oggi continua ad essere un film perfetto, non capita spesso.
se vi interessa una storia che non ha niente da dire, dove tutto è prevedibile, con attori di quart'ordine, dirigetevi verso altri film.
"La casa dei giochi" è un film nel quale si resta intrappolati, e te lo ricorderai per sempre, promesso - Ismaele
…Joe Mantegna a Lindsay
Crouse,
mentre lei gli scarica addosso
tutti i colpi del proprio revolver,
in una delle scene finali de La Casa dei Giochi di David Mamet
Ma perché la psicoanalista gliene
dava tanti? E perché il “paziente” ne voleva ancora?
Perché la psicoanalista stava sopprimendo, col paziente, la colpa che non poteva sostenere, colpa incarnata (in lui) davanti ai propri occhi. Ed il “paziente”, che l’aveva capito bene, le diceva “dammene ancora, signora”. Nel senso di “dammene pure quanti ne vuoi, non è così che risolvi il tuo problema, io non c’entro niente, non era questa la mia partita, la mia era più lieve e leggera, tutto sommato più innocente.”
La partita di lui riguardava la maneggevolezza degli Oggetti, la dicibilità, ammissibilità, frequentabilità degli oggetti.
La partita di lei riguardava il Soggetto, la pesantezza e l’indicibilità dei suoi conflitti e dei suoi tabù. Ma lui non poteva sapere cosa fosse in gioco per lei, che era una Signora.
Lui era solo un ladro e gli piaceva rubare.
Lei spara e spara e ciononostante non gli fa niente, non è quello il punto, non è quello il bersaglio.
È solo una reazione (pura reattività, pura perdita, direbbe Jacques Lacan), nessuna risposta a niente, nessuna soluzione a niente.
Sopprimendolo non può comunque sopprimere il dato di fatto che lui “le è già accaduto”, non può sopprimere l’irrimediabilità di ciò che è già successo. Sparare non rimedia, non redime e non purifica (nonostante ci sia un capro espiatorio e ci sia pure un sacrificio, non c’è catarsi). Sparare non riavvolge la pellicola, non sfiora nemmeno il vero discorso dell’Errore di lei, della sua Colpa e del suo non riuscire né a sostenerla né ad elaborarla.
Perché la psicoanalista stava sopprimendo, col paziente, la colpa che non poteva sostenere, colpa incarnata (in lui) davanti ai propri occhi. Ed il “paziente”, che l’aveva capito bene, le diceva “dammene ancora, signora”. Nel senso di “dammene pure quanti ne vuoi, non è così che risolvi il tuo problema, io non c’entro niente, non era questa la mia partita, la mia era più lieve e leggera, tutto sommato più innocente.”
La partita di lui riguardava la maneggevolezza degli Oggetti, la dicibilità, ammissibilità, frequentabilità degli oggetti.
La partita di lei riguardava il Soggetto, la pesantezza e l’indicibilità dei suoi conflitti e dei suoi tabù. Ma lui non poteva sapere cosa fosse in gioco per lei, che era una Signora.
Lui era solo un ladro e gli piaceva rubare.
Lei spara e spara e ciononostante non gli fa niente, non è quello il punto, non è quello il bersaglio.
È solo una reazione (pura reattività, pura perdita, direbbe Jacques Lacan), nessuna risposta a niente, nessuna soluzione a niente.
Sopprimendolo non può comunque sopprimere il dato di fatto che lui “le è già accaduto”, non può sopprimere l’irrimediabilità di ciò che è già successo. Sparare non rimedia, non redime e non purifica (nonostante ci sia un capro espiatorio e ci sia pure un sacrificio, non c’è catarsi). Sparare non riavvolge la pellicola, non sfiora nemmeno il vero discorso dell’Errore di lei, della sua Colpa e del suo non riuscire né a sostenerla né ad elaborarla.
Per uno spettatore psicoanalista,
questo finale di film è pura goduria. Ma lo è tutto il film. Logico e preciso…
David Mamet (Chicago, 1947), tra i più grandi sceneggiatori
viventi, esordisce alla regia con questo film sorretto da una storia scritta
magistralmente. La musica classica che accompagna i titoli di testa prepara il
campo al predominio iniziale di ambienti facoltosi, patinati e molto
illuminati. Nelle scene d'apertura viene ribadita un'informazione riguardante
la protagonista (Lindsay Crouse), una psicoanalista dall'aspetto mascolino
autrice di un libro best-seller: se l'anziana amica le dice "[...] il tuo
conto in banca aumenta", il giovane paziente è ancora più efficace quando
si serve del postulato "[...] tu sei ricca". Lo spettatore si fa
dunque un'idea precisa sulla situazione finanziaria della donna e proprio da
qui la vicenda può muovere i primi rilevanti passi. L'arrivo della notte,
sostenuto da una musica tendente al jazz, sposta l'azione nella desolata casa
dei giochi attorno a cui Mamet, autore proveniente dal teatro, ha costruito
questo film sull'inganno e sul rapporto creatosi tra una malavita maschilista e
sempre più avida di denaro e un asettico mondo degli studi e del sapere…
…The plotting is diabolical and impeccable, and I
will not spoil the delight of its unfolding by mentioning the crucial details.
What I can mention are the performances, the dialogue and the setting. When
Crouse enters the House of Games, she enters a world occupied by characters who
have known each other so long and so well, in so many different ways, that
everything they say is a kind of shorthand. At first we don't fully realize
that, and there is a strange savor to the words they use…
da qui
questo film, e poi Homicide (sempre con Mantegna) mi avevano molto impressionato; anche Le cose cambiano è notevole. Sono tre film scomparsi quasi completamente dalle programmazioni tv, mentre altri di Mamet (più semplici e più facilmente inscatolabili in schemi prefissati) continuano a circolare.
RispondiEliminaMi era piaciuta moltissimo Lindsay Crouse, che poi però non ho più trovato, peccato. Una grande prova d'attrice. Joe Mantegna invece continua a lavorare, fa molti telefilm, buon per lui.
ho visto a suo tempo anche i due film di Mamet che citi, li ho già in lista.
Eliminaquesto è grandissimo, sembra finire almeno due volte poi riparte alla grande.
Lindsay Crouse l'ho vista l'altro giorno ne "Il verdetto", di Sidney Lumet.