dura 140 minuti, ma non annoia mai, Ari Aster sa come si fa.
pare addirittura che ci sia una versione lunga un quarto d'ora in più, nel film in sala mancano, per paura di una qualche censura.
è una storia che può ricordare Wicker-man, di Robin Hardy, ma sareste fuori strada, o qualche film in cui gli antropologi sono dei saccheggiatori della vita e delle usanze degli altri, ma la fine sarà un po' diversa.
forse non vi ho detto niente del film, ma non serve sapere troppo in anticipo, andate al cinema e godetene tutti, non sarete delusi, ci scommetto - Ismaele
ps 1: segnatevi questo film, Glassland, un bellissimo film irlandese di Gerard Barrett, nel quale ci sono Tony Collette, protagonista di Hereditary, e Will Poulter, Jack Reynor, protagonisti di Midsommar, Ari Aster ha buoni gusti
ps 2: se si resta fino ai titoli di coda si vedranno una marea di nomi ungheresi, un'occhiata a Imdb e si scopre che il film non è girato in Svezia, ma in Ungheria.
…Il terrore di Midsommar è lento, insinuoso, mellifluo, Ari
Aster non vuole spaventarci bensì farci del male.
Non vuole tagliarci in due con un colpo deciso di accetta, ma aprire una
piccola ferita dentro di noi per poi infilarci un dito e continuare ad
allargarla con una flemma insostenibile, guardandoci negli occhi mentre
soffriamo per vedere che effetto fa.
Se uno dei meriti maggiori per un autore è la capacità di raccontare delle
storie, se davvero nel Cinema lo storytelling è ancora oggi l'aspetto
fondamentale, allora secondo me siamo davanti ad un autore eccezionale.
La storia che Aster ci racconta in Midsommar è
stratificata, densa, carica, è un albero solido con dei rami lunghi e robusti,
sui quali nascono le tante foglie che sono poi i suoi personaggi e i rapporti
che si instaurano tra di loro e con lo spettatore.
Il regista e sceneggiatore crea dal nulla una comunità intera con il
proprio alfabeto e la propria lingua, con i propri rituali, le proprie credenze
e le proprie tradizioni che solo tangenzialmente toccano la vera festa di metà
estate che avviene in Svezia e si trasforma in qualcosa di oscuro e terribile,
tutto alla luce del sole.
L'inesorabile, spietata, infinita luce del sole.
Ari Aster cesella Midsommar come farebbe un artigiano
del legno alle prese con un grande tavolo pieno di intarsi, come farebbe
un pittore emulo di Hieronymus Bosch alle prese con un affresco…
Un lutto devastante, una relazione morta che nonostante
tutto continua e una malattia mentale che aleggia nelle paure di chi ormai si
sente perso nel caos. Ancora una volta, Ari Aster parte da
questi presupposti per Midsommar – Il Villaggio dei Dannati, ma a
differenza di Hereditary – Le Radici del Male, l’oscurità
fotografica e intima della protagonista Dani (Florence Pugh) e il
piccolo mondo “stupido” del suo compagno Christian (Jack Reynor) &
co. il quale, nonostante tutto, deciderà, malvista e compatita un po’ da tutti,
di portarla con loro in Svezia, ospiti di una comune isolata che si dedica a
una festività celtica per festeggiare la mezza estate ed eleggere la loro
regina.
Un evento rituale arcano che si ripete ciclicamente e dove il giorno e la
notte si confondono. Il buio scompare e ‘inizia’ il sole, andando diretti al
punto senza perdere tempo. Coerentemente al precedente film, anche qui si
racconta di un rito. Incessante, antichissimo e inevitabile. Le
rune celtiche vanno a sostituire i sigilli demoniaci, mentre le danze fanno da
cornice festosa al posto del lugubre dolore introspettivo e familiare di Hereditary.
Tuttavia, il senso non cambia: l’inevitabile sta già accadendo e tutto
è deciso fin dalle prime inquadrature (annunciato da disegni che
continueranno ad anticipare ogni cosa nel corso dello svolgimento).
Ad Ari Aster non interessa tanto il “cosa” ma il “come” e
questo discorso in Midsommar – Il Villaggio dei Dannati si fa ancora più
estremo che nel lungometraggio del 2018. Tutto è già deciso e noi spettatori
non possiamo che assistere e soffrire, divertirci, danzare ed essere in qualche
modo partecipi. Dove nel precedente la scoperta di un “rito” in corso era il
film stesso, qui siamo gentilmente ammessi come ospiti all’intera
celebrazione…
…There’s
an electric atmosphere in the village as superbly photographed by Pawel
Pogorzelski, the music by Bobby Krli is pleasantly eerie, and the performance
by Florence Pugh is riveting. It’s a bizarre and unnerving tale (not really
scary) that smartly plays with us throughout in its nightmare sequences, its
graphic sex scenes, its creepy wall paintings, its “breathing” trees scene, and
its vibrant calls for old-styled vengeance. All this weird activity makes for a
visually hypnotic watch, but one not suited for all
tastes.
…la violenza non arriverà mai
nelle modalità attese, e anzi alle sue prime manifestazioni, gli studenti
statunitensi la cui educazione umanistica e politicamente corretta non permette
in nessun modo di dare un’interpretazione disdicevole, la accetteranno, certo
turbati, ma chi sono loro per giudicare la tradizione pagana di un villaggio ai
confini dell’Europa? Questa incapacità di prendere una posizione mascherata da
buon senso è il carburante della storia, perché, come sempre, ai protagonisti
gli elementi per sfuggire a quello che sembra inevitabile sono stati forniti
fin dal loro arrivo. Sarebbe bastato che questi americani di città avessero
abbandonato per un attimo la modalità-meraviglia da storia Instagram (Wow, un
villaggio immerso nel verde! Wow, delle ragazze biondissime con una corona di
fiori in testa!) e avessero guardato con più attenzione, tanto più che sono
degli antropologi. Ma Aster è impietoso con loro, e non li salva da questa
connotazione rozza, pur riprendendoli magnificamente, con immagini che
riempiono gli occhi, con una luce perenne e artefatta (il lavoro del direttore
della fotografia Chung-Hoon Chung è fantastico) e con una cura
dell’inquadratura da Refn o Lanthimos, e cioè da grande autore.
E proprio questa è la sua pasta, quella di chi fa un film che per smania di
categorizzazione viene definito un horror ma horror non è, che parla di una
certa ottusità statunitense attraverso un gruppo di giovani dalla presupposta
mentalità apertissima, che persegue la bizzarria senza strizzare l’occhio a
nessuno e che non teme di avere degli idioti come protagonisti di un suo film.
Un grande autore.
…Aster si diverte ad alterare la percezione
della realtà, soggetta all’umore della protagonista: le apparizioni repentine
di un passato violento sono gli spettri inconsci che avvelenano la psiche
di Dani,
frutto di un trauma non ancora elaborato e forse impossibile da superare
appieno. È proprio la purezza del suo dolore a renderla diversa dagli altri
turisti, emblemi dell’americano medio che guarda al folclore straniero con
indulgenza e paternalismo. Privata degli affetti, Dani ha
bisogno di una famiglia alternativa che la accolga e si prenda carico della sua
sofferenza, spartendola equamente come se fosse una propria responsabilità. Non
a caso, la società di Midsommar poggia su due idee basilari: ciclicità e comunione. Da un
lato c’è la visione circolare dell’esistenza, dove ogni ciclo vitale è in
armonia con la natura, che pretende un tributo in cambio delle sue offerte; e
dall’altro c’è la spartizione dei beni, dei sentimenti e degli stati
emozionali, che diventano condivisi. Ogni passaggio cruciale per l’equilibrio
del villaggio – come il concepimento di un figlio – diviene un rito di
compartecipazione, in cui tutti sono chiamati a imitare l’impegno, la fatica e
le reazioni di chi lo vive in prima persona. Analogamente, Dani può
alleggerire il peso del suo enorme dolore, che viene distribuito fra le donne
del posto in un liberatorio pianto collettivo.
…Midsommar cerca di cambiare tutte le carte dell’horror, cerca di fare qualcosa
di molto diverso partendo però dalla stessa tensione che di solito nelle storie
dell’orrore porta alla paura. Il film alla paura non ci arriverà
mai, volutamente, preferisce mettere quella sensazione ad un altro uso che tuttavia
non è ugualmente soddisfacente. È molto molto difficile dire che un film
realizzato bene come Midsommar sia un fallimento, che
un film così perfetto nel mettere in pratica le sue intenzioni, così preciso
nel ritrarre i suoi personaggi e così meticoloso nella
realizzazione sia una delusione, ma è evidente che alla fine si rimane con
l’amaro in bocca per tutto quel che poteva essere e non è stato.
Ari Aster ha la caratura del grande regista, sa bene come manipolare le scene o
gli attori per fare in modo che anche minuscole azioni o piccoli eventi che si
manifestano in secondo piano catturino l’attenzione dello spettatore e lavorino
dentro di lui scatenandogli un dubbio improvviso…
Ari Aster va fortissimo in teoria. Vuole ambientare il film
in una soleggiata estate? E allora lo inizia nella neve. Ma poi anche già
questa cosa: un horror interamente ambientato nella soleggiata estate. Tiè!
Contrasto! (non è ovviamente il primo ad aver avuto questa intuizione geniale
ma non importa)
Ad Ari piacciono gli horror in cui ti importa qualcosa dei
personaggi prima che si scateni l’orrore, e allora ci spende un’ampia mezzora
sulla premessa, prima che tutti partano in gita per la Svezia a visitare un
simpatico villaggio pagano e che ci sia quindi una specie di ulteriore “primo
atto” in cui gli abitanti del villaggio pagano sembrano effettivamente
simpatici…
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