Jocelyn e Dah fanno un lavoro un po' strano, si occupano di galli da combattimento, li procurano, li curano, li istruiscono, li fanno combattere, insomma, per e grazie a loro.
ai due arrivano le briciole delle scommesse dei combattimenti clandestini, sono amici, Jocelyn è abbastanza fuori di testa e Dah deve proteggerlo e accudirlo, come può.
è un mondo al margine, e i due, neri, in Francia, devono stare al loro posto, e baciare la mano del padrone bianco.
Jocelyn e Dah valgono meno dei galli che combattono fino alla morte, nessuno scommette su di loro.
lasciate ogni illusione prima di vedere questo gran film - Ismaele
S'en fout la mort è un piccolo, ma
al contempo grande melodramma di Claire Denis. Infatti, per tutta la durata del
film, a tenere banco sono le emozioni straripanti dei personaggi. Figure forse sfuggenti,
ma cariche di sentimento, di dolore, di emozione.
Nuovamente, come nel precedente Chocolat, a Denis interessano i luoghi di confine, di
fusione, l'intreccio tra culture differenti (un cinema della «différence», mi verrebbe da dire). Protagonisti sono
uomini di colore e portoricani, nei sobborghi di località di passaggio
francesi. A fungere da "teatro" è un luogo inusuale come quello dei
combattimenti di galli clandestini. È, infatti, proprio il gallo di Dah a
chiamarsi Al diavolo la morte. Un nome (e un titolo) programmatico di chi,
incurante, vuole vivere la vita "fottendosene" delle conseguenze,
come in ogni mélo che si rispetti.
Per chi accusa Claire Denis di eccessivo
intellettualismo dovrebbe rivedersi questo film: questo non è cinema "di cervello",
è cinema di viscere.
Ciò che colpisce maggiormente del film di
Claire Denis, vedendolo dopo 30 anni (!), è la sua modernità, la capacità di
raccontare la contemporaneità e di anticipare modi e tematiche delle storie
degli anni 90. La storia in se non riesce davvero ad andare oltre la
consistenza di una storia allegorica. Al diavolo la morte è difatti un racconto
(im)morale urbano d'immigrazione e spaesamento.
Due uomini di colore - Jocelyn venuto in Francia dalle
Antille e Dah - vivono a Parigi importando di nascosto galli da combattimento.
Pierre Ardennes, proprietario di un ristorante parigino, ha messo su nel retro
un ambiente frequentato da accaniti scommettitori clandestini. Jocelyn e Dah
sono a percentuale, mentre la bionda Toni, moglie di Pierre e il figlio Michel
si occupano del bar. Jocelyn, che è l'addestratore dei galli, tipo introverso e
di rarissime parole, si innamora della donna del suo capo. Intanto il gestore
impone l'applicazione di affilate lamette di acciaio agli speroni dei
combattenti, allo scopo di far aumentare le puntate. Ma Jocelyn si ribella,
considerandolo una deformazione cruenta del combattimento, che per lui fa parte
di antichissimi rituali, in più è geloso di Michel e della ambiguità dei suoi
rapporti con Toni. Nell'ultimo combattimento, Jocelyn mette sul ring, anziché
il gallo prediletto, ormai sfinito, che si chiama "'Al diavolo la morte",
una bianca e combattiva gallina cui ha dato il nome di Toni. Ma subito dopo
Michel lo affronta e lo uccide. Il fedele amico Dah, inviando al vecchio padre
la salma e il denaro guadagnato da Jocelyn in Francia, torna anche lui nel
paese natìo.
…tra cemento e autostrade grigie e desolanti, locali chiusi ed
ermetici dove in recinti circolari mani esperte massaggiano e sollecitano corpi
snelli di pennuti eccitati dall'istinto di sopravvivere e sopraffare, la vita
cerca di farsi avanti tra i pericoli e le incognite di un futuro che è esso
stesso una scommessa, sopraffatto dal caso avverso e dalle asprezze di una
società che non è disposta a regalare nulla a chi non riesce a guadagnarsi la
strada del successo e dell'indipendenza.
E, come spesso capita, c'è chi riesce a sopravvivere volando basso e
cercando di restare nei ranghi, e chi soccombe in modo violento, sopraffatto
dalla smania di vittoria e di un facile guadagno che si rivela un amaro,
sanguinoso miraggio illusorio.
Claire Denis è quel tipo di regista che si fa
amare o odiare, ma che ha dalla sua una notevole dose di coraggio. Come in
altri suoi film, quest'opera è ostica, ripetitiva, sgradevole e forse odiosa,
ma proprio per questo raggiunge dei risultati di amarezza che gli autori
"veri o presunti" nemmeno si sognano. Visto in un festival del cinema
di Venezia di parecchi anni fa, "lorda" un incredibile disagio morale
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