ci sono due attori, marito e moglie, e i loro doppi, e un cane.
una piccola vacanza con una fine tragica.
e la moglie, in attesa della fine, ricorda il rapporto con il padre, durante un'eclissi, quando era bambina.
Jessie è una vittima che neanche si è mai accorta di esserlo, e nelle ultime ore le passa tutta la vita davanti.
bel film, merita - Ismaele
…La metafora del vedere regge tutto l’impianto filmico
e narrativo. Chissà se King prima e Flanagan dopo, nel descrivere così
intimamente il lato oscuro delle donne, si siano resi conto di aver realizzato
un’opera tutta al femminile dove gli uomini sono delle comparse, neanche
particolarmente brillanti. Stress, ricatto, incubi,segreti, solitudine, senso
di inadeguatezza, impotenza fisica e psicologica, paura dell’ignoto sono le
sfaccettature della trasposizione cinematografica di storie talmente interiori,
al limite dell’“infilmabile” di cui Il gioco di Gerald si
nutre…
…Il Gioco di Gerald non è un romanzo d’azione, ma è un
viaggio all’interno della psiche di una donna che sa di avere le ore contate.
Si è trattato di un libro molto importante per la mia formazione e, di solito,
lo uso come esempio pratico e pronto all’uso quando leggo o sento panzane come
quella relativa al fatto che gli uomini non dovrebbero scrivere storie con
donne protagoniste. La mia convinzione è che Jessie, creazione di uno
scrittore, sia uno dei personaggi femminili più intensi, vividi e, soprattutto,
complessi della narrativa di genere, e forse non solo di quella.
Il problema era rendere questa complessità nello spazio di meno di due ore. Il rischio era appiattire Jessie, era farla diventare una vittima indifesa alla mercé del caso o, anche peggio, un oggetto ammanettato a una spalliera. Per fortuna c’è Flanagan: a partire da Absentia, passando per Oculus, fino ad arrivare ad Hush e sì, persino in Oujia, il regista ha sempre puntato sui personaggi femminili, delineando psicologie mai banali. Era quindi ovvio che dedicasse a Jessie la stessa attenzione.
Jessie è una tipica donna kinghiana: rapporto a dir poco problematico con la figura paterna, tendenza a replicare all’infinito questo rapporto problematico con gli altri uomini della sua vita, vivendo nella loro ombra, incapace di tirar fuori le risorse che comunque possiede; le donne, nei romanzi di King, portano sulle spalle il peso dei propri e altrui errori e prendono sempre le decisioni più dolorose. Il Gioco di Gerald non è la storia di una tizia bloccata su un letto da un paio di manette, è la storia di una lenta rinascita, di un’ordalia che diventa riscatto. E, si sa, in King bisogna sempre passare attraverso un vero e proprio calvario per rinascere, e non sempre ci si riesce.
Il problema era rendere questa complessità nello spazio di meno di due ore. Il rischio era appiattire Jessie, era farla diventare una vittima indifesa alla mercé del caso o, anche peggio, un oggetto ammanettato a una spalliera. Per fortuna c’è Flanagan: a partire da Absentia, passando per Oculus, fino ad arrivare ad Hush e sì, persino in Oujia, il regista ha sempre puntato sui personaggi femminili, delineando psicologie mai banali. Era quindi ovvio che dedicasse a Jessie la stessa attenzione.
Jessie è una tipica donna kinghiana: rapporto a dir poco problematico con la figura paterna, tendenza a replicare all’infinito questo rapporto problematico con gli altri uomini della sua vita, vivendo nella loro ombra, incapace di tirar fuori le risorse che comunque possiede; le donne, nei romanzi di King, portano sulle spalle il peso dei propri e altrui errori e prendono sempre le decisioni più dolorose. Il Gioco di Gerald non è la storia di una tizia bloccata su un letto da un paio di manette, è la storia di una lenta rinascita, di un’ordalia che diventa riscatto. E, si sa, in King bisogna sempre passare attraverso un vero e proprio calvario per rinascere, e non sempre ci si riesce.
Flanagan ha colto in pieno l’essenza del romanzo di
King, realizzando quello che è, a oggi, il suo film migliore: scarno, quasi del
tutto privo di colonna sonora, essenziale nella messa in scena, completamente
dedito alla sua protagonista, ai suoi incubi, ai suoi ricordi, alla sua volontà
di vivere, emotivamente difficile da sopportare e con alcuni attimi di puro
terrore, senza contare la scena più famosa del libro, riprodotta in maniera
identica nel film: a me si è annebbiata la vista e, per qualche secondo, ho
temuto di perdere i sensi. Questo per dirvi che Flanagan, quando c’è da
picchiare duro, non si fa il minimo scrupolo e affronta tutte le parti più
scabrose e controverse del romanzo di King caricando a testa bassa. Quindi sì,
Il Gioco di Gerald è un horror bello cattivo, violento all’occorrenza e
spaventoso come solo le sinistre apparizioni dal buio cui Flanagan ci ha
abituati sanno essere. Ma è soprattutto un’esperienza che val la pena di essere
vissuta e, forse, la consacrazione definitiva di un nuovo Maestro dell’horror
che, dopo un paio di prove di natura “alimentare”, torna a firmare un’opera in
cui crede davvero, con risultati straordinari.
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