domenica 25 ottobre 2020

Al diavolo la morte (S'en fout la mort) – Claire Denis

Jocelyn e Dah fanno un lavoro un po' strano, si occupano di galli da combattimento, li procurano, li curano, li istruiscono, li fanno combattere, insomma, per e grazie a loro.

ai due arrivano le briciole delle scommesse dei combattimenti clandestini, sono amici, Jocelyn è abbastanza fuori di testa e Dah deve proteggerlo e accudirlo, come può.

è un mondo al margine, e i due, neri, in Francia, devono stare al loro posto, e baciare la mano del padrone bianco.

Jocelyn e Dah valgono meno dei galli che combattono fino alla morte, nessuno scommette su di loro.

lasciate ogni illusione prima di vedere questo gran film - Ismaele


 

 

S'en fout la mort è un piccolo, ma al contempo grande melodramma di Claire Denis. Infatti, per tutta la durata del film, a tenere banco sono le emozioni straripanti dei personaggi. Figure forse sfuggenti, ma cariche di sentimento, di dolore, di emozione.
Nuovamente, come nel precedente Chocolat, a Denis interessano i luoghi di confine, di fusione, l'intreccio tra culture differenti (un cinema della «différence», mi verrebbe da dire). Protagonisti sono uomini di colore e portoricani, nei sobborghi di località di passaggio francesi. A fungere da "teatro" è un luogo inusuale come quello dei combattimenti di galli clandestini. È, infatti, proprio il gallo di Dah a chiamarsi Al diavolo la morte. Un nome (e un titolo) programmatico di chi, incurante, vuole vivere la vita "fottendosene" delle conseguenze, come in ogni mélo che si rispetti.
Per chi accusa Claire Denis di eccessivo intellettualismo dovrebbe rivedersi questo film: questo non è cinema "di cervello", è cinema di viscere.

da qui

 

Ciò che colpisce maggiormente del film di Claire Denis, vedendolo dopo 30 anni (!), è la sua modernità, la capacità di raccontare la contemporaneità e di anticipare modi e tematiche delle storie degli anni 90. La storia in se non riesce davvero ad andare oltre la consistenza di una storia allegorica. Al diavolo la morte è difatti un racconto (im)morale urbano d'immigrazione e spaesamento.

da qui

 

Due uomini di colore - Jocelyn venuto in Francia dalle Antille e Dah - vivono a Parigi importando di nascosto galli da combattimento. Pierre Ardennes, proprietario di un ristorante parigino, ha messo su nel retro un ambiente frequentato da accaniti scommettitori clandestini. Jocelyn e Dah sono a percentuale, mentre la bionda Toni, moglie di Pierre e il figlio Michel si occupano del bar. Jocelyn, che è l'addestratore dei galli, tipo introverso e di rarissime parole, si innamora della donna del suo capo. Intanto il gestore impone l'applicazione di affilate lamette di acciaio agli speroni dei combattenti, allo scopo di far aumentare le puntate. Ma Jocelyn si ribella, considerandolo una deformazione cruenta del combattimento, che per lui fa parte di antichissimi rituali, in più è geloso di Michel e della ambiguità dei suoi rapporti con Toni. Nell'ultimo combattimento, Jocelyn mette sul ring, anziché il gallo prediletto, ormai sfinito, che si chiama "'Al diavolo la morte", una bianca e combattiva gallina cui ha dato il nome di Toni. Ma subito dopo Michel lo affronta e lo uccide. Il fedele amico Dah, inviando al vecchio padre la salma e il denaro guadagnato da Jocelyn in Francia, torna anche lui nel paese natìo.

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…tra cemento e autostrade grigie e desolanti, locali chiusi ed ermetici dove in recinti circolari mani esperte massaggiano e sollecitano corpi snelli di pennuti eccitati dall'istinto di sopravvivere e sopraffare, la vita cerca di farsi avanti tra i pericoli e le incognite di un futuro che è esso stesso una scommessa, sopraffatto dal caso avverso e dalle asprezze di una società che non è disposta a regalare nulla a chi non riesce a guadagnarsi la strada del successo e dell'indipendenza.

E, come spesso capita, c'è chi riesce a sopravvivere volando basso e cercando di restare nei ranghi, e chi soccombe in modo violento, sopraffatto dalla smania di vittoria e di un facile guadagno che si rivela un amaro, sanguinoso miraggio illusorio.

da qui

 

Claire Denis è quel tipo di regista che si fa amare o odiare, ma che ha dalla sua una notevole dose di coraggio. Come in altri suoi film, quest'opera è ostica, ripetitiva, sgradevole e forse odiosa, ma proprio per questo raggiunge dei risultati di amarezza che gli autori "veri o presunti" nemmeno si sognano. Visto in un festival del cinema di Venezia di parecchi anni fa, "lorda" un incredibile disagio morale

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