Wendy e Lucy.
è una sposa (in)felice, sola, una riproduttrice per creare l'erede.
Hunter cade sempre più nella trappola, poi comincia a farsi male e alla fine, all'ultimo minuto riesce a fuggire, con un aiuto inaspettato e necessario.
come si fa a non provare solidarietà per la rinascita di Hunter?
buona (ottima) visione - Ismaele
…l'infermiere siriano le dice una frase
molto "fastidiosa" ma per niente banale.
"Se fossi stata in Siria non avresti questi problemi.
Non c'è spazio per problemi mentali quando ti sparano addosso".
certo, non voglio dire che questa frase sia incontestabile, e che i
problemi mentali degli individui non possano avere radici molto più profonde
degli ambienti in cui vivono.
Ma è tremendamente vero che in una situazione di calma, inanità, solitudine
e agio ogni nostro problema mentale non trova la "vita reale" a
poterlo combattere, a confonderlo, a metterlo in secondo piano.
Più stiamo bene, più abbiamo cose ma al tempo stesso più la nostra vita ha
mancanze interiori e solitudini più facilmente impazziremo.
Se invece la vita ci costringesse a combattere tutti i giorni i nostri
demoni si troveranno molte più porte chiuse per entrare dentro di noi…
…Primo lungometraggio del
regista Carlo Mirabella-Davis, se si esclude il documentaristico 'The swell
season', presentato al Tribeca film festival nel 2019 e distribuito in Francia
solo nel Gennaio 2020; un thriller psicologico che non può che ricercare una
nicchia di pubblico per la tematica particolarmente singolare.
Altri recensori ne evidenziano i limiti, dei quali condivido le
riserve, infatti lo scarno soggetto manca di un climax adeguato per sfociare
nel bieco horror (del quale sarei un fruitore convinto), è deficitario
nell'analisi psicologica (al limite del didascalico) ed inoltre non riesce a
trovare la quadra nello sbrigativo finale nel quale troppi dubbi rimangono
sulla catarsi finale o presunta tale.
Rimane comunque 'del buono' da appuntare, che mi convince nel dare un
giudizio positivo, cioè le due caratteristiche che ricerco, e difficilmente
trovo, durante le mie visioni: l'originalità del
soggetto ed il coraggio della
produzione.
In questo caso entrambi sono presenti.
…Mirabella-Davis gira un film che alterna un
controllatissimo rigore geometrico, quando si muove all’interno della prigione
di vetro dei Conrad, ad una libertà più scomposta, quando la protagonista si
muove finalmente nella realtà esterna. Haley Bennet (The Hole, Kaboom, The Equalizer, La
ragazza del treno) dietro la sua voce sussurrata e il viso di porcellana,
riesce a nascondere inquietudini e oscurità impensabili.Il film poggia tutto
sulle sue spalle, sulla sua apparente apatia, che si trasforma in
autodistruzione: la condizione di eterna bambina, in cui si trova costretta,
all’interno della casa di bambole costruita dai Conrad attorno a lei, in cui si
può solo sorridere o chiedere scusa, senza mai alzare la voce, finisce per
spingerla sull’orlo del precipizio…
…Le abiezioni di questa donna, coraggiosamente rese visibili
sullo schermo, ne fanno un esempio di quella mostruosità femminea di cui il
cinema ha dato in passato alcuni esempi, ma ribaltandone l’assunto: in un mondo
maschilista, sessista e omofobo la donna non è la mostruosità da sconfiggere ma
una preziosa identità da difendere. Come per tutti i grandi film, al termine
della visione di Swallow lo spettatore non è in
grado di elaborare un giudizio nei confronti del personaggio protagonista. Il
suo dolore, i suoi sacrifici, le sue motivazioni e le sue scelte sollecitano
pensieri e riflessioni che, dopo i titoli di coda, resteranno con noi a lungo.
…È la miscela di body horror fisico e intensa
risonanza emotiva a creare un film così angosciantemente brutale,
nonostante la mancanza pressoché totale di violenza oltre a qualche goccia di
sangue e alcune immagini di chirurgia.
Questo è ciò che rende Swallow così avvincente, il modo in
cui riesce a creare così tanta tensione dal poco che viene effettivamente
mostrato sullo schermo. È così che il regista Carlo Mirabella-Davis ricorre
a ogni senso per costruire l’esperienza sensoriale che, in
definitiva, diventa il suo film. Dal sound design strabiliante alla colonna
sonora inquietante di Nathan Halpern a come usa riprese lunghe e ampie per
costruire il mondo distante e isolato della vita di Hunter. Il regista
organizza un’opera capace di tenere in punta di poltroncina lo spettatore,
oltre che instillargli una certa riluttanza a deglutire per lungo tempo.
È questo mix di contenuti visivi sconvolgenti che si
mescolano con temi incredibilmente pesanti come l’abuso, lo stupro, il gaslighting e
la repressione sociale che trasforma Swallow in un titolo
contemporaneamente da non perdere e da non voler rivedere una seconda volta.
Nel secondo caso, l’aspetto peggiore sarebbe il probabilmente perdersi molti
dei dettagli dell’impressionante lavoro orchestrato da Carlo Mirabella-Davis,
così come la devastante performance di Haley Bennett, anche se una menzione
doverosa va fatta a Denis O’Hare (American
Horror Story), in un ruolo piccolo, ma importante e credibile. In
definitiva, è un film indie di genere, ma di quelli di cui
quasi sicuramente non vedremo altri esempi nel prossimo futuro.
Nessun commento:
Posta un commento