lunedì 26 ottobre 2020

Cosa sarà - Francesco Bruni

il segreto del film sta nella bravura degli attori, per non parlare della sceneggiatura e della gentilezza che non mancano mai.

ci sono dei conflitti, come è giusto, e però tutto trova una soluzione, più o meno soddisfacente, dal male nasce il bene.

non c'è niente di forzato nella storia, il dolore e la paura sono sinceri, mica finti. 

sarebbe un peccato sapere la trama in anticipo, quando lo vedrete su uno schermo di casa (visto che i cinema resteranno chiusi per un po') non guardate prima troppi trailer.

quando il film vi capiterà vicino guardatelo, non perdetevelo se vi volete bene.

buona (tardiva) visione - Ismaele



 

 

è davvero un film universale, capace di toccare corde molto intime in ognuno di noi, corde anche molto diverse tra loro. Cosa sarà è commovente, catartico, a tratti sarcastico. Si piange e si ride, come in quell'umana commedia che è la vita. Il film è dedicato a Mattia Torre, anche lui sceneggiatore, uno dei migliori, uno che la sua battaglia contro la malattia non l'ha vinta.

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Se fosse necessario trovare un aggettivo in cui celare il senso intimo di Cosa sarà, quello è senza dubbio dolce. Lo sguardo di Bruni si fa carezzevole, quasi volesse stringere i suoi personaggi in un abbraccio collettivo, e non lasciarli mai andare via. Anche per questo amore assoluto per l’umanità che racconta viene naturale accettare alcune ridondanze – già in parte accennate in precedenza. Non c’è alcuna forzatura, alcuna palese finzione, in Cosa sarà, grazie anche all’eccellente lavoro compiuto dal regista con i suoi interpreti. Se non è necessario trovare conferme del talento di Kim Rossi Stuart, o di Lorenza Indovina e Raffaella Lebboroni, ed è un piacere rivedere sullo schermo lo strehleriano Giuseppe Pambieri (che il cinema ha con troppa facilità snobbato nel corso degli anni), una volta di più Bruni si dimostra molto bravo nel cogliere le sfumature e le esigenze espressive di attori alle primissime armi. Fu così con Filippo Scicchitano, Lucrezia Guidone, Francesco Bracci, e Andrea Carpenzano, e la regola si rinnova con la già citata Fotinì Peluso e Tancredi Galli, impegnati a dare corpo e voce ai figli del protagonista, universitaria la prima e liceale il secondo. Ed è difficile durante la visione del film non pensare al peso personale di una messa in scena così accurata e dettagliata dell’ambiente familiare. Si è lasciato volutamente in secondo piano durante questa breve analisi l’ombra autobiografica che aleggia attorno al film, perché un oggetto cinematografico deve innanzitutto convincere in sé, prima che ci si possa lanciare in elucubrazioni e speculazioni ulteriori. Ma non si può far finta che questo sia un film come tutti gli altri, per una lunga e articolata serie di motivi che – ora che sono stati evidenziate le peculiarità espressive – è forse il caso di affrontare. La malattia che viene diagnosticata a Bruno Salvati (invertire le ultime vocali permette di comprendere appieno il gioco di parole nascosto nel nome) è la stessa che venne riscontrata al regista, che è a sua volta padre di una ragazza e un ragazzo. Non si sta suggerendo una sovrapposizione esatta tra ciò che è accaduto nella realtà e la finzione scenica, ma è indubbio che il film sia anche una lunga elaborazione di quanto accaduto. A fronte di un cinema italiano (industriale) spesso ombelicale, chiuso in se stesso e distaccato in modo quasi autistico dal mondo esterno, Bruni scava nell’intimo per costruire una commedia popolare che abbia la forza di allargare lo sguardo, aprire la visuale al di fuori. Vedere. C’è un persistente ritorno all’idea di sguardo in Cosa sarà: Bruno non sa resistere alle stringenti e doverose regole ospedaliere e apre la finestra, guardando al di fuori. La prima cosa che nota risvegliandosi dopo un sonno procurato dalla fiacchezza sono gli occhi della consorte – i due si sono separati, ma restano molto vicini –, e se riprende l’amato Tito, il figlio più piccolo, è solo perché i film li vede sul cellulare, e non su uno schermo consono…

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La sceneggiatura, scritta da  con la collaborazione dello stesso Rossi Stuart, si allarga come i cerchi nell'acqua, e il primo e (quasi) ultimo cerchio formano una piccola parabola sul bisogno di (af)fidarsi, soprattutto quando le probabilità di prendere una fregatura sono altissime. Nei cerchi interni si sviluppa la storia che scorre fluidamente avanti e indietro nel tempo, ripercorrendo l'iter di Bruno-Bruni per ricrearne lo spiazzamento frammentario e restituire le piccole rivelazioni incontrate lungo la via: la generosità di una figlia, la paura muta di un figlio, la solidità di una ex moglie, il pragmatismo di una dottoressa sbrigativa e battagliera, la gentilezza di un infermiere, il senso di colpa di un padre che non ha saputo esserlo, ma non ha smesso di amare i suoi figli.

È un modo lieve e autoironico di raccontare un gigantesco spavento che rimane come monito della propria impermanenza, e come rivelazione (a se stesso prima che agli altri) di quelle caratteristiche di "debolezza e fragilità" che la malattia mette solo in maggiore evidenza e che rendono molti uomini più impreparati di quelle donne "che hanno sempre ragione" anche quando non sono perfette, "perché a noi quelli perfetti non ci piacciono". Cosa sarà è un modo di raccontare quando non ci si è capito niente, ma qualcosa si è imparato, senza magari sapere ancora bene cosa…

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…Mai la visione dei rapporti tra sessi in un film scritto da Francesco Bruni era stata così netta come in Cosa sarà. Tutti gli uomini sono abbastanza incapaci, emotivamente inetti, problematici e a vario modo cialtroni, mentre tutte le donne, equilibrate, razionali e sentimentalmente consapevoli, hanno il compito di gestirli, aiutarli o proprio salvarli. Lo fanno con compassione, tenerezza e affetto per questi esseri così fragili e in difficoltà, maneggiandoli con la stessa cura e delicatezza con cui gli uomini di classe nei film degli anni ‘30 gestivano le donne.
Tanto che quando poi gli uomini si relazionano tra di loro fanno fatica a capirsi e sfociano in rabbia o mutismo.

È una prospettiva che serve bene gli intenti e le finalità del film (specie il personaggio della figlia) ma che sarebbe stata sicuramente aiutata ad essere un po’ più complessa da un lavoro più fino sulla recitazione. Con l’eccezione di Fotinì Peluso e Kim Rossi Stuart questo è un po’ il tallone d’achille del film, il fatto di avere troppo spesso momenti in cui le interpretazioni reggono poco, sono fuori tono per macchiettismo o proprio un po’ amatoriali. Eppure, paradossalmente, proprio il fatto che ci sia questa mancanza rende ancor più eccezionale che il film sia così perfetto.

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