Alain Delon è ancora il protagonista, questa volta un poliziotto con le sue regole e le sue intuizioni.
tutti sono bravissimi, merito del direttore d'orchestra Melville, che sa come si fa.
due rapine come poche, in un film solo, come privarsene?
buona visione - Ismaele
QUI il film completo, in
italiano
…In un’eventuale classifica
dei film più sottovalutati della Storia del Cinema, “Un flic” dovrebbe occupare
uno dei primi dieci posti. A spingerlo così in alto sono i giudizi di coloro
che tendono a sminuirne il valore, come Paolo Mereghetti e Morando Morandini.
Per il primo “è evidente la stanchezza dell’autore”, mentre per il secondo
“narra una storia poco avvincente, si aggrappa a temi e a personaggi risaputi,
espone situazioni senza nerbo”.
Con tutto il rispetto per
Mereghetti e Morandini, non siamo d’accordo con i loro pareri, perché riteniamo
che questo film abbia poco da invidiare ai titoli più celebrati del maestro
francese.
Basterebbero le magnifiche
sequenze della rapina in banca (con le immagini dell’arrivo dei ladri che
scorrono alternate ai titoli di testa; ottimo il montaggio di Patricia Nény) e
del furto della droga sul treno in movimento (in questa scena, però, si vede
chiaramente che sono stati usati dei modellini per le riprese in campo lungo)
per considerare “Un flic” un film eccellente.
I suoi meriti, comunque, non
si esauriscono nelle straordinarie scene appena citate; anche il resto della
pellicola, infatti, vola alto.
Coleman (un bravissimo Alain
Delon, alla sua terza collaborazione con Melville) è un poliziotto manesco e
violento che svolge il suo incarico di tutore della legge con la stessa
meccanicità di un operaio addetto alla catena di montaggio.
Basta guardarlo in faccia,
Coleman, per rendersi conto di quanto sia annoiato dalla routine quotidiana del
suo lavoro. Capiamo che egli è stanco e nauseato sin dall’inizio, quando si
presenta così allo spettatore: “Ogni pomeriggio, alla stessa ora, cominciava il
mio giro dalla discesa degli Champs Elysées. Il mio compito quotidiano iniziava
al calar della sera, ma era molto più tardi, quando la città dormiva, che
potevo veramente effettuarlo”.
Con quell’aria perennemente
assente, più che a un funzionario della polizia, Coleman assomiglia a un morto
vivente che di notte gira per le strade di Parigi dando la caccia ai criminali
come un vampiro che va in cerca di vittime a cui succhiare il sangue necessario
al suo nutrimento.
Neanche la relazione con Cathy
(una Catherine Deneuve bella da levare il fiato) riesce a svegliarlo dal
profondo sonno esistenziale in cui è sprofondato. Coleman ha imboccato una
pericolosa spirale negativa che lo sta portando sempre più a fondo. La sua
strada, ormai, è senza ritorno.
Melville, come sempre, lavora
di sottrazione: i dialoghi sono ridotti all’osso (perché è vero, come sosteneva
Nanni Moretti in “Palombella rossa”, che “le parole sono importanti”, ma qui
non conta quello che si dice, conta quello che si fa) e l’azione concentrata in
poche ed essenziali scene.
Ne esce un poliziesco
esemplare, ambientato in una Parigi vuota e spenta (fotografata con maestria da
Walter Wottitz) che fa da specchio alla vita del protagonista, che rifiuta ogni
forma di spettacolarità, come dimostra lo splendido finale, girato con
un’asciuttezza encomiabile, dove la resa dei conti tra Coleman e Simon (un
convincente Richard Crenna, dieci anni prima di interpretare il ruolo del
colonnello Samuel Trautman in “Rambo” di Ted Kotcheff) viene liquidata
velocemente, con il primo che uccide il secondo con “un colpo solo” davanti
agli occhi di Cathy.
Indimenticabile lo sguardo
silenzioso che Alain Delon e Catherine Deneuve si scambiano alla fine. La dolente
colonna sonora porta la firma di Michel Colombier. Amaro, disilluso, cinico,
malinconico: Melville, al passo d’addio, strappa ancora applausi.
Jean Pierre Melville è stato uno dei pochi
europei a recepire gli stilemi del miglior cinema americano di genere, ma i
suoi film non si identificano né nella tradizione né nell'innovazione del suo
tempo. Come Bresson, Melville sembra impegnato in una sorta di ricerca di
cinema puro, nella sua forma più intransigente.
Volutamente sottotono e di grande rigore dal punto di vista formale Notte sulla città inciampa nei virtuosismi della messa in scena e in sequenze di sterile e stucchevole accuratezza, finendo per risultare poco avvincente e il genere stesso appare immobilizzato nelle sue forme e declinazioni. È un film prigioniero del crepuscolo, desolato, disincantato, pervaso da un' irreversibile malinconia. Melville si beffa delle verosimiglianze. L'incantesimo si rompe e l'attenzione al dettaglio lascia spazio alla mancanza di credibilità…
Volutamente sottotono e di grande rigore dal punto di vista formale Notte sulla città inciampa nei virtuosismi della messa in scena e in sequenze di sterile e stucchevole accuratezza, finendo per risultare poco avvincente e il genere stesso appare immobilizzato nelle sue forme e declinazioni. È un film prigioniero del crepuscolo, desolato, disincantato, pervaso da un' irreversibile malinconia. Melville si beffa delle verosimiglianze. L'incantesimo si rompe e l'attenzione al dettaglio lascia spazio alla mancanza di credibilità…
… Come sempre in Melville, alla perfezione
narrativa corrisponde una perfezione formale: pensiamo ad alcune inquadrature
particolarmente ricercate (come il bacio fra Delon e la Deneuve ripresa dallo
specchio sul soffitto, i primi piani raffinati, i campi lunghi sulla città),
oppure al certosino montaggio di Patricia Nény – che si rivela decisivo
nell’alternanza fra le situazioni e nella costruzione della suspense durante le
due rapine. La fotografia di Walter Wottiz predilige i toni cupi, in sintonia
col clima crepuscolare del film: il nero della notte (in contrasto con le luci
dei locali notturni), il bluette e il grigio sempre presenti anche nelle scene
diurne…
da qui
da qui
L’ultimo film di Melville
– rivisto a sette anni di distanza – contiene due delle più belle rapine della
storia del cinema.
La
prima si svolge in un giorno di bufera a Saint-Jean-de-Monts, località balneare
della Vandea a quasi 500 km da Parigi. Viene presa di mira una banca. La
seconda rapina avviene di notte sul treno Parigi-Lisbona, poco dopo Bordeaux,
ed è orchestrata da un elicottero.
In
entrambi i casi, il paesaggio gioca un ruolo determinante. Sono due pezzi di
bravura pressoché in tempo reale, quasi senza parole. Al confine della noia
programmata, la scena della meticolosa svestizione nella toilette dell’autore
della rapina al treno, che avrà una replica appena più veloce al momento in cui
dovrà tornare agli stessi abiti...
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