il film è pieno di citazioni, di suggestioni, in un bel bianco e nero, e però ha anche un'anima.
la storia è ambientata in un postaccio, non a caso si chiama Bad City, il posto perfetto per non viverci.
la storia è semplice e moderna e antica insieme, una giovane vampira si vendica di chi si comporta male, è il grado zero di un supereroe.
gran film (e grande gatto, di nome Masuka).
buona visione - Ismaele
La Amirpour, tecnicamente preparatissima e con una
propensione per l’insolito, ci consegna immagini di forte fascino onirico,
metacinematografiche, in cui si mescolano il noir più cupo dei B-movies, i
giovani ribelli degli anni ’50 (con Arash Marandi novello
James Dean), squarci di nouvelle vague (le magliette a righe alla Jean Seberg)
e i personaggi silenti e complici di Stranger Than Paradise. Difficile
ignorare queste influenze, ma nonostante l’ingombro citazionistico A
Girl Walks Home Alone at Night è un’opera originale, fatta di
déjà vu evocativi, costruzione polisemica dell’inquadratura, primi piani
cristallini, un senso vertiginoso degli spazi. Cinema “finto povero”, in realtà
iperprodotto (Elijah Wood è alle spalle del progetto,
girato interamente in USA), e rivelazione di una regista promettente, dotata di
un’autentica voce personale.
«Non vivo nel rimpianto del passato. Il passato non
esiste per me. Consumo tutta la mia nostalgia per il presente e per il futuro», scrive la Amirpour su Twitter, consegnandoci quella che
potrebbe essere la chiave per accedere al suo cinema: un cinema che porta
evidenti su di sé le tracce di ciò che è stato, in forma di immagini-simbolo,
archetipi fissati nell’inconscio che riemergono talora incrociati, talora
giustapposti; un affioramento dell’immaginario che però diventa un oggetto del
tutto contemporaneo. A Girl Walks Home Alone at Night è
cinema proiettato in avanti e non all’indietro: incorpora e supera le sue origini
in un divenire. La Armirpur non è una vittima del passato, ma una regista del
futuro osservato con cuore malinconico: la sua attitudine metafisica, tra
Borges e De Chirico, informa ogni immagine e la solleva da sterili ripiegamenti
nostalgici.
…Girato
in un bianco e nero anamorfico a Taft (California), trasfigurata in un luogo
deserto e polveroso, tenuto in vita dai pozzi petroliferi e con i cadaveri
ammassati ai bordi delle strade, l'horror-western vampiresco della Amirpour
gioca con i cliché della "città maledetta", dove si aggirano anime
dannate dal cuore nero. Come Hossein "The Junkie", padre tossico di Arash,
Atti la prostituta (Mozhan Marno) e Saeed "The Pimp" (Dominic Rains),
spacciatore feroce e iper-tatuato. Ma non mancano momenti sdrammatizzanti, come
la scena in cui la vampira hipster balla da sola nella sua cameretta, prima di
truccarsi, infilarsi il velo e andare a caccia.
"È come se Sergio Leone, David Lynch, fondassero una band iraniana di bambini che suonano rock e Nosferatu fosse chiamato a fargli da babysitter", sottolinea la regista nelle sue note. E l'obiettivo è centrato, grazie soprattutto alla potenza visiva ipnotica delle immagini, alla buona resa dei protagonisti e a una colonna sonora sorprendente, che mescola techno, rock iraniano e atmosfere morriconiane (Federale, Radio Tehran, Bei Ru, Farah, White Lies, Kiosk, Free Electric Band, Dariush)…
"È come se Sergio Leone, David Lynch, fondassero una band iraniana di bambini che suonano rock e Nosferatu fosse chiamato a fargli da babysitter", sottolinea la regista nelle sue note. E l'obiettivo è centrato, grazie soprattutto alla potenza visiva ipnotica delle immagini, alla buona resa dei protagonisti e a una colonna sonora sorprendente, che mescola techno, rock iraniano e atmosfere morriconiane (Federale, Radio Tehran, Bei Ru, Farah, White Lies, Kiosk, Free Electric Band, Dariush)…
…Ogni gesto è coreografato in maniera quasi
esasperata, ogni frame vuol lasciare di stucco con ralenty a profusione; le
scene più significative, come quelle che scandiscono gli incontri del
ragazzo e della ragazza, sono splendidamente realizzate ma non si può mantenere
lo stesso ritmo per tutto il minutaggio: pena un controeffetto soporifero e un
senso avvertibile di ostentato auto-compiacimento. Viceversa, il film funziona
bene quando si prende meno sul serio, quando cioè non si arena sulla
costruzione a tutti i costi di scene cool ma si
prende in giro con umorismo nero. Va dato credito al film che ad
arricchire una storia di per sè pretestuosa (la vendicatrice femminista in
Iran) c’è una serie di dettagli piuttosto interessanti, come quello del
gatto presente nelle scene principali, che, come il film ha una visione
monocromatica (bianco/nero buono/cattivo) e come la protagonista una natura di
predatore; non è forse una caso che il gatto sia spesso oggetto di fulminei
primi piani e che venga posizionato addirittura al centro dell’inquadratura
nella scena conclusiva del film.
In
conclusione, questa nuova regista ha certamente talento e un senso estetico
finissimo anche se troppo derivativo: speriamo che superi presto
l’onanismo citazionista per creare qualcosa di veramente personale e originale.
…
Nello sguardo di Amirpour, gli interni delle abitazioni coincidono con la
frontalità di una parete: sui cui si adagia Hossein Il Tossico; in
cui sono affissi i poster dei miti che La Ragazza ammira;
contro cui si staglia la silhouette di Atti La Puttanatriste, che
balla per compiacere l’altro, succube innanzitutto di se stessa.
Inoltre, tagli di luce che illuminano parte di un volto come a volerne
preservare almeno una traccia, prima che la figura reimmerga nel proprio oblio
esistenziale. Nell’elegante composizione fotografica di Lyle Vincent troviamo
la medesima frontalità anche nella lavorazione degli esterni, restituiti con
inquadrature che limitano la profondità di campo. Ampio è l’uso del
grandangolo, ma a prevalere è la figura isolata sullo sfondo scuro, sfuocato, a
sottolineare la disconnessione, la distanza dalla fonte, l’indeterminatezza
scenica.
Con lo stesso principio: le luci dei lampioni in strada hanno contorni
imprecisati. Punti luce vacillanti, smagliati, rovesciati in uno spazio che
prescrive una sospensione, impone un ellissi. I punti luce diventano fantasmi
astratti in mezzo ad altri fantasmi: i personaggi della storia. Come il
travestito Rockabilly, figura ricorrente, nonché protagonista della
scena più ispirata, surreale e politica del film.
Raccontando una storia semplice, solitaria e struggente, A girl
walks home alone at night custodisce un messaggio silenzioso ma
assordante, e usa i generi piegandoli a detonatori di significato e di simboli.
Infine un gatto, Masuka. (Vi verrà voglia di andare a cercare le generalità
di Masuka su internet, una volta visto il
film.) Il Gatto, personaggio al pari degli umani, passerà di mano
in mano, di casa in casa. Sentinella della visione, afflato spirituale a cui
tutti a Bad City, senza saperlo, aspirano. Potrebbe indicare una nuova via da
percorrere; potrebbe essere l’ultimo testimone di una città fantasma che ha
perso la dignità, la felicità e il ricordo, ma li ritrova tutti con il Cinema.
Bellissimo film ^_^
RispondiEliminaho trovato il suo successivo film, speriamo sia di gran livello...
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