hanno un'idea di giustizia, ma non si cerca più coi pugni o con i bastoni, come nella guerra dei bottoni, ma direttamente con il kalashnikov.
la potenza delle armi è piena di fascino e di morte, ma quei ragazzini non ci pensano, o meglio il bisogno di rispetto, vittoria, amicizia, e anche amore, è più forte del rischio di morire.
gli adulti sono i cattivi esempi, crescere è molto difficile.
interpreti davvero bravi, e convincenti.
il film è ancora in sala, non perdetevelo - Ismaele
…Infinite guerre, da quella di Troia in poi, sono iniziate
per un dispetto, per una sciocchezza, per un gioco. Anche i bambini della
paranza iniziano la loro guerra come se fosse un gioco. Si trovano in mano armi
letali che non avevano mai visto prima, imparano a usarle guardando i tutorial
su youtube. Come in un gioco abbattono l’albero di Natale della Galleria
Umberto e lo ardono come ossessi in una folle danza tribale. Ma è un
gioco che non dà scelta né via di scampo. Vanno inconsapevolmente verso la
morte a quindici anni, in un percorso breve, spesso brevissimo, nel quale concentrano
una intera esistenza e perdono in fretta l’innocenza.
Il protagonista, e gli altri come lui, inizia volendo
fare del bene, alla mamma e al suo quartiere, taglieggiati brutalmente dalla
camorra, dove dei disgraziati pretendono il pizzo da chi è ancora più misero di
loro. “Il paradosso – spiega con lucida semplicità Francesco Di Napoli (Nicola)
– è che cercano di fare del bene attraverso il male”…
…Con l’ottima
direzione della fotografia di Daniele Ciprì, il film racconta questa “ascesa
agli inferi” che si consuma quasi con una sconcertante semplicità, in un’ascesa
e declino all’interno del comando sul quartiere fatta di alleanze, di
tradimenti, di attentati, di drammatiche rinunce e di ancor più drammatici
epiloghi. Senza il furore né il rumore di molti film sul genere, rievocati
giusto al momento di provare le armi al fiume e nella scelta di scritturare fra
i boss il feticcio garroniano ed ex-camorrista Aniello Arena, i quindicenni
protagonisti sono però profondamente inadatti alla guerriglia che
volontariamente intraprendono, costretti a guardare tutorial su youtube per capire
come usare una mitragliatrice e disastrosi nel fare inceppare la pistola e poi
schiantarsi in motorino proprio nel momento in cui si dovrebbe scappare più
velocemente. Più che minacciare, sparare e uccidere sembrano quasi giocare con
le armi, quando si esercitano sui tetti della città, ma il loro percorso sembra
lo stesso inevitabile, avviluppati come sono da una società soffocante e
criminale, spietata, pericolosa e mortifera…
…Giovannesi ama i suoi personaggi, profondamente, e per
questo non li giudica. Li accompagna nel loro inesorabile declino lasciando che
la frenesia di una scelta insensata si realizzi, pian piano, davanti ai nostri
occhi, rendendo la messa in scena verosimile e credibile. La purezza che
scivola via è negli occhi del suo protagonista, Nicola: quando, per un breve
istante, crede di avere il potere nelle sue mani, cerca di restituire una
qualche forma di etica alle sue azioni criminali: niente più estorsioni nel
quartiere, un vero campetto da calcio e magliette per la squadra del
fratellino, mobili nuovi e sfarzosi per la mamma. Buone azioni perpetrate
attraverso il male. Ma è, ancora una volta, un equilibrio precario, illusorio,
tipico di chi non conosce le regole del “gioco” – perché è proprio così che
viene percepito da Nicola e i suoi amici – e di chi è troppo giovane per
comprendere quanto possa essere profonda e irreversibile l’oscurità. Capirlo,
per quelli che sono poco più che bambini, suona come un paradosso ma, come ci
lascia intendere il finale, ad un certo punto saranno costretti a farlo. Sarà
troppo tardi, ma comunque troppo presto.
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