occorre che ciascuno si faccia un'idea da sè, come sempre.
nel film succedono un po' di cose inverosimili, ma non si tratta di un documentario, e sono utili per sintetizzare una grande storia in due ore.
e lo spazio, i viaggi, sono uno sfondo per riflettere sull'essenza dell'uomo, sui rapporti con gli altri, e sulla fuga, per non guardarsi allo specchio, e riflettere.
ci sono tante cose importanti da fare, quello che è umano non mi interessa, sembra che sia questo uno dei motivi della fuga.
e Brad Pitt è bravissimo.
e lo spazio, i viaggi, sono uno sfondo per riflettere sull'essenza dell'uomo, sui rapporti con gli altri, e sulla fuga, per non guardarsi allo specchio, e riflettere.
ci sono tante cose importanti da fare, quello che è umano non mi interessa, sembra che sia questo uno dei motivi della fuga.
e Brad Pitt è bravissimo.
Tutta l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua
incapacità di starsene nella sua stanza da solo, diceva Blaise Pascal.
buona visione - Ismaele
Sin dalla scena d’apertura James Gray ci
pone sull’orlo dell’abisso e fa vacillare la nostra sicurezza di spettatori,
spalancando vertigini: il regista stabilisce subito lo specifico di Ad Astra, ovvero un senso spaziale che
accelera e ingigantisce la solitudine. E’ l’inizio, disorientante, di un movimento che
metterà il protagonista McBride/Pitt a confronto non solo con l’inconoscibilità
dell’universo, ma anche dell’altro e della vita stessa.
Si possono facilmente identificare delle ascendenze visive e filosofiche guardando il film di Gray: da 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, a Solaris di Tarkovskij, da L’ignoto spazio profondo di Herzog al più recente High Life di Claire Denis, ma non si può ridurre l’opera a summa di citazioni, spolvero di linguaggi o variazione di repertori codificati. Ad Astra possiede infatti una commovente bellezza originale: Gray non teme di contaminare i generi, sovrapporre influenze (non solo cinematografiche, ma anche rubate alle altre arti), creare un immaginario in cui passato e presente scolorino l’uno nell’altro. E’ un regista audace, teso alla trasfigurazione delle sue memorie di cinema in una visione complessa e nuova.
Si possono facilmente identificare delle ascendenze visive e filosofiche guardando il film di Gray: da 2001 Odissea nello spazio di Kubrick, a Solaris di Tarkovskij, da L’ignoto spazio profondo di Herzog al più recente High Life di Claire Denis, ma non si può ridurre l’opera a summa di citazioni, spolvero di linguaggi o variazione di repertori codificati. Ad Astra possiede infatti una commovente bellezza originale: Gray non teme di contaminare i generi, sovrapporre influenze (non solo cinematografiche, ma anche rubate alle altre arti), creare un immaginario in cui passato e presente scolorino l’uno nell’altro. E’ un regista audace, teso alla trasfigurazione delle sue memorie di cinema in una visione complessa e nuova.
Ad Astra è il film di un
autore del ‘900, figlio del “flusso di coscienza” narrativo (tradotto in
immagine da un Pitt significativamente in primo piano, in balia di una
soggettività che si esprime in voce off); ma è anche l’opera di un
regista che guarda a un oltre, un futuro, e osserva la soggettività
del suo protagonista – totalmente immerso nel suo sguardo interiore –
mettendola a confronto con un occhio più “ampio”. McBride, ripreso in campi
lunghi o panoramiche, è alla ricerca di un’identità, di un passato in cui
ritrovare il senso del presente. Egli appartiene allo spazio, di cui non è mai
corpo estraneo: nel buio, tra le stelle, “viaggia”, attraversa budelli e
cunicoli in una nascita ripetuta, in una incessante venuta al mondo. È il
movimento di un eroe (stanco, provato), nella riproposizione un Mito perenne.
Ed è questa la bellezza del film di
Gray: il suo classicismo dichiarato, ma pervaso da uno sfrenato desiderio di
creazione…
…Nel finale di Ad Astra Roy McBride, che tanto seguiva le orme del padre, si riappropria della sua vita, delle sue emozioni e abbatte il muro che lo separava dagli affetti verso la sua famiglia. La sua epifania ricorda anche a noi spettatori come non serve perdersi nello spazio se ci dimentichiamo il significato della parola "casa". La lezione del finale del film è uno squisito messaggio umanitario: prendiamoci cura l'uno dell'altro. Solo allora, anche guardando intorno a noi, riusciremo a vedere lo stesso le stelle. L'amor che move il sole e l'altre stelle.
…James Gray, ispirandosi liberamente al breve romanzo di James Conrad, intitolato “Cuore di Tenebra”, ed accostando in parte la sua opera fantascientifica a quella di Stanley Kubrick, usa lo Spazio Profondo come una metafora, anche se in realtà ad essere esplorato intimamente è il nostro microcosmo. Il regista usa abilmente McBride per approfondire e descrivere la solitudine dell’uomo, le sue paure, la consapevolezza dei propri limiti, ma anche il suo distacco emotivo.
Il futuro qui descritto è eccitante e terrificante. La grandiosità e l'infinita bellezza dello spazio non sfuggono però ai pericoli intrinseci e ai nostri mali endemici. L’uomo, nella conquista del nostro Sistema Solare, potrà ripetere gli errori del passato. Una visione piuttosto deprimente, ma che potrebbe essere aderente ad un nostro probabile destino.
Da sottolineare la notevole performance di Brad Pitt nell’interpretare Roy, un personaggio che possiamo considerare lontano dai ruoli in cui l’attore si muove abitualmente.
In conclusione Ad Astra non è il solito blockbuster fantascientifico, ma è un film il cui andamento riflessivo ed il suo scorrere lento potrebbero annoiare un pubblico che ama un genere più ricco di azione e più veloce.
…come sempre in Gray l’immaginario è solo il punto di partenza per andare oltre e affondare nel “suo” cinema. E così se il padre ha avuto l’ardire e il coraggio di scoprire i mondi e fotografarli, spetta ai figli scalfirne le superfici, andare in profondità alla ricerca della luce e del buio. Il “suo” cinema è tutto lì, tra la tradizione e la confessione dolente che trasforma la materia in una forma moderna.
Ad Astra è magnificamente sospeso tra movimento e staticità. Tra lo spirito d’avventura e l’inesorabile circolarità delle nostre ossessioni. È l’ossessione che ci fa viaggiare e non viceversa. Come nella magnifica scena conclusiva di Civiltà Perduta, del quale è una sorta di continuazione fantascientifica, in cui la moglie dell’esploratore finiva immersa nella giungla, pur rimanendo a casa, Brad Pitt fluttua nello spazio profondo, parlando a se stesso e restando, in qualche modo, “immobile”. E la voce fuori campo, per la prima volta usata in modo insistente da James Gray, serve proprio a creare un doppio binario di percezione e sensazione. Se il corpo di Roy attraversa la galassia lungo le diverse tappe del viaggio (la Luna, Marte, Nettuno), la sua voce resta sempre lì, in un flusso perpetuo e circolare che analizza l’interiorità di un viaggio che forse il protagonista compie solo nella sua mente, nella sua auto-analisi.
Perché a fronte dei 50 milioni di budget, il più alto a oggi per l’autore di Little Odessa, Ad Astra è forse la più sincera, costosa e visionaria seduta psicanalitica mai realizzata a Hollywood. Un lunghissimo monologo interiore. Quasi una preghiera liberatoria. Forse il film della svolta per James Gray. Quello in cui è finalmente possibile provare a fare a meno dei padri, abbandonarli alle proprie spalle per ricominciare da capo. Rinunciare alla solitudine del viaggio e ritornare a casa. Bandire l’utopia. Accettare la comunicazione del sentimento. Ripartire dall’essenziale. Un film stratosferico nella sua umiltà.
L'ultimo film di James Gray, il talentuoso regista americano che è senza dubbio tra i migliori eredi della tradizione degli Scorsese e dei Coppola, sposa infatti solo fino ad un certo punto l'architettura esteriore, quella che piacerà comunque ai patiti della " science fiction ", nonchè i moduli espressivi ed i contenuti tipici dei film sull'esplorazione dello spazio. Ma al debole o scontato significato della maggior parte di questi ultimi riesce a sottrarsi con intelligenza. Il fulcro del film non è tanto la conquista dello spazio in sé quanto l'eco, la risonanza nei comportamenti e nelle coscienze degli esseri umani che questa vivono da protagonisti e che sono stati avviati verso di essa da un mondo in cui la scienza e soprattutto la tecnologia sono gli incontrastati padroni. Eco indiretto,risonanza psicologica, scavo delle coscienze, che già sullo schermo, parecchi anni addietro si insinuarono in un genere popolare ed amato come il " western " trasformandolo da mero catalogo di lotte e di avventure in un cinema " maggiorenne ", cioè capace di riflettere su di sé e quindi libero di atteggiarsi secondo l'estro creativo e la sensibilità dei suoi autori . Mi sembra , in quest'ordine di idee, di poter dire che " Ad Astra", ricollegandosi nell'ispirazione e nell'esito ad un altro grande film di fantascienza di alcuni anni fa, Zardoz" di John Boorman, si avvicini per intensità di analisi non disgiunta da grande splendore formale a quelle opere che, rompendo l'involucro( la categoria, il genere) nelle quali rischiavano di venire incapsulate, sono riuscite a conquistare pienamente la loro autonomia artistica…
…Gli adepti del genere fantascienza possono comunque stare tranquilli. Avranno tutti i motivi ed i passaggi narrativi classici che questo genere di film porta con sé : mistero, emozione, eroismo sapientemente dosati per consentire anche una lettura immediata e più semplice di una vicenda che , come ho cercato di dimostrare, si presta ad altra e più convincente decifrazione. Di Gray regista, creatore di forme cinematografiche piene, splendide nella loro bellezza, in questo film ce n'è quanto se ne vuole, a conferma della circostanza che, al cinema, quando si hanno le idee chiare è infinitamente più facile calarle in uno stampo esteriore di piena soddisfazione e chiarezza per lo spettatore. Una parola sull'interpretazione. Brad Pitt( che ha coprodotto il film ) è praticamente in scena dalla prima all'ultima sequenza. Simpatico, con un bel sorriso costantemente accennato ma pronto a trasformarsi in una smorfia di dolore, combatte vittoriosamente con un personaggio non facile, pugnace e al tempo stesso combattuto al suo interno, e ne rende convincentemente speranze e timori.
La fascia degli anelli di
Nettuno non è il luogo più ospitale del Sistema Solare. Ci fa un freddo della
malora, e i graziosi cerchietti che circondano il pianeta blu sono fatti di
sassolini che ruotano a velocità sostenuta, quindi nel caso ti becchino fanno un
male cane. Dovendo passare fra uno e l’altro, nuotando come in piscina per
centinaia di miglia, e raggiungere l’astronave madre che ci riporterà sulla
Terra, voi e io non sapremmo da che parte cominciare. Ma voi e io non siamo il
maggiore McBride, cioè Brad Pitt, cioè un asso dell’astronautica. Infatti
McBride si avvicina al veicolo che sta abbandonando, individua un pannello e
armeggia per divellerlo. Quindi, mentre voi e io ci chiediamo, non starà
facendo quello, vero? – lui lo fa: strappa il rettangolo di
lamiera, lo impugna come uno scudo acheo, e intraprende la traversata…
…Ad Astra è anche il
tipo di film che farà gridare al capolavoro a una certa fetta di pubblico e
critica per il semplice fatto che “sembrava la solita roba con la fine del
mondo invece ti scava dentro!”, in sostanza che viene promosso
aprioristicamente per le sue intenzioni – c’è un Autore che sa fare il Grande
Cinema e che qui vuole trascendere i limiti del genere per provare a parlare
della condizione umana, quindi ovviamente sarà
bellissimo. Ecco io mi rivolgo soprattutto a voi, con una preghiera: non fatevi
ingannare dal gioco di specchi; non fermatevi al fatto che Brad Pitt
filosofeggia tutto esistenzialista, chiedetevi piuttosto “sta davvero dicendo
cose interessanti?” (spoiler: no) e anche “c’era bisogno che me le spiegasse a parole
rendendo così superflui gli sforzi di Gray di comunicare la stessa cosa tramite
immagini?”. Che è anche un po’ l’unico motivo per cui non me la sento di
avercela con lui, voglio dire: Ad Astra è un
film schizofrenico e costantemente in corsa contro se stesso, ridondante nel
suo continuo spiegarsi e giustificarsi, ed è difficile accettare questa
faciloneria da uno come Gray. Qualcuno più complottista di me potrebbe parlare
di sceneggiatura ritoccata e adeguata alle esigenze di un pubblico poco avvezzo
al racconto per immagini, ma io ovviamente mi dissocio da queste posizioni.
Registro solo che siamo di fronte a un film timido e insicuro come il suo
protagonista, poco convinto delle sue stesse rivelazioni esistenziali.
(registro anche che a un certo punto c’è
una scimmia assassina e se anche lì c’era un qualche simbolo da cogliere giuro
che mi è sfuggito)
È uno spreco, Ad Astra, ecco cos’è. Uno spreco di talento e uno
spreco di tempo perché, fatemelo dire per una volta a chiare lettere poi giuro
che non lo faccio più, il suo problema non è nella scelta autoriale di
trasformare una potenziale avventurona apocalittica in un viaggio interiore e
sussurrato nei meandri dell’animo umano. Cioè OK se io fossi James Gray avrei
fatto tutt’altro, ma Ad Astra è il
suo film, non il mio. Il problema è che questo viaggio ha la profondità di un
romanzo di Andrea De Carlo e che il viaggiatore ha confuso “sussurro” con
“borbottio costante tipo pentola di fagioli”. E purtroppo quando l’unica cosa
che vorresti dire al protagonista assoluto di un film se te lo trovassi davanti
è HO CAPITO ORA TACI risulta difficile farsi coinvolgere nei suoi turbamenti
peraltro identici a migliaia di altri turbamenti e non particolarmente
interessanti.
…Ad Astra ha sido personalmente una de las
decepciones del año. Quizá esperaba que fuera la próxima Interstellar y le estaba
pidiendo demasiado, pero he tenido la sensación al salir del cine de que es una
de las películas espaciales más carentes de emoción que he visto nunca.
Visualmente es una maravilla, la producción es impecable y Brad Pitt está
como debería estar, pero el guion quiere ser demasiadas cosas y la música no
ayuda para nada a tocarte el corazón. Es una pena.
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