giovedì 5 settembre 2019

quando il grande Marlon Brando rifiutò l'Oscar


Otto volte candidato agli Oscar, Marlon Brando è passato alla storia del cinema, oltre che per le sue capacità interpretative, anche per aver rifiutato la seconda prestigiosa statuetta in segno di protesta contro le ingiustizie dell’industria hollywoodiana nei confronti dei nativi americani.
Era il 27 marzo 1973 e Brando fu premiato come miglior attore protagonista per l’interpretazione de Il Padrino di Francis Ford Coppola. Al suo posto però, salì sul palco una giovane donna, tale Sacheen Littlefeather, dai lineamenti marcatamente indiani e con un foglio in mano, recante le dichiarazioni dell’attore. “Marlon Brando mi ha chiesto di dirvi, in un discorso che non posso condividere con voi adesso per mancanza di tempo ma che sarò felice di condividere con la stampa in seguito, che molto a malincuore non intende accettare questo premio molto generoso, e la ragione di questo è il maltrattamento degli indiani d’America nell’industria cinematografica… scusatemi… in televisione e anche nel caso dei recenti avvenimenti a Wounded Knee. A questo punto vi prego di perdonare la mia intrusione e che i nostri cuori e la nostra comprensione possano incontrarsi in futuro con amore e generosità.”
Le reazioni degli ospiti furono contrastanti: alcuni, al termine dell’esposizione della giovane,  applaudirono in segno di approvazione; altri criticarono aspramente l’attore, soprattutto per la decisione di lasciar incassare il dissenso a qualcun altro. Di sicuro, un gesto simile ebbe strascichi e conseguenze anche nel lungo periodo: Coppola fu quasi licenziato dalla produzione perché colpevole di aver fortemente voluto Brando per il ruolo di Don Vito Corleone. La contrarietà dell’establishment hollywoodiano tuttavia non intaccò la fama dell’attore, che l’anno dopo venne nominato all’Oscar per il film Ultimo tango a Parigi.
Qualche tempo dopo si scoprì che la giovane indiana era in realtà un’attrice, Maria Cruz, un’attivista per i diritti civili, di sangue per metà amerindo e per metà europeo. Una finzione nel regno delle finzioni, quasi a voler usare la stessa lingua degli interlocutori per lanciare un messaggio forte e garantirgli una risonanza mondiale.


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