giovedì 17 ottobre 2019

Joker - Todd Phillips

musica, colori, movimento, violenza e la straordinaria interpretazione di Joker non ti fanno annoiare.
il film non fa impazzire, almeno a me non è successo, e però merita la visione, di sicuro per Joaquin Phoenix.
dentro c'è di tutto, politica, servizi sociali, solitudine, accelerazioni e citazioni.
mai prendersela con i clown, non sai cosa rischi.
al cinema rende di sicuro più che alla tv di casa, su questo saranno tutti d'accordo.
e allora, buona visione in sala - Ismaele








Ok, il film.
Meraviglioso.
Un film praticamente perfetto, in ogni singolo aspetto in cui possiamo vederlo.
Cinematograficamente uno spettacolo, dinamico, inquadrature una più bella dell'altra, fotografia eccellente, scene dirette magistralmente, anche quelle più concitate e d'azione (dai, basta quella corsa nel prologo per capire il livello).
Poi c'è lui, Phoenix, in una delle più grandi interpretazioni degli anni 2000. Lui è già grande di suo ma se poi gli affidi il ruolo della vita, quello dove poter mettere Joaquin insieme a Phoenix ,allora crei una bomba atomica praticamente devastante.
Poi c'è la componente tematica, anche questa di grandissimo spessore. Niente di nuovo (ma esistono tematiche nuove?) ma è impressionante come questo film riesca ad essere incisivo in quello che racconta.
E poi c'è la componente che forse rende Joker un vero capolavoro, quasi un aspetto "fortunato" (o forse no, forse Joker è uscito adesso apposta).
Perchè questo film, pur essendo ambientato in altra epoca, non poteva essere "più perfetto" nel 2019 rispetto a qualsiasi altra decade, qualsiasi.
Perchè è un film che racconta di un mondo al collasso, di un mondo che non ce la fa più, di una rabbia repressa che si accumula, di un pianeta di ultimi e di oppressi che è arrivato allo stremo.
Dirò di più, il personaggio di Phoenix non rappresenta solo un uomo, non rappresenta solo una categoria di uomini, nè una città, nè una nazione.
Joker sembra proprio l'intero nostro Pianeta Terra, un Pianeta martoriato, vessato, ferito, non rispettato, sfruttato e torturato dai potenti.
La ribellione di Joker è un'apocalisse privata che sembra tanto un collasso mondiale, uno tsunami, un terremoto, una bomba atomica…

Già sovrastano i titoli delle recensioni più entusiastiche: il primo cinecomic drammatico. Premettendo che probabilmente non è vero, e che già tanti altri cinecomic belli o brutti hanno preso pieghe drammatiche decisamente più interessanti e innovative, possiamo dire che Joker è un film fallimentare, residuo informe di un immaginario hollywoodiano cinematografico che ha preso ormai un’unica direzione, quella dell’enfasi gratuita e dello spiegone che chiarisca allo spettatore (preso per stupido 9 volte su 10) tutti i possibili punti oscuri. Nel caso di Joker, ciò avviene anche quando quei punti oscuri sono in realtà chiarissimi, evidenti fin dall’inizio, ma a quanto pare da privare di qualsiasi ambiguità. Non sia mai che qualcosa non sia chiaro. E quindi via di piccoli flashback riassuntivi, ridondanze narrative e filler inutili, o meglio, utili solo a farci godere un po’ Phoenix che ride, urla, sbraita, si contorce e parla da solo. Per entrare nel dettaglio, è bene chiarire che la regia di Todd Phillips non esiste. E se esiste, il montaggio non ce la fa vedere. Ogni momento potenzialmente intenso è stroncato da tagli violenti che interrompono qualsiasi suggestione, come se il film volesse mantenersi su una medietà più prudente ma comunque incisiva sulla carta. I momenti di delirio di Phoenix non sono mai delirio, sono sempre vissuti da fuori, il distacco è sufficiente affinché possiamo capirne le motivazioni pseudo-psicologiche che il film accampa con una banalità che è meglio tacere. La scrittura è invece devota alla fantapolitica più elementare e scontata, figlia delle divagazioni nolaniane della trilogia di Dark Knight, qui evidente riferimento (anche se un momento è preso paro paro dal Batman di Tim Burton, 1989, ancora capolavoro incontrastato). I plot twist, che chiaramente si riallacciano alla mitologia di Batman, sono prevedibili e privi di qualsiasi novità, se non su un piano narrativo che viene molto presto rimosso per dar spazio ad altro, a mo’ di lima, di sfrondo che semplifichi la confezione. E infine, quello stesso universo supereroistico viene arrogantemente e anche un po’ infantilmente accostato all’universo scorsesiano di uomini disperati che vivono in un mondo disperato (ma che qui ha al massimo la logica del liceo in cui ci sono i bulli che fanno del male al malcapitato ragazzo un po’ diverso; c’è giusto un po’ di sangue a sorpresa in più, e manco tanto). Forse sarà impossibile evitarlo quando uscirà, è già il film più discusso dell’anno, in corsa agli Oscar e a tutti i premi coevi. Legittimo però, visto quella sola informativa volta, ignorarlo per sempre

,,,il film è soprattutto il one man show di Joaquin Phoenix, incontenibile, versatile e strabiliante con o senza la maschera grottesca che gli incornicia il viso in un ghigno di crudele follia. L’impressione è quella di trovarsi di fronte a un campione di una compagine sportiva lasciato libero di esprimersi a suo piacere a patto che porti a casa il risultato anche per gli altri. Joaquin di certo lo fa, perché accanto a lui a fare un figurone sono il regista e gli altri attori, davvero di contorno (anche Robert De Niro) rispetto agli assoli di Phoenix.
Comunque la si pensi, siamo di fronte a un modello di recitazione degna del miglior Actor's Studio, dunque a quell’immersione totale nel personaggio che ha come contropartita gli eccessi legati al surplus di enfasi dovuto al fatto di recitare a briglie sciolte. In realtà, considerata la natura a dir poco sopra le righe del protagonista, certi surplus di ego ci possono pure stare. Certo, siamo lontani dalla rigorosa sobrietà di Jean Dujiardin (anche lui candidato a vincere un premio come migliore attore) e non c’è dubbio che quando si muove a passo di danza, oppure mentre si rivolge all’interlocutore con dei primi piani degni del Perkins di "
Psyco", la performance del nostro diventa davvero irresistibile.,,

…Capolavoro o film mediocre, critica sociale o trionfo degli istinti incel, cinecomic o no, Joker nasce con un grosso budget e forse l’idea, in sé banale e al contempo abbastanza originale, di scontentare ugualmente tutti. Joker è un blockbuster-bait, un testo esca, o meglio ancora un epitesto dei commenti-rete a strascico che, nella congiuntura storica attuale, è impossibile isolare dal corpo testuale del film. Come ha osservato ancora Lane, ogni elemento del film, dai discorsi prima del lancio alla presentazione a Venezia, sembra essere stato studiato per suscitare la polemica: ciò che a noi pare funzionale a un dibattito (incluso questo articolo), in realtà è un servizio al dipartimento di marketing della Warner Bros. 
Poco conta che il film sia ambientato in un’era pre-social media. La democratizzazione e al contempo la crisi dell’attività interpretativa e argomentativa messa in atto dai social network (anche questa rassegna di idee è viziata dalla personale filter bubble di chi scrive), e resa in essere dallo scontro sistemico e quotidiano di posizioni che si dispiegano sotto forma di commenti, articoli, litigi sulle ecologie mediali che abitiamo, fa un servizio a Joker. Vero e proprio testo-tricksterJoker è confezionato a questo scopo da professionisti che continuano a lavorare in una industria motivata da profitti: Phillips dà un colpo al cerchio e uno alla botte purché se ne parli, forse proprio come lo humour “politicamente scorretto” del resto della sua filmografia.

La discussione su Joker continuerà per anni o sarà dimenticata tra poco? La compressione spaziale e temporale del tardo capitalismo informatico in cui viviamo, la stessa che genera il film e ne anticipa e accompagna il discorso, è talmente accelerata che questa meta-recensione, scritta all’incirca una settimana dopo l’uscita del film, non solo è già incompleta e selettiva, ma anche obsoleta. La recensione non parla più del film ma del discorso sul film, aspetti che sembrano ormai inscindibili fra loro. Il fatto che sia stata una “Top Five” si deve al tentativo di arginare il pericolo che il vostro indice o pollice si possa trovare da un momento all’altro orfano di un titolo corrente, e dunque immediatamente portato ad abbandonare la lettura e rivolgersi a un altro link o a una notifica in arrivo.
In un futuro prossimo, le intelligenze (o deficienze) artificiali scriveranno sia i film che le recensioni, mentre forse gli umanisti saranno fuori, a sparare come il Joker.

…La brutta giornata di Arthur Fleck è figlia di due punti di rottura, che riescono a tranciare quel sottile filo di sanità mentale che ancora esisteva (resisteva?) nel protagonista. La prima crisi è rappresentata efficacemente dall’acquisizione di una pistola. Metaforicamente, quest’ultima dona al vessato di turno una roccaforte in cui rifugiarsi, un bastione in cui difendersi. La pistola fa assaporare un illusorio potere, che paradossalmente, però, non dona al portatore una vera sicurezza ma un’ulteriore vulnerabilità. La follia parte da una pallottola sparata per legittima difesa condannando Arthur a una strada da cui non c’è via d’uscita. Quest’ultime – le vie d’uscita – sono agognate da tutti ma ancor di più dai disperati, che ne anelano l’esistenza, ne anticipano l’arrivo, spesso, svelandone la loro natura “facile”, “comoda”.
La via più semplice è spesso una trappola da cui non si può fuggire e Arthur ne farà le spese. Ma certamente non è solo colpa di chi riceve e acquisisce ma anche di chi dà, e qui troviamo la prima critica importante al sistema statunitense, che spesso regala facili vie di fughe a buon prezzo attraverso il folle e permissivo mercato delle armi. Arthur è un uomo che ha bisogno d’aiuto, è esposto al pericolo di essere schiacciato e la risposta della “società” è di “regalargli” una pistola. La fiamma è vicino alla miccia, che si accende e consuma senza soluzione di continuità. Unica speranza rimasta al futuro Joker è l’assistenza sanitaria che gli permette di poter parlare con specialisti e di accedere a medicinali altrimenti inaccessibili a un modesto cittadino come lui. L’aiuto sanitario statale è la classica “via più difficile”, quella in cui sia chi dà che chi riceve deve mettere tutto se stesso per poter assaporarne i risultati. Tale metodo è un patto tra le due parti, un impegno umano, sociale e morale che vincola e rassicura. Purtroppo, e qui siamo nell’ambito della seconda critica che l’opera apporta al sistema americano, il servizio statale chiude i battenti per mancanza di fondi. Le parole dell’assistente sociale appaiono come una verità e una condanna allo stesso tempo: “a nessuno di loro importa nulla delle persone come te e in realtà neppure delle persone come me”.
La paralisi è totalizzante, pervasiva e lascia nelle mani del vessato poco e nulla. Ma siamo in America, quindi ad Arthur resta poco, nulla e… una pistola. Il dado è tratto, la strada verso la distruzione spianata, e la colpa è di entrambe le parti ma la bilancia delle responsabilità sembra pendere maggiormente dal lato della collettività, esempio fulgido di mala organizzazione e indifferenza verso il prossimo…

…In quanto puro spettacolo, al netto di un finale frettoloso e un po’ deludente, Joker è di prim’ordine: dalla fotografia alle scenografie, dalle scene di violenza (quella in metropolitana è già un classico) all’interpretazione di Joaquin Phoenix, su cui chiaramente lui ha lavorato con la stessa serietà che si riserva oggi alla preparazione di un biopic a caso, o comunque di un ruolo “importante”, di quelli “da Oscar”, tutto si somma alla perfezione. È exploitation di serie A. Non dice un cazzo ma lo dice benissimo.
Il guaio è che Todd Phillips qualcosa invece lo vorrebbe anche dire. Ma appena apre bocca, tutto quello che esce è di una banalità micidiale. Il suo Joker è l’ennesimo matto che sbrocca perché la madre lo trattava male e la società lo tratta male e la gente fa schifo una volta qua erano tutti campi e ci si conosceva per nome adesso invece sono tutti maleducati. Con tutte le sue buone intenzioni di creare un nuovo villain scorsesiano memorabile, il film finisce solamente per confermare ancora una volta la dura legge del prequel: che se racconti troppo di un’icona, la svilisci…

…Tutte le discussioni sul pericolo emulazione, il timore di sparatorie in sala nel paese in cui le armi automatiche le trovi in omaggio nei sacchetti di patatine, vanno necessariamente inquadrate in una premessa e una considerazione. La premessa è che qualsiasi cosa può esercitare un'influenza pericolosa su una mente squilibrata, da una certa canzone dei Beatles, metti, alla Bibbia o alle palline di mais al formaggio. E non puoi censurare per questo l'arte, per la semplice ragione che altrimenti dovresti eliminare le favole e praticamente qualsiasi altra forma di narrazione. Ma qui si è nel clubbino del videoludo, sapete bene di cosa parlo.
La considerazione, data la premessona da mani avanti qui sopra, è che un soggetto che si senta ai bordi dell'esistenza, rifiutato dal sistema, possa trovare facile in Arthur un simbolo, tanto quanto avviene nel film per chi indossa le maschere da clown. Questo perché la pellicola di Phillips ti porta ad empatizzare con il personaggio, sottolinea come ogni data azione violenta di Arthur sia rivolta a chi gli ha fatto del male, lo ha attaccato, ha provocato o accresciuto i suoi traumi psicologici. Sia meritata. Sia, almeno fino a un certo limite, giusta. Il Joker di Phillips è un Punitore triste con la risata incontrollata, un Giustiziere della Notte, e come tale viene visto nella storia dalla parte di Gotham che si sente parimenti lasciata fuori dalla società dei ricchi e dei potenti…

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