in una fabbrica di quelle con il padrone senza pietà, Michel Piccoli decide di abbandonare il lavoro e le scelte successive saranno davvero radicali.
nel film non si parla, come se fosse un film muto, e si capisce tutto benissimo.
si crea una microcomunità dove esistono amore e libertà e si combatte l'autorità, per mangiare ci si arrangia in qualche modo, non vegetariano.
un piccolo gioiellino da (ri)scoprire - Ismaele
QUI il
film completo, in francese
...Volete
la rivolta, l'animale affamato di caos...quello che sovverte?..Questo è il
film. Film senza dialoghi, solo grugniti, (e intendo senza una parola in
nessuna lingua, un muto rumoroso) come i primati in Odissea 2001..Scene,
personaggi ed eccessi fiondano lo spettatore in un mondo anarchico e diverso.
Un muro non è più confine sicuro ma un ostacolo da abbattere platealmente..Le
auto inutili orpelli..L'autorità un bersaglio da lunapark, gli uomini in divisa
una cena (da qui il titolo)...Themroc, una medicina contro l'inevitabile
reflusso biliare che il momento che viviamo ci procura. M. Piccoli è (come
sempre) già da solo un motivo per amare il cinema.
Commedia grottesca in cui non v'è sorta di dialogo,
sostituiti con grugniti ed urla. Un operaio si ribella alla società, torna a
casa e la distrugge trasformandola in una specie di caverna troglodita; si dà
all'incesto e al cannibalismo, coinvolge il vicinato nella sua regressione e
sberleffa la polizia. Senza mai prendersi troppo sul serio è un curioso film
che vive di contestazione, liberalismo e anarchia (temi cari ad un certo cinema
post '68) anche se non ha la forza critica di Ferreri.
I primi venti minuti di film sono qualcosa di alienante. Il semplice
recarsi al lavoro, cosa naturale per moltissime persone, sono una vera odissea
proprio per la sua tragica normalità di pendolare. Il luogo di lavoro non è
altrettanto rose e fiori ed è plausibile che il protagonista, dopo l'ennesimo
rimprovero ingiusto, sente che la misura è colma.
E' un film inconsueto dove la ribellione abbatte
letteralmente ogni cosa: casa, famiglia ed istituzioni, insieme
all'abbattimento di tanti tabù malvisti nella moderna società occidentale come
incesto e cannibalismo. E'un film forse un po' velleitario, ma in fondo la
provocazione coglie alcuni obiettivi. Indovinata l'idea di un film senza
praticamente dialoghi, ridotti ad un linguaggio intellegibile, per passare
letteralmente a urla di rabbia o ululati di piacere. In questa ribellione che
si allarga a macchia d'olio si regredisce ad uno stato primitivo con case
ridotte a delle grotte al cui interno non si deve rendere conto di nulla. Film
a suo modo coraggioso nella forma con un ottimo Michel Piccoli. Da fucilare
seduta stante colui che ha ideato il titolo in italiano.
Dopo l'ennesimo sopruso sul lavoro, il muratore Themroc
torna la casa, la distrugge trasformandola in un antro ed inizia a vivere come
un cavernicolo, coinvolgendo famiglia e vicini in questo ritorno allo stato
selvaggio, tanto che i poliziotti intervenuti a riportare l'ordine rischiano di
finire cotti allo spiedo... Apologo post sessantottino reso ancora più bizzarro
dall'assenza di dialoghi, sostituiti da grugniti, colpi di tosse, parlottii
incomprensibili. Un esempio di cinema anarchico che può non piacere per eccesso
di grottesco ma colpisce per la sua originalità.
…II film di Faraldo rappresenta uno dei casi più
anarchici e originali di rivolta contro le istituzioni politiche imposte;
sfonda con la devastante forza di un macigno la cupola della società
capitalista/perbenista e ne abbatte le regole; la morale; il linguaggio. Themroc è "la
morte del linguaggio": civile; cinematografico. La primaria
originalità del film, sta infatti nel suo inscenarsi mediante una decostruzione
linguistica dove la parola è soppiantata da borbottii sordi e incomprensibili,
vocaboli soffocati da un gutturalismo primigenio (per tutto il film, non esiste
un dialogo di senso compiuto). L'opprimente autorità costituzionale mostra i
suoi primi segni di cedimento al passaggio di una metropolitana; l'insofferenza
del protagonista (un inarrestabile e virulento Michel Piccoli,
asfissiato dalla sua soporifera esistenza da operaio in una fabbrica di
vernici) verso una società tentacolare scaturisce nel sottosuolo e deflagra,
all'esterno, sprigionandosi in urla belliche che anticipano l'inizio
dell'insurrezione. L'uomo, dopo essersi barricato nel suo appartamento, sfonda
la parete rivolta sul cortile della residenza popolare e concupisce la giovane
sorella attirando l'attenzione, non solo dei condomini, ma in particolar modo
di un'ardente Francesca Colussi, che non esita un istante a
mollare l'imbelle marito per trasferirsi nell'inconsueta ed invitante alcova.
L'intervento della polizia ovviamente non risolverà nulla (un gendarme verrà
addirittura cucinato allo spiedo), ma alimenterà solamente gli istinti
primordiali che riemergono fremebondi. Le mura domestiche, diventano così
l'antro fumogeno di una volontaria regressione paleolitica; l'homo-erectus si
libera e rilascia, tra riesumi di pratiche antropofaghe e orge collettive
incitanti il sesso libero, pandemie ideologiche che si diffondono provocando un
contagio che travalica i confini residenziali e si estende oltre, portando al
progressivo crollo di tutte le strutture organiche. Gli echi sonanti del nuovo
linguaggio libertario abbracciano una realtà totalizzante e cosmopolica e le
nuove regole, sono presto indette: re(pro)gredire alla più totale indipendenza,
liberarsi da un potere coattivo e sovvertirne le regole limitanti dei diritti o
dell'espressione personale... Un capolavoro: Scomodo? Anticonformista?
Estremamente datato? Sicuramente, ma meritevole di maggior visibilità oggi, più
che allora, in quanto visione indiscutibilmente necessaria per scuotere dal
torpore, tutte quelle coscienze quotidianamente imbonite dal lesivo tam-tam politico/mediatico.
…Il
film ha una particolarità che lo rende unico nel suo genere: è completamente
muto, o meglio, è parlato in uno stranissimo birignao fatto di suoni beceri,
parole masticate o inventate al momento, versacci trogloditi come i suoi
sgangherati protagonisti, gesti inequivocabili, altrettanto inequivocabili
alzate di spalle, sopraccigli inarcati, singulti, boccacce, richiami e smorfie
e rumorose pernacchie. Tutti urlano contro tutti, berciano, blaterano, mangiano,
uccidono, si scaccolano, si accoppiano e ancora ricominciano tutto daccapo,
fino a quando la pellicola, in bilico tra il grottesco e lo humour
involontario, non diviene un'assurda, scanzonatissima riflessione sulla
retorica classista del tempo: in un momento in cui l'operaio è lasciato
completamente solo, schiacciato nella duplice morsa dell'oratoria sindacale e
della tracotanza padronale, l'unica soluzione possibile è negare tutte le
strutture economiche, fiscali e sociali che hanno condotto all'alienazione
contemporanea. Non può esserci mediazione alcuna tra le parti in causa perché
la società, ci dice il regista, è talmente malata che le ideologie ad essa
sottese e in essa maturate non sono altro che specchietti per le allodole
grazie alle quali le istituzioni manovrano i cittadini. Themroc estremizza il
nichilismo dottrinale tornando al grado zero della civiltà, ovvero abiurando
l'umanesimo e la centralità dell'individuo nello spazio collettivo e divenendo
ancora, insieme ai consimili, un selvaggio dedito all'antropofagia più bestiale
e incontrollabile. Il film di Faraldo è fondamentale per
capire il presente, e anzi, con il suo eccesso visivo, colorato e cattivissimo,
risulta ancor più tangibile e giustificabile oggi che nel suo contesto di riferimento…
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