se si guarda la filmografia di Pasquale Scimeca c'è solo Sicilia, e anche qui non si smentisce.
quella di Biagio è una storia vera, e il film è un omaggio.
curioso che l'inizio sia simile a "Belluscone", di Franco Maresco, un giornalista viene chiamato a raccontare la storia.
ci sono più dita in una mano che sale in cui viene proiettato il film, se per caso vi capitasse sappiate che esiste, non è un capolavoro, non è cinema che resterà, e però , con le imperfezioni che ha, una visione se la merita tutta - Ismaele
…Il film di Scimeca è sincero, onesto,
cristico, pauperista, francescano e quel che volete, ma dopo 100 anni e passa
di storia del cinema non può esistere oggi così com’è: va bene il naif, ma si
esagera, c’è conversione ma non sulla via dell’update drammaturgico-stilistico,
e nemmeno della splendida inattualità. Questa figura Christi, Biagio, quanti
proseliti può fare riportata così?
La sensazione, per esempio nelle sequenze boschive, è di trovarsi in un diorama: i cani candidi, Biagio che non si sporca nemmeno con la terra, si può? E che dire dei barboni ripuliti?
Il modello di riferimento poetico-formale più evidente è quello rosselliniano, ma sicuri sia tale? E, ancora, come si può raccontare conversione e, dunque, redenzione senza sporcarsi le mani, ovvero sporcare le immagini e, soprattutto, mostrare il sangue, il dolore, il “brutto”? No, qui il giusto, buono e bello è trinità inscalfibile, da far arrossire Aristotele.
Scimeca sull'esempio di Biagio Conte crede, e fa anche bene, a un cinema performativo, dunque, salvifico, a una storia che per il fatto stesso di essere raccontata ti cambia, ti salva, eppure Biagio, crediamo noi, faticherà assai a smuovere le coscienze, in primis per lo stile vetusto che s’è scelto. Beati se ci sbagliassimo, s’intende, ma sul piano ideologico (chiamiamolo così) tocca ricordare il Pensiero di Pascal: “Né un abbassamento che ci rende incapaci del bene, né una santità esente dal male”. Ecco, qui dov’è il male? Dov'è il brutto, lo sporco, il cattivo?
La sensazione, per esempio nelle sequenze boschive, è di trovarsi in un diorama: i cani candidi, Biagio che non si sporca nemmeno con la terra, si può? E che dire dei barboni ripuliti?
Il modello di riferimento poetico-formale più evidente è quello rosselliniano, ma sicuri sia tale? E, ancora, come si può raccontare conversione e, dunque, redenzione senza sporcarsi le mani, ovvero sporcare le immagini e, soprattutto, mostrare il sangue, il dolore, il “brutto”? No, qui il giusto, buono e bello è trinità inscalfibile, da far arrossire Aristotele.
Scimeca sull'esempio di Biagio Conte crede, e fa anche bene, a un cinema performativo, dunque, salvifico, a una storia che per il fatto stesso di essere raccontata ti cambia, ti salva, eppure Biagio, crediamo noi, faticherà assai a smuovere le coscienze, in primis per lo stile vetusto che s’è scelto. Beati se ci sbagliassimo, s’intende, ma sul piano ideologico (chiamiamolo così) tocca ricordare il Pensiero di Pascal: “Né un abbassamento che ci rende incapaci del bene, né una santità esente dal male”. Ecco, qui dov’è il male? Dov'è il brutto, lo sporco, il cattivo?
…Proprio per la sua scarsa frequentazione delle
ecclesiastiche cose, Scimeca trasmette con immagini vibranti la sua
fascinazione e ammirazione per la grande semplicità di Fra Biagio, una condizione materiale ed emotiva raggiunta
attraverso la fatica, la fame e il freddo. La rappresentazione di questa lotta,
fra scene movimentate filmate con la camera a mano e silenziose inquadrature
fisse bianche per la neve o grigie per le nuvole, è la parte più emozionante
del film e più sincera, come sincero è il messaggio di quel San Francesco d’Assisi che
aggiunge significato alla missione in terra del frate siciliano...
… Di «Biagio» Scimeca ha
fatto un'opera rigorosa e altamente spirituale, eliminando qualsiasi tentazione
commerciale e lasciando allo spettatore le lunghe inquadrature del protagonista
(l'attore Marcello Mazzarella che in passato ha davvero sofferto la fame):
grazie a una telecamera digitale Biagio viene seguito passo passo, nel mezzo di
una natura essenziale, avolte nemica, altre materna. L’uomo soffre il freddo,
la fame, al sete, il dolore fisico e ha per amico un cane. Spesso perde il
senso di quello che sta facendo: è davvero così che si trova Dio? La
spritualità di Scimeca si rivela nel vagabondaggio di Biagio, in una mistica
venata di realismo, il protagonista resta sempre con i piedi ben saldi alla sua
realtà, al suo dramma di uomo umile alla ricerca dell’ascesi. Rifiuta il
materialismo, il consumismo e abbraccia la povertà, incarnando le parole di
Sant’ Agostino: «Il sogno, la poesia, l'ottimismo aiutano la realtà più di ogni
altro mezzo a disposizione».
Peccato,
però che Scimeca, pur trasformando il protagonista in un assolo, non abbia
creato momenti alti dettati dalla verità del mondo (sporco), e dalla passione
della fede (sacra) che traspare poco dalle immagini nitide e rigorose…
…“Questo film in
realtà nasce un po’ a Corleone – racconta Scimeca – perché è lì che mentre
giravamo Placido Rizzotto ho conosciuto il vero Fra
Paolo, oggi missionario in Tanzania, grazie
al quale ho cominciato a capire che nella vita oltre alla dimensione materialec’è
anche quella spirituale e che va cercata”.
Dunque è un po’ il regista che
parla quando nel finale Giovanni confessa
a Biagio che da ragazzo sognava di fare un film
“che fosse bello e che aiutasse la gente a salvarsi”? “L’intento era quello –
risponde – l’arte non può limitarsi alla ricerca del bello, ma deve avere dei
contenuti utili per chi ne usufruisce”.
da
qui
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