un
documentario per ricordare Tiberio Murgia, Ferribotte
nel film "I soliti ignoti” di Mario Monicelli.
è il ritratto-intervista di un uomo vissuto in seconda linea,
non un attore, ma un caratterista, cone si definisce, uno che ha avuto tanto e
sciupato tutto, morto in povertà in una casa di riposo.
e però è di una simpatia bellissima, come le immagini della
fine dell’intervista, del suo sorriso.
difficile da trovare, ma non trascuratelo, non è un film perfetto
ma vi darà delle belle soddisfazioni - Ismaele
… Oristanese di nascita ma siciliano per adozione
cinematografica, Tiberio Murgia è stato maschera della commedia italiana per
quasi cinquant'anni, grazie alla geniale intuizione del grande Mario Monicelli
che lo scritturò nel 1957 per il ruolo di Ferribotte nel film "I soliti
ignoti". Intorno al personaggio di Tiberio-Ferribotte, Monicelli costruì
un irresistibile "falso d'autore". Con i suoi 155 film, Tiberio
rappresenta un pezzo di storia del cinema italiano: l'inconfondibile presenza
altera e imperturbabile che ha codificato lo stereotipo del meridionale
irascibile e focoso. Scomparso nell'agosto 2010, all'età di 81 anni, Tiberio
Murgia ha attraversato generi e sottogeneri del cinema, indossando sempre la
maschera del siculo geloso e sciupafemmine, diventando una presenza fissa della
commedia italiana. La storia artistica di Tiberio Murgia si fonde e si confonde
con la sua vicenda umana, quella di sardo che si riscatta dopo un'infanzia e
una giovinezza di fame e stenti: quarto di nove figli, padre contadino, a
scuola fino a otto anni poi subito a lavorare per necessità familiare; quindi
l'emigrazione a Roma, fedifrago ed irrimediabile adultero, manovale col piccone
e una vita da lavapiatti davanti. Fino all'incontro del destino con Mario
Monicelli.
…La
dimensione temporale del documentario di Sergio
Naitza è quella del presente,
e più precisamente, dei giorni dell’intervista di Murgia girata a pochi mesi
dalla sua scomparsa nel 2010: un racconto che fiorisce in parole visive come un
germoglio sopravvissuto alla cultura obliante del mondo contemporaneo. A dispetto
di un presente che dimentica, che perde ogni giorno ancoraggio con la propria
storia, vi è un passato in bianco e nero che non scolora, e riprende vita
attraverso ricordi, vicende di errori e malinconie, sguardi intirizziti e
nostalgici rivolti da una parte ai tragicomici aneddoti di una vita consacrata
all’amore per le donne, dall’altra all’epoca di transizione del cinema italiano
che sfilava sul meraviglioso sfondo della Hollywood romana e del boom
economico, finendo per sfilacciarsi nello spaesamento e nei vuoti
contenutistici dei decenni a venire. L’insolito
ignoto prende le sembianze
macchiettistiche di Tiberio Murgia, per raccogliere attraverso le dita
artritiche del suo protagonista, manciate di scorie mnemoniche, reminescenze
spurie e sotterranee, enfatizzando il ruolo salvifico della memoria in un
mondo, come quello cinematografico, che a fari spenti e sipario calato, oscura
anche la visibilità dei suoi commedianti e comprimari.
da qui
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