non si può raccontare, non ci sta in poche righe, bisogna vederlo.
purtroppo non al cinema, dopo quattro anni nessuno ha comprato i diritti; intanto c'è un grandissimo Philip Seymour Hoffman, indimenticabile, in un film che non distingui dalla vita (mi viene in mente "Inland empire", di Lynch, ma quello era un film finto, autoreferenziale e inutile),
(mi viene in mente anche "La vita, istruzioni per l'uso", di Georges Perec, un romanzo-mondo, come il film di Kaufman).
"Synecdoche, New York" è un film vero, è sincero, profondo, da rivedere, di sicuro.
un film mica facile, ma è Cinema, non fatevelo sfuggire - Ismaele
…Synecdoche New York è un film che non andrebbe nemmeno paragonato al 99% del resto della produzione cinematografica. Tutti gli altri film, probabilmente, non dovrebbero nemmeno poter mangiare allo stesso tavolo.
Un film che parla della vita e della sua transitorietà, della morte, del nostro piccolo ruolo in questo corto spettacolo che è la nostra esistenza, della ricerca di un senso o semplicemente della felicità, del tentativo di capire noi stessi e la nostra identità, del vedere tutte le vite umane come una sola, e unica, dell'attesa, spesso vana, che ci capiti qualcosa di bello per poter cancellare o rendere quantomeno migliore la nostra misera condizione…
Un film che parla della vita e della sua transitorietà, della morte, del nostro piccolo ruolo in questo corto spettacolo che è la nostra esistenza, della ricerca di un senso o semplicemente della felicità, del tentativo di capire noi stessi e la nostra identità, del vedere tutte le vite umane come una sola, e unica, dell'attesa, spesso vana, che ci capiti qualcosa di bello per poter cancellare o rendere quantomeno migliore la nostra misera condizione…
Caden, un regista teatrale in crisi con la moglie Adele, che lo lascia e parte per Berlino con una donna amante e la figlia ancora piccola poco dopo la prima di una rappresentazione. Sbandamento, sconforto, depressione. Un'amante che ora può frequentare senza patemi, Hazel, un amore che non riesce a consumare, la depressione lo rende impotente. La psichiatra che lo ha in cura non si capisce se lo cura, se vuole vendergli libri o portarlo a letto.
In un enorme capannone a New York imbastisce uno spettacolo che altro non è che la rappresentazione della sua vita. Sarà la sua auto-analisi, uno spettacolo di durata infinita. Gli attori cambiano, muoiono e se ne cercano di nuovi, la vita prosegue e quella teatrale segue quella reale sempre più da vicino nel tempo, fin quasi a sovrapporsi.,,
In un enorme capannone a New York imbastisce uno spettacolo che altro non è che la rappresentazione della sua vita. Sarà la sua auto-analisi, uno spettacolo di durata infinita. Gli attori cambiano, muoiono e se ne cercano di nuovi, la vita prosegue e quella teatrale segue quella reale sempre più da vicino nel tempo, fin quasi a sovrapporsi.,,
…Charlie Kaufman, dopo una carriera ricca di riconoscimenti quale sceneggiatore (suoi sono, a puro titolo di esempio, gli script di Essere John Malkovich, Confessioni di una mente pericolosa, Se mi lasci ti cancello) giunge finalmente alla regia e si scopre libero di liberare tutta la sua creatività. A partire proprio da una figura retorica che, dichiarata nel titolo, gli permette un numero pressoché infinito di acrobazie narrative. Ne nasce un film estremamente complesso ma proprio per questo altrettanto estremamente personale e coerente.
Nella vita di Caden si riassumono le ossessioni quasi pirandelliane dell'autore il quale vorrebbe poter controllare e dirigere la propria vita così come fa con i personaggi e con gli attori chiamati a dare loro volto, voce e sentimenti. Quando poi, come in questo caso, gli attori si trovano a riprodurre la vita, sempre più ossessivamente intricata, di chi li dirige le differenze le distanze finiscono con l'annullarsi in un gioco di raddoppiamenti che si fa sempre più intellettualmente stimolante quanto più si complica. Fino a quando la morte comincerà a far sentire realmente la propria presenza prendendo in mano la 'regia'.
Nella vita di Caden si riassumono le ossessioni quasi pirandelliane dell'autore il quale vorrebbe poter controllare e dirigere la propria vita così come fa con i personaggi e con gli attori chiamati a dare loro volto, voce e sentimenti. Quando poi, come in questo caso, gli attori si trovano a riprodurre la vita, sempre più ossessivamente intricata, di chi li dirige le differenze le distanze finiscono con l'annullarsi in un gioco di raddoppiamenti che si fa sempre più intellettualmente stimolante quanto più si complica. Fino a quando la morte comincerà a far sentire realmente la propria presenza prendendo in mano la 'regia'.
… Synecdoche, New York si lascia morire proprio come l’impossibile creazione di Caden, proprio come Caden stesso. Al suo debutto alla regia, Kaufman tenta un progetto grandioso e suicidale, colmo di idee fantastiche, momenti di incredibile bellezza dolorosa, paradossi esilaranti e masochistica inconcludenza. La spinta drammatica s’avvolge su se stessa e degrada, la risoluzione è infinitamente rimandata con energie sempre più flebili e la morte è l’unica risposta pensabile contro ogni forza drammaturgica. Un capolavoro tragicamente e grandiosamente mancato. Oppure l’unico, brutalmente vero, capolavoro possibile…
… due ore di film sull'alienazione mentale di un protagonista del genere sono insopportabili per chiunque non si trovi in questo stato d'animo estremo (che peraltro, nel caso, invece di stare di fronte a uno schermo dovrebbe farsi curare). Se l'idea era quella di spingere verso l'eccesso e di rappresentare i decenni che passano per i personaggi, l'obiettivo potrebbe dirsi raggiunto. Ma, più che altro, l'impressione è che la vicenda sia completamente slegata (forse anche a causa di diversi tagli al montaggio) e che comunque alcuni dialoghi forzati rendano la metafora decisamente meno potente di quanto fosse nelle intenzioni.
In tutto questo, si spreca uno dei migliori cast (in pellicole indipendenti o meno) che si siano visti negli ultimi anni…
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