martedì 18 giugno 2013

Eri Eri rema sabakutani - Shinji Aoyama

la chiamano "la malattia dei lemming", non sanno come fare.
un mondo che sta morendo, la musica contro la morte, la volontà di morte, in un film che non ti dimentichi.
a me è piaciuto molto - Ismaele




Aoyama fonde gli strati della percezione alla ricerca di nessi di congiunzione tra i sensi: studia l’immagine nel suo contesto sonoro, nelle “vibrazioni” tattili che produce, e, infine, così trascinate nel mondo fisico, le osserva mentre cercano espressione visibile passando dentro i corpi e provocando in loro cambiamenti e reazioni. Un percorso circolare che asseconda il racconto di un mondo del futuro prossimo, decimato da uno strano virus. Chi ne è colpito perde desiderio per la vita e si suicida, senza possibilità di previsione né di essere fermato. La ripetizione del gesto del suicidio instaura una sorta di ritmo interno, visibile, che però un’interferenza sonora può disturbare e, quindi, deviare. L’idea di Mizui e Asuhara (quest’ultimo interpretato dal musicista Nakahara) è proprio questa: cercare il suono che può far guarire dal male e ripeterlo, amplificarlo, dilatarlo, diffonderlo nel vento. E alla fine mostrare l’attimo della guarigione di una ragazza, non a caso, bendata. Questo suono lo cercano nei rumori del mondo, nel flusso delle cose, nell’acqua e negli alberi, nella vita e nella morte. Con i loro microfoni registrano i lamenti inascoltati di chi si è lasciato morire, forse cercano l’attimo in cui il virus ha avuto il sopravvento, quella frazione di tempo necessaria a compiere un gesto. Quale suono avrà prodotto? Quali tracce ha lasciato nell’aria? Registrare tutto per poi riascoltarlo e rielaborarlo sembra essere il loro scopo, fino a raggiungere la purezza di un segno che, solo in ultima istanza, trascende la fisicità e, come la musica rock, salva la vita…

…Un film stranissimo per i canoni occidentali. Forse però è la cosa più simile all’arte che mi sia mai capitata di vedere in una pellicola senza sfociare nel campo dell’autocompiacimento registico. Il titolo tradotto significa Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?, la frase detta da Gesù sulla croce prima di morire.
La storia c’è e si sente, ma è lasciata in secondo piano privilegiando le immagini ma soprattutto i suoni. Si potrebbero fare mille riflessioni e considerazioni sul significato della malattia e perché il noise riesce a combatterla, ognuno può trovare la sua personale opinione. I due ragazzi alla ricerca dei suoni trasmettono un immenso senso di amore per la musica e sembrano dei bambini alla scoperta del mondo. Il concerto poi mi ha incantato, con inquadrature ed effetti sia grafici che acustici stranissimi.
Devo però dire che i ritmi sono lenti e sicuramente può annoiare un po’, ma poi ci sono scene che davvero tolgono il fiato! Potrebbe essere paragonato ad un museo con parecchie statue o quadri belli ma dei quali alla fine ci si stanca, con però delle opere che ti lasciano a bocca aperta!
Consigliato agli amanti del bello!...

Aoyama reinventa o filme de ficção científica depois de Ferrara («New Rose Hotel») e Godard («Alphaville»). É uma parábola sobre a vontade de morrer, num futuro infectado por um vírus que revela a tristeza mais profunda nas pessoas. 
Na sua fragmentação sonora e visual, «Eli Eli Lema Sabatchani?» é uma obra de muitas histórias, não apenas de uma. Os eventos passados de cada personagem abrem constantes brechas no presente, como se a memória fosse uma dolorosa intrusão em vez de uma apaziguada evocação. A devastação neste mundo pode ser geral, mas não deixa de ser algo de muito secreto e individual. 
A procura e registo de sons pelos dois músicos, a música dissonante e agressiva, as composições dos planos em scope, e outros elementos audiovisuais muito expressivos, fazem do filme uma forte e complexa experiênciasensorial.

Eventually he does play for the girl, and it’s one of the most beautiful sequences in recent film, of any genre, from any country. The film itself is crammed with gorgeous visuals, but this one raised goose bumps: Asano, playing a squealing, crying guitar, standing in a field, a seagull super-imposed over him in mid-flight. It’s a curious image, yet is no less powerful for being so enigmatic. When he collapses at the end of his performance, after giving his all, you really feel that exhaustion. Some online have complained that the sequence is too long. To them I say, watch it again, and this time really listen.
As with Eureka, Aoyama here isn’t so much looking for answers as he is musing on questions. “How can you tell the difference between virus suicide and real suicide?” Mizui asks. You can’t, of course. It comes down to the will to live. All that time devoted to two guys making music? It’s music as catharsis, a reason for living. Even in such a bleak world, it’s a reason to live.
da qui


…Ma veramente basta la musica per salvare l' umanità dall' autodistruzione? Ed è qui che entra, con passo leggero, una critica alla società giapponese, Paese con un altissimo tasso di suicidi dove forse il virus è solo una scusa per nascondere malesseri più radicati per i quali non ci sono fantomatiche cure. Eppure, anche qui, niente di così incisivo da far sparire il dubbio che quell' insistenza nel proporre la musica noise (che, per carità, sono certo che avrà i suoi ammiratori) si riduca ad un compiaciuto espediente per mettere in bella mostra le esecuzioni live del musicista Masaya Nakahara e dello stesso Asano. Un dubbio che, purtroppo, non permette di essere tanto generosi nel giudicare il film.



2 commenti:

  1. Anche questo lo avevo in archivio insieme ad altri 3 film di Shinji Aoyama, dimenticato. Grazie per la recensione; la trama è molto originale.

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  2. di Shinji Aoyama ho visto solo il bellissimo "Eureka" (http://markx7.blogspot.it/2013/05/eureka-shinji-aoyama.html).

    per i due che ho visto posso dire che fa film che non si dimenticano, per i miei gusti.

    vai a vedere i tre che ti aspettano, ti stupiranno;)

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