeariano. Ma Alayan ha l’intelligenza di rifuggire ben presto le lusinghe classiche, e di evitare di trasportare la “bella Verona” dalle parti di Gerusalemme. Non è in quella direzione che si articolerà il discorso di Sarah & Saleem, perché non è d’amore che si sta discettando…

…Muayad Alayan dipinge i protagonisti con un carico di tensione altissimo: nessuno di loro vive tranquillamente, ogni personaggio cammina sull’orlo di un precipizio, si barcamena tra un lato e l’altro della città, cercando una propria dimensione in un limbo senza confini. Il regista caratterizza i suoi personaggi usando l’alternanza tra il giorno e la notte: la luce del sole illumina la moglie di Saleem, incinta e devota allo studio per garantire alla propria famiglia un futuro migliore; la notte invece, con le sue luci come stelle nel buio, promette la serenità e la pace per i due amanti, ma gli fa incontrare il pericolo che condannerà per sempre i loro atti. Gerusalemme viene dipinta come una città realmente spezzata, lacerata da una divisione netta, da un vuoto incolmabile che non permette alcuna speranza o via d’uscita. La figura femminile è l’unica reale possibilità per la Città Santa: l’amore di una madre è senza confini e senza paure.
Sarah e Saleem è la prova che il Cinema offre la possibilità di raccontare una realtà difficile e lontana, di portare alla luce la condizione umana nelle sue più ampie sfaccettature; insieme ai recenti titoli Libere, disobbedienti, innamorate della regista palestinese Hamoud Maysaloun e Wajib – Invito al matrimonio della connazionale Annemarie Jacir, la pellicola di Alayan offre un ulteriore spunto di riflessione e permette al pubblico occidentale di conoscere e capire meglio la città di Gerusalemme e il suo popolo.

Due mondi che si scontrano, che si sfiorano e si allontano, ma che alla fine si incontrano a metà strada. Il mondo degli israeliti e dei palestinesi, il mondo da cui provengono Sarah (Sivane Kretchner) e Saleem (Adeeb Safadi), quello da cui entrambi tentano in qualche modo di fuggire, anche se solo per un paio d’ore una volta a settimana. Ma soprattutto il mondo di Sarah e il mondo di Bisan (Maysa Abed-Alhadi), la giovane moglie in attesa del primo figlio di Saleem, donne diametralmente opposte ma profondamente simili che finiscono per trovare un punto d’incontro, facendo tremare le rispettive radici d’appartenenza, pur di non diventare complici di una nefanda ingiustizia. Donne eroine, seppur ferite, che prendono il coraggio a quattro mani, in un universo dove gli uomini continuano a farsi una guerra irrazionale e immotivata…

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