mercoledì 6 febbraio 2019

Tramonto - László Nemes

capita di vedere film che ti sembrano strani, meno male, difficili perché hanno bisogno di tutta la concentrazione possibile.
e non sempre è sufficiente.
Irisz torna alla negozio posseduto dalla sua famiglia un po' di anni prima.
come qualche anno prima per Saul, la macchina da presa è tutta su Irisz, e noi vediamo tutto quello che accade.
sono tempi difficili, di cambiamenti, nessuno può dirsi al sicuro.
e alla fine tutto sfocerà in una "guerra rigeneratrice", sterminio generalizzato e legale.
alla fine sai che hai visto un film unico, alla Bela Tarr.
sarà un caso, o forse no, László Nemes è stato assistente alla regia dell'immenso Bela Tarr.
godetene tutti - Ismaele





Macchina da presa incollata a Irisz, alla sua faccia, al suo corpo, mentre intorno a lei spesso tutto è fuori fuoco, alluso e non definito, fantasmatico, e anche quando le inquadrature si fanno più classiche (per dire: quelle al negozio-atelier) e meno ossessivamente centrate sulla protagonista, Nemes riesce a restituirci il senso di una realtà sospesa. Due ore e un quarto di un cinema radicale come pochi altri oggi, certo spossante, ma in grado di catturare e restituire il mistero, il non visto e il non visibile, il non detto e il non dicibile, in una sfida che lo spettatore deve raccogliere perché grande sarà la sua ricompensa. Certo, la tentazione di abbandonare il campo, di rinunciare alla visione, affiora, perché l’intrappolamento di Irisz nella Macchina dei misteri è anche il nostro intrappolamento. Ed è frustrante che ogni volta che la verità sembra avvicinarsi Nemes ce la tolga e la nasconda. Vero anche che qualche volta lo sviluppo narrativo viene forzato per adattarlo alla ferrea gabbia stilistica decisa dal regista, conferendo al film un che di artificioso, ma sono limiti che non ne sminuiscono la potenza. Esperienza immersiva al massimo grado: Irisz, semplicemnte, siamo noi, fatti salire volenti o meno sulla giostra degli enigmi…
da qui

…È un'esperienza totale, violenta, indimenticabile. E conta più del plot, che spesso rimane volutamente fumoso, poco comprensibile. Nemes si rifiuta di rispondere ai quesiti che pone, e questo si nota persino nei dialoghi: ogni singola volta che qualcuno pone una domanda, il suo interlocutore svia. Irisz è impegnata in un'indagine, ma non sembra mai perfettamente in controllo della situazione. Si muove costantemente, fugge sempre da qualcosa o qualcuno, non sta mai dove le dicono di stare e non si fa scoraggiare dai pericoli che corre. Un agente perturbante che serve anche a riflettere sulla condizione della donna, allora come oggi: tutti sono talmente certi che Irisz sia programmata per obbedire agli ordini degli uomini, che nessuno si preoccupa mai realmente di accertarsi che lo faccia, e questo le dà campo libero per agire spesso indisturbata.

Si esce esausti da Tramonto (che dura più di 140 minuti). Non è certamente un film per tutti. Ma chi ama il cinema puro, chi cerca un'esperienza sensoriale più che il teatro filmato o un racconto più convenzionale, resterà estasiato da un tale sfoggio di arte a 360 gradi…


Nonostante la narrazione progressivamente sempre più sovraccarica, Nemes ha il controllo totale di ogni inquadratura e inanella frequenti piani sequenza riproponendo lo stesso linguaggio già sperimentato nel suo film d’esordio. Napszálltasomiglia a un vortice che procede verso il risucchio di un buco nero. Il piano sequenza finale è l’incanalarsi della storia di Irisz nel gorgo nero della grande guerra dove lo sguardo della protagonista nell’ultima inquadratura è quello di una Medusa che ci pietrifica e ammonisce. Così facendo, tratteggia non solo la parabola di un personaggio ma il disagio di un’intera civiltà.
Napszállta parla di un’Europa in preda a forze distruttive, oggi come ieri, ma è anche un omaggio alla capacità disvelatoria del cinema, non certo al suo potere d’intrattenimento. Si tratta infatti di un film impervio, in cui si fatica a trovare uno spazio e si procede a tentoni. Nemes mortifica il principio di piacere e rifiuta gli inganni della seduzione, non ci sottrae alla pressione delle tenebre come farebbe una sostanza inebriante ma proprio in virtù di questo, il suo cinema non reca neppure la tossicità anestetica di un narcotico (Freud dixit).
da qui


...Al pari della protagonista, quindi, lo spettatore verrà sballottato da un luogo a un altro della città asburgica, quando il pretesto del ritorno a casa scatenerà una sequenza di eventi già in preparazione da diverso tempo e in cui Iris rimarrà invischiata fino a raggiungere una posizione al loro interno che non avrebbe mai immaginato. Nemes segue la giovane, che ha il volto perennemente sconvolto e dubbioso di Juli Jakab, e lo spettatore con lei proverà a decifrare più volte il senso di una trama fin troppo esile e scarna, ma ben presto sarà costretto ad accettare quell’unico sguardo sulla Storia, che è profondamente personale e la cui intenzione primaria non è certo quella di sostituirsi ai manuali sull’argomento. L’intento finale semmai è quello di tracciare un parallelismo con il tempo presente, dove la confusione generale e l’attesa di un cambiamento che una volta attuato sarebbe diventato irreversibile, fa il paio con la costante paura con cui il cittadino del ventunesimo secolo vive la propria esistenza, conscio della minaccia terroristica globale e, proprio come gli abitanti di Budapest incontrati da Iris appaiono sfocati sullo sfondo, immerso in uno spazio privo di profondità di campo, quindi senza coordinate geografiche precise.
Il tramonto di un impero, di una concezione di vita ben precisa, e la ricerca ossessiva della protagonista si fanno messaggio primario per lo spettatore; l’occhio di Nemes inquadra un contesto storico ben preciso anche se mai “messo a fuoco”, e proprio come Irisz, anche il cittadino del terzo millennio vive in balia degli eventi, si lascia trasportare da essi senza opporvi troppa resistenza con perenne stupore rassegnato, in attesa di un prossimo cambiamento che è anche inevitabile e potrebbe avere conseguenze drammaticamente irreversibili. Nel dipingere il tramonto di un’epoca, il regista ungherese lancia quindi un avvertimento carico di dubbi e di paure, anche se mai interamente pessimista (più che cosmico, ciclico): un raggio di luce in fondo alla storia è sempre percepibile; anche nei momenti più tenebrosi l’essere umano sarà in grado di rialzarsi e ricostruire…


I letali 142 minuti girati da Nemes non fanno soffrire solo per la regia insopportabilmente pretenziosa, grazie alla quale – vale la pena ricordarlo ancora una volta – lo spettatore vedrà la nuca della protagonista come elemento dominante della scena, mentre attorno a lei accadono cose restituite solo a sprazzi, ma diventano intollerabili se si considera la sceneggiatura. Che, semplicemente, è esile, e soprattutto scandita sadicamente. La cosa è evidente fin dalla prima scena, quando vediamo Irisz provare bellissimi cappelli nel negozio che poi diverrà il centro dei destini del nostro continente: la modista le suggerisce di alzare la veletta, che altrimenti le cela il viso (…il nascondimento, il segreto, la donna senza identità) e Irisz ubbidisce. Poi, dopo aver indossato alcuni copricapi, Irisz rivelerà (…l’inizio del lentissimo disvelamento) di non essere nel negozio per fare acquisti, ma per rispondere a un’offerta di lavoro. Al che la modista dirà: “Poteva dirlo subito”. Una frase che si vorrebbe rivolgere al regista in più occasioni. La scena prosegue in un modo che rende già chiaro l’intero impianto narrativo: la modista conduce Irisz in un’altra stanza e le chiede il suo nome. “Irisz Leiter” è la risposta. Segue un silenzio ricco di attesa, mistero, carico di aspettativa: insomma abbiamo capito che la ragazza è nota, il suo nome ha un significato preciso, ma dovremo aspettare ancora alcuni minuti e altre battute e altre sospensioni e altri cambi di stanza (seguendo la nuca che si muove) per capire perché attorno a Irisz ci sia tanto sgomento. Lo sviluppo della “trama” segue sempre questo schema, dall’inizio alla fine…

2 commenti:

  1. Questo è un film che vorrei rivedere quanto prima... a Venezia, lo confesso, non ci capii molto (e non fui l'unico). Trama complessa, respingente, volutamente criptica, una visione decisamente faticosa. Ma anche, innegabilmente, un film di grande impatto visivo. Giudizio sospeso (almeno per ora)

    RispondiElimina
  2. è un film impegnativo, non bisogna distrarsi, per non perdersi.
    ma lo sforzo questo film se lo merita tutto

    RispondiElimina