una storia che sembra di quei primitivi africani, dirà qualcuno, sappia qualcuno che quello che succede nel film era lecito in Italia fino al 1981, Hirut interpreta anche Franca Viola (qui).
nel 1970 Damiano Damiani aveva raccontato quella storia ne "La moglie più bella"
Difret è un po' cinema civile, un po' legal thriller, di sicuro buon cinema.
si racconta di un mondo che era il nostro un paio di generazioni fa, e magari un po' anche adesso, si capisce benissimo.
il film sta in un numero di sale inferiore alle dita di una mano, per cui sarà un miracolo vederlo lì, bisognerà aspettare il dvd.
a me è piaciuto molto e così spero sarà per voi , e poi, avete mai visto un film etiopico? - Ismaele
nel 1970 Damiano Damiani aveva raccontato quella storia ne "La moglie più bella"
Difret è un po' cinema civile, un po' legal thriller, di sicuro buon cinema.
si racconta di un mondo che era il nostro un paio di generazioni fa, e magari un po' anche adesso, si capisce benissimo.
il film sta in un numero di sale inferiore alle dita di una mano, per cui sarà un miracolo vederlo lì, bisognerà aspettare il dvd.
a me è piaciuto molto e così spero sarà per voi , e poi, avete mai visto un film etiopico? - Ismaele
…Le attrici sono abilissime nei loro ruoli. Meron Getnet, dalla
carriera già avviata, in Etiopia è molto conosciuta e ricercata, ma ancora più
pregevole è l’interpretazione della giovane Tizita
Hagere, che alla sua prima prova recitativa in un ruolo sicuramente
non semplice, dimostra di non essere da meno della matura collega. Le due
vestono i panni di due donne che per la propria libertà hanno rinunciato a
molto, prima di tutto alla famiglia, una per scelta l’altra per obbligo,
rompendo con le tradizioni della propria terra.
Ma Difret è anche il coraggio di un giovane
etiope, il regista Zeresenay
Berhane Mehari, da anni trasferitosi negli Stati Uniti, che si è
battuto affinché questo film fosse girato nel suo Paese nonostante l’industria
cinematografica nazionale sia ancora poco sviluppata e sia difficile reperire
troupe all’altezza e attrezzatura: una determinazione che gli è valsa il Premio
del pubblico al Sundance e al Festival di Berlino.
Ma soprattutto è il coraggio dimostrato nel portare in
scena in modo assolutamente obiettivo, mai melenso, ma toccante, una battaglia
ancora in corso sul raggiungimento dell’uguaglianza dei diritti tra uomo e
donna che non può non avvenire se non rompendo con il passato: la storia vera
della piccola Hirut e di Meaza Ashenafi (che nel 2003 ha ricevuto il Premio
Nobel Africano – The Hunger Projects Prize) è lo specchio di una realtà in
lenta trasformazione, di una società in cui il desiderio di cambiare è più
forte delle tradizioni.
…La sceneggiatura rivela comunque un
ottimo equilibrio, nell’evitare uno sguardo giudicante o manicheo, finanche sui
membri di quel consiglio tribale che perpetuano pratiche e norme millenarie;
pratiche che hanno comunque contribuito a costruire, e cementare, un senso di
comunità impossibile da rintracciare nel contesto urbano. Nei rituali della
vita del villaggio, capace di condannare a morte e uccidere, ma incapace di
lasciar andare via un ospite (sia pure un “nemico”) senza offrirgli del cibo,
si coglie anche la sottile nostalgia per un universo al tramonto, contrapposto
alla burocrazia un po’ ottusa (e più cinica) delle procure e delle aule di
tribunale.
Proprio per questo equilibrio nel racconto, e per una fruibilità, figlia della formazione del regista, che lo accosta a certo cinema statunitense di impegno civile, Difret si fa anche perdonare qualche scelta di montaggio non proprio ottimale (ne è un esempio la prima fuga della protagonista), risultando opera ricca di vigore e sincera. Una genuinità capace anche di culminare in un finale intelligente, che al coinvolgimento emotivo non dimentica di affiancare il necessario elemento della credibilità.
Proprio per questo equilibrio nel racconto, e per una fruibilità, figlia della formazione del regista, che lo accosta a certo cinema statunitense di impegno civile, Difret si fa anche perdonare qualche scelta di montaggio non proprio ottimale (ne è un esempio la prima fuga della protagonista), risultando opera ricca di vigore e sincera. Una genuinità capace anche di culminare in un finale intelligente, che al coinvolgimento emotivo non dimentica di affiancare il necessario elemento della credibilità.
… Nella vicenda di Hirut si intrecciano
le due tensioni che attraversano, seppur con caratteristiche diverse, più di un
Paese del continente africano. Da un lato la progressiva emancipazione delle
donne che trova nelle città occasioni per affermarsi e dall'altro un mondo
rurale in cui vigono regole imposte dai maschi e la più completa sottomissione
della donna all'uomo. Ai tribunali previsti dall'ordinamento statale si
sovrappongono le "corti di giustizia" che si riuniscono in un campo
sotto un albero e in cui nessuna donna è presente. Hirut ha difeso la propria
dignità di essere umano e questo la allontana dalla comunità proiettandola in
una realtà aliena, quella della città in cui rumori e stili di vita la
disorientano…
…No se trata Difret de un filme que nos abrume en el
plano estético, puesto que prefiere fundamentarse en los diálogos y en el
lenguaje corporal para transmitirnos el avance de este drama social sin
ampararse en la facción más lacrimógena de la historia. No hay morbo, no hay
heridas, no es necesario mostrarlo todo de forma explícita y sangrante para que
el espectador pueda comprender la gravedad y las secuelas de estos hechos para
una niña de catorce años. Su mirada plasma, no sólo su tristeza después de todo
lo acontecido, también su inquietudes futuras (¿Me expulsarán del pueblo por
no llegar virgen al matrimonio? ¿Me condenarán a muerte?); unos factores
que provocarán que nosotros también seamos testigos rabiosos de la injusticia.
El papel de la abogada es la metáfora del cambio, de la ruptura generacional,
de la revolución de valores que muchos ya tienen por bandera. La picapleitos se
arriesga a perder muchas cosas por el camino, alza la voz sin importarle el
cargo de su otro interlocutor, y representa la figura de una mujer africana
moderna, motivada a estudiar, guiada por la independencia y la consciencia
total sobre la integridad que merece en cuanto a su propio cuerpo. También alza
una reflexión importante sobre racionalizar este tipo de barbaries y
combatirlas desde la inteligencia y la reivindicación, no con puños y piedras…
… Il regista, nato e cresciuto ad Addis Abeba ma
trasferitosi in America a quindici anni per studiare cinema, ha deciso di
raccontare la vicenda di Hirut nel 2005, dopo aver conosciuto Meaza Ashenafi, avvocato che
due anni prima era stata insignita dell’Hunger Projects Prize (il Premio Nobel
africano) per il suo impegno in difesa dei diritti delle donne in Etiopia. Dopo tre anni di ricerche e
interviste, Mehari inaugura un lungo periodo dedicato al reperimento dei fondi
necessari alla realizzazione del film e, in questa ricerca, segue strade non
sempre convenzionali: con il supporto della società di produzione di materiale
etnografico Truth Aid vengono istituite due campagne su Kickstarter che, grazie
al contributo di più di duecento finanziatori, fruttano decine di migliaia di
euro. Mehari inizia così le riprese insieme a un’equipe formata da
professionisti di tutto il mondo e a una troupe di cinquanta etiopi. Per il
ruolo di Meaza sceglie Meron Getnet (una delle più note attrici del paese),
affida la parte di Hirut all’esordiente Tizita Hagere mentre i numerosi ruoli
secondari vengono ricoperti esclusivamente da attori non professionisti etiopi…
…Senza interpretazioni memorabili, il
film, girato in 35 mm, è dunque un’occasione solo parzialmente colta – perché
porta all’attenzione il tema dei diritti delle donne e denuncia la violenza di
cui sono vittime – ma è in parte persa, mancando sia l’obiettivo di coinvolgere
davvero che quello di restare nella memoria.
da qui
da qui
Un film che si fa apprezzare per quello che racconta e per come lo racconta. Semplicemente, senza voler strafare.
RispondiEliminaè un film "semplice", una sua caratteristica e un suo pregio, non vuole dire altro, se non quello che dice.
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