lunedì 13 maggio 2019

I Figli del Fiume Giallo - Zhangke Jia

Zhangke Jia racconta della Cina in un periodo di 17 anni.
Bin (Fan Liao) e Qiao (Zhao Tao) sono due amanti, in un mondo del tutto diverso dal nostro, e che cambia con grande velocità.
Bin è il capo di una piccola gang criminale, rispettato e odiato.
quando Bin rischia la galera Qiao si sacrifica per lui.
e quando dopo cinque anni esce di galera tutto è cambiato, lui lìha messa da parte, ma quando si rivedono il passato non si dimentica.
lui ha avuto un ictus, il mondo è sempre più complicato, il centro di gravità permanente non è più permanente.
storia di gangster, d'amore e odio, con una fotografia bellissima e attori di serie A.
buona visione - Ismaele








I figli del fiume giallo non si limita a una semplice riproposizioni di tempi e luoghi, è come se rivisitasse quelle opere e quelle sensazioni, forse - ma non è dato sapersi con certezza - recuperando anche del girato inedito. Anche dal punto di vista tecnico e stilistico, infatti, il regista alterna pellicola e digitale, dando la sensazione anche visiva di attraversare l'arco temporale della narrazione. La peregrinazione di Qiao nel segmento centrale di Fengjie ricorda da vicino il percorso della stessa interprete - sempre Zhao Tao, musa e moglie del regista - in Still Life, oggi come allora in cerca di un uomo che non si presenta a un appuntamento. Come se I figli del fiume giallo rappresentasse una raccolta di "non detti", il completamento di fili mai riannodati in passato. Un arco temporale di 17 anni in cui sono cambiati irreversibilmente la Cina, il cinema, Jia e la sua musa: e di cui il film diviene una sorta di testimonianza, benché fittizia, romanzata e alterata nel contenuto, che traspone il tutto in una vicenda di jianghu, come da titolo originale (che traslitterato significa Jianghu Er Nv, "Figli e figlie del jianghu")…

Ammore e malavita in salsa cinese. Ma è davvero buono, pieno di notazione politiche, ma mai pesante questo I figli del fiume giallo, ultima fatica del più che decorato e riconosciuto maestro Jia Zhang-Ke presentato lo scorso anno a Cannes in concorso subito dopo Le livre d’image di Godard. E subito adorato dalla critica di tutto il mondo. In un mondo di duri e di malavitosi, ma con un codice d’onore rispettabile, assistiamo a una complessa e combattuta storia d’amore tra un piccolo boss della città mineriari di Shanxi, certo Bin, interpretato da Liao Fan, e la sua bella ragazza Quiao, intepretata dalla meravigliosa Zhao Tao…

Prima che una storia d’amore il film è soprattutto un contenitore di ricordi, episodi, storie d’amore, esperienze di vita e sentimenti che messi tutti insieme non mostrano necessariamente le trasformazioni di cui sopra, ma le fanno avvertire, lasciano che traspaiano dal testo filmico e ne divengono l’essenza. Perché il cinema di Jia è qualcosa difficile da sezionare, analizzare o cercare di comprendere per momenti isolati, per compartimenti stagni o simboli (di cui pure è ricco), ma va preso piuttosto come una sorta di opera lirica in cui elementi diversi concorrono, ognuno a suo modo, a dar vita al tutto. Il film inizia come una gangster story, prosegue come un mélo e termina come un dramma, ma dentro ci sono tocchi di commedia e fantascienza, elementi della tradizione popolare, citazioni cinematografiche e riferimenti ad altri film del regista (soprattutto Uknown Pleasures, ma anche Still Life A Touch of Sin). E poi stralci di footage girato con una vecchia camera DV da Jia proprio nel 2001, quando la storia del film ha inizio…

Un volto di minatore, dietro al quale se ne intravedono altri due, sussulta su un bus; una bimba dorme avvolta nel suo maglioncino e si sveglia di soprassalto non appena l’automezzo si ferma; seguono altri volti ancora di uomini, per lo più vissuti, intensi, autentici. La camera si arresta infine sul volto di una bella e giovane donna, inquadrata di profilo, che pare dormire anch’essa.
Sono immagini dalla grande bellezza ed espressività visiva, anche se in formato quasi televisivo. Segue un’inquadratura dall’alto della città, dal formato più ampio, dove si stagliano molti edifici moderni appena costruiti, macerie e, più in fondo, vecchie casette consumate dal tempo. Le case della vecchia Cina. Segue una scena d’interni dove la donna di prima, filmata di spalle, si muove con eleganza, in un luogo popolare e affollato dove gli uomini si ritrovano per seguire un piccolo spettacolo. La voce di un presentatore ci informa che siamo nell’aprile del 2001.
La sequenza ha come sfondo musica pop e karaoke. Poi la donna s’introduce dietro una porta che nasconde una sala da gioco, presumibilmente clandestina. Qui la vediamo discutere con autorevolezza con un gruppo di uomini, e poco dopo capiamo che si tratta della donna di un piccolo boss locale. Senza descrivere tutto quello che segue, anche se importante, riveliamo però che la sequenza si conclude con la donna che prende in mano la pistola poggiata dietro di lei maneggiandola incuriosita. È un presagio di tutto quello che verrà dopo. Stacco sul nero dove i titoli di testa, che si erano interrotti, riprendono.
I figli del fiume giallo, il nuovo film del cinese Jia Zhang-ke presentato in Concorso all’ultimo festival di Cannes che esce ora in sala, è la storia di una donna, Qiao, e della sua ricerca assoluta d’amore. Una storia che copre tre momenti chiave nelle trasformazioni grandiose ma anche drammatiche subite dalla Cina: il 2001, quando le trasformazioni cominciano a essere tumultuose ma la vecchia Cina rurale che si sposta in biciletta o in bus è ancora forte; il 2006, anno in cui si è conclusa la costruzione della diga delle Tre gole, la seconda del mondo in termini di grandezza, opera monumentale che ha però devastato in parte l’ambiente, cancellato interi villaggi e disgregato intere comunità; e infine il 2018 in cui tutto si chiude, negli stessi luoghi ma completamente trasformati.

… Il tema del cambiamento resta dunque centrale nel cinema di Jia Zhangke, eppure ancora una volta possiamo osservare come tale ossessione riesca sempre a trovare nuove declinazioni e nuovi sviluppi. Appare impressionante in tal senso la prima parte di I figli del Fiume Giallo dove coabitano le diverse Cine, quella antica e povera delle modeste abitazioni e dei vicini di casa di Qiao – una Cina atemporale e millenaria -, ma anche quella comunista i cui ultimi riverberi vengono allusi nella dismissione della miniera e, infine, quella neocapitalista e arraffona, incarnata in primis da Bin. Basta prendere un autobus, quell’autobus iniziale, per passare da un ingenuo show di avanspettacolo (un uomo che solleva una bicicletta con i denti) a una discoteca in cui si balla YMCA dei Village People, sparata a tutto volume. Sono le contraddizioni della Storia e quelle di un paese attraversato simultaneamente da passato, presente e futuro

Nessun commento:

Posta un commento