Otto volte candidato agli Oscar, Marlon Brando è passato alla storia del cinema, oltre che per
le sue capacità interpretative, anche per aver rifiutato la seconda prestigiosa
statuetta in segno di protesta contro le ingiustizie dell’industria
hollywoodiana nei confronti dei nativi americani.
Era il 27 marzo 1973 e Brando fu premiato come miglior attore
protagonista per l’interpretazione de Il Padrino di Francis Ford Coppola.
Al suo posto però, salì sul palco una giovane donna, tale Sacheen Littlefeather, dai lineamenti marcatamente
indiani e con un foglio in mano, recante le dichiarazioni dell’attore. “Marlon Brando mi ha chiesto di dirvi, in un discorso che non posso
condividere con voi adesso per mancanza di tempo ma che sarò felice di
condividere con la stampa in seguito, che molto a malincuore non intende
accettare questo premio molto generoso, e la ragione di questo è il
maltrattamento degli indiani d’America nell’industria cinematografica…
scusatemi… in televisione e anche nel caso dei recenti avvenimenti a Wounded
Knee. A questo punto vi prego di perdonare la mia intrusione e che i nostri
cuori e la nostra comprensione possano incontrarsi in futuro con amore e
generosità.”
Le reazioni degli ospiti furono contrastanti: alcuni, al termine
dell’esposizione della giovane, applaudirono in segno di approvazione;
altri criticarono aspramente l’attore, soprattutto per la decisione di lasciar
incassare il dissenso a qualcun altro. Di sicuro, un gesto simile ebbe
strascichi e conseguenze anche nel lungo periodo: Coppola fu quasi licenziato
dalla produzione perché colpevole di aver fortemente voluto Brando per il ruolo
di Don Vito Corleone. La contrarietà dell’establishment hollywoodiano tuttavia
non intaccò la fama dell’attore, che l’anno dopo venne nominato all’Oscar per
il film Ultimo tango a Parigi.
Qualche tempo dopo si scoprì che la giovane indiana era in realtà
un’attrice, Maria Cruz, un’attivista per i
diritti civili, di sangue per metà amerindo e per metà europeo. Una finzione
nel regno delle finzioni, quasi a voler usare la stessa lingua degli
interlocutori per lanciare un messaggio forte e garantirgli una risonanza
mondiale.
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