venerdì 22 febbraio 2019

Il diritto di uccidere (In a Lonely Place) – Nicholas Ray

titolo perfetto, per un altro film.
In a Lonely Place un film sul cinema, sull'amore, su un assassinio, con Humphrey Bogart e Gloria Grahame indimenticabili.
sceneggiatura perfetta, senza tempi morti.
non perdetevelo, se vi volete bene - Ismaele





Sono nato quando lei mi ha baciato. Sono morto quando lei mi ha lasciato. Ho vissuto le poche settimane in cui lei mi ha amato.
Dixon Steele nel film In a Lonely Place, citato anche dai The Smithereens nell’omonima canzone
Nel film In a Lonely Place, Humphrey Bogart e Gloria Grahame sono ancora abbastanza vicini al noir. “Era molto più di un attore. Era l’immagine stessa della nostra condizione. Il suo volto era un rimprovero vivente” disse Nicholas Ray di Bogart. Il film è un riflesso delle fratture postbelliche. Dix Steele, reduce di guerra, tenta invano di far ripartire la propria carriera di sceneggiatore. La mitologia dell’amore viene riscritta e ha il suono della paranoia. Nel gotico femminile una donna innocente entra nel palazzo stregato di un uomo ma presto i due si rivelano perfetti estranei. Per gli uomini il matrimonio è una continuazione della guerra con altri mezzi. In a Lonely Place fu prodotto dalla Santana Productions di Humphrey Bogart, e fu lui a scegliere come regista Nicholas Ray. Mai il linguaggio del corpo di Bogart è stato più convincente: il mito hollywoodiano si smonta rivelando un personaggio pericoloso. Il film è una versione diluita del romanzo di Dorothy Hughes ma si conserva fedele alla sua ambiguità; è stato cambiato a favore di una più profonda inquietudine. Anche se non vediamo mai gli studios, In a Lonely Place è uno dei più grandi film su Hollywood. La commissione per le attività antiamericane e la lista nera non vengono mai nominati, ma In a Lonely Place parla anche di loro.
Dagli scritti postumi di Peter von Bagh (2014), a cura di Antti Alanen
Nicholas Raymond Kienzle è un autore nel senso che ci piace dare a questa parola. Tutti i suoi film raccontano una stessa storia, quella di un violento che vorrebbe cessare di esserlo, i suoi rapporti con una donna moralmente più forte di lui perché il duro, protagonista dei film di Ray, è un debole, un uomo bambino, quando non è semplicemente un bambino. Sempre la solitudine morale, sempre gente disposta a braccarti, linciarti. […]
Se è vero che si possono distinguere due tipi di registi, i cerebrali e gli istintivi, io metterei senz’altro Ray nel secondo gruppo, in quello della sincerità e della sensibilità. […]
Nicholas Ray è un po’ il Rossellini hollywoodiano. […] Nel regno della meccanica, amorevolmente, Nicholas Ray da artigiano fabbrica graziosi piccoli oggetti in legno di pungitopo. Dagli al dilettante! Non è un film di Ray se è senza un tramonto. È il poeta della notte che scende e tutto è permesso a Hollywood tranne la poesia. […]
Si può rifiutare Hawks in nome di Ray (o viceversa), rifiutare anche Il grande cielo in nome di Johnny Guitar o accettarli tutti e due, ma a chi rifiuta l’uno e l’altro arrivo a dire: non andare più al cinema, non vedere più film, perché non saprai mai cosa sono l’ispirazione, l’intuizione poetica, un’inquadratura, un piano, un’idea, un buon film, il cinema.
François Truffaut, I film della mia vita, Marsilio, Venezia 1978

Nicholas Ray, grazie alla superba interpretazione di Humphrey Bogart, mette in scena un personaggio ambiguo, del quale lo spettatore non saprà mai nulla fino in fondo, se non un’innata brutalità. Dixon è un personaggio in cerca di una stabilità risolutiva che però gli è costitutivamente preclusa. Non si tratta di un uomo alla ricerca di un’identità – che è invece ben definita, seppure scissa e anormale, tipica di chi soffre di un disturbo psicologico – bensì alla ricerca di una stabilità esterna capace di arginare i suoi feroci squilibri e di alleviare dolori ignoti di un ego violento. In a Lonely Place è un luogo dell’anima, dove ci si ritrova a fare i conti con se stessi, con i propri dubbi, i timori e le incertezze. 
“Sapevi che era dinamite! Deve pur esplodere ogni tanto” dice Mel Lippmann (Art Smith), l’agente di Dixon a Laurel in preda alle lacrime, combattuta tra i dubbi sulla sua innocenza e l’istinto a fuggire ed evitare il frettoloso matrimonio. A poco varrà venire a sapere che l’assassino di Mildred è un altro uomo; la rabbiosa ossessione di Dix si è ormai già consumata in una violenta aggressione ai danni della povera Laurel, che disperata e tra le lacrime non potrà che dirsi “vissuta nelle sole poche settimane in cui Dix l’ha amata”.

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