il film non è male, ma solo se sarà servito a farvi leggere il romanzo, Baffi è il titolo.
i due protagonisti sono bravissimi, Vincent Lindon di più.
allora, l'accordo è questo: guardate il film, ma subito dopo passate al libro.
e poi mi direte - Ismaele
…
Il film s’inscrive nel filone, ormai caro al giovane cinema francese, del reale
attraversato dalla fantascienza, in cui i caratteri della vita quotidiana si
mescolano ad elementi soprannaturali percepiti, però, come naturali. Un uomo si
taglia i baffi che ha da una vita, ma nessuno sembra accorgersene. Se fossimo
in un film dei fratelli Wachowski ci ritroveremo a pensare a realtà parallele e
a mondi manipolati. Ma siamo in un film francese del 2006 e l’oggetto
d’interesse rimane l’uomo e, qui, il suo rapporto con l’altro: la coppia. La
moustache procede, quasi antropologicamente, ad insinuare i dubbi più
tormentosi nella mente di Marc che resta l’unico e indiscutibile personaggio
preso in esame. Tutto il film si svolge dal suo punto di vista: i gesti, le
parole, le situazioni e gli sguardi ci fanno comprendere, o tentano di
riuscirvi, cosa stia passando nella testa di Marc. “Abbiamo adottato una regola
semplice” dice il regista “non vedere nulla di ciò che lui non vede, non
ascoltare nulla di ciò che non sente”.
E, forse, in questo sottintendere i labirinti mentali di Marc, il film manca di chiarezza. Se nel romanzo di Carrère il lettore è guidato a condurre un percorso parallelo a quello del protagonista, crogiolandosi nei suoi stessi dubbi, accusando le stesse persone, esaltandosi per ogni nuova sua supposizione (e questa era la forza del testo), nel film lo spettatore assiste ad una sequenza di capitoli auto-conclusi in cui i personaggi mancano dello spessore psicologico di cui questo lungometraggio si vorrebbe, invece, far portavoce.
E, forse, in questo sottintendere i labirinti mentali di Marc, il film manca di chiarezza. Se nel romanzo di Carrère il lettore è guidato a condurre un percorso parallelo a quello del protagonista, crogiolandosi nei suoi stessi dubbi, accusando le stesse persone, esaltandosi per ogni nuova sua supposizione (e questa era la forza del testo), nel film lo spettatore assiste ad una sequenza di capitoli auto-conclusi in cui i personaggi mancano dello spessore psicologico di cui questo lungometraggio si vorrebbe, invece, far portavoce.
… Il primo film del regista francese mira
molto in alto, aspira a uno stile irreale, quasi Pirandelliano, e lo fa in modo
non troppo singolare. I movimenti di macchina lineari
non sono altrettanto chiarificatori dei contenuti che la vicenda racconta e
non fanno altro che mostrare alcune incrinature nella sceneggiatura, tanto
attraente ed eccitante all’inizio quanto a rischio “masturbatorio” da metà in
poi.
E’ vero che veniamo trainati dall’atmosfera misteriosa voluta da Carrère, che siamo disorientati al pari di Marc e in soggezione grazie anche alle musiche azzeccate di Philip Glass ma il risultato è troppo oscillante tra realtà e immaginazione; si sarebbe potuto scrivere e rappresentare di tutto e questo, a mio giudizio, è un limite non trascurabile. Nessun azzardo nel compararlo a “Mulholland Drive”, per esempio.
Quella di Carrère rimane un’idea di cinema che va premiata per i suoi toni volutamente sfumati e per il suo incoraggiarci a ragionare su un qualche cosa di vago e indefinito ma il tutto è estremamente incorporeo, filosofico e si perde l’interesse nel cercare di renderlo in qualche modo decifrabile.
Di indubitabile certezza rimane l’eccellente interpretazione di Vincent Lindon, il cui volto “normale” e allo stesso tempo volubile, agitato e stupito ben trasmette un senso di affanno e oppressione.
E’ vero che veniamo trainati dall’atmosfera misteriosa voluta da Carrère, che siamo disorientati al pari di Marc e in soggezione grazie anche alle musiche azzeccate di Philip Glass ma il risultato è troppo oscillante tra realtà e immaginazione; si sarebbe potuto scrivere e rappresentare di tutto e questo, a mio giudizio, è un limite non trascurabile. Nessun azzardo nel compararlo a “Mulholland Drive”, per esempio.
Quella di Carrère rimane un’idea di cinema che va premiata per i suoi toni volutamente sfumati e per il suo incoraggiarci a ragionare su un qualche cosa di vago e indefinito ma il tutto è estremamente incorporeo, filosofico e si perde l’interesse nel cercare di renderlo in qualche modo decifrabile.
Di indubitabile certezza rimane l’eccellente interpretazione di Vincent Lindon, il cui volto “normale” e allo stesso tempo volubile, agitato e stupito ben trasmette un senso di affanno e oppressione.
Tralasciando il fatto che il titolo in italiano
sia ridicolo (ma non è la prima né sarà l'ultima volta, purtroppo), non ho
affatto disprezzato questo film, anche se nella seconda parte mostra un po'
troppo la corda e fa la fine del cane si morde la coda. Ma la prima parte è
veramente bella, con Vincent Lindon (ottima interpretazione) convincente nel
suo smarrimento iniziale e la sua progressiva discesa nella paranoia più
completa. Veramente bravo.
Quando
Marc decide di tagliarsi i baffi che porta da anni nessuno sembra accorgersene,
anzi, sia la moglie che gli amici continuano a ripetergli che in realtà non li
ha mai avuti. A questo punto le certezze della sua vita cominceranno a
vacillare.
Un thriller drammatico teso e inusuale tratto da un romanzo scritto dallo stesso regista. Il disorientamento provato dal protagonista viene trasferito direttamente sullo spettatore, che alla fine finisce per sentirsi altrettanto confuso. La pellicola è ben diretta e soprattutto ben recitata. Il difetto (o il pregio) è che non viene data nessuna risposta, nessuna spiegazione chiara, tranne qualche indizio sparso che in fin dei conti non fa che alimentare ulteriore confusione (la cartolina, le foto di Bali, l'aneddoto dei termosifoni...)
Un thriller drammatico teso e inusuale tratto da un romanzo scritto dallo stesso regista. Il disorientamento provato dal protagonista viene trasferito direttamente sullo spettatore, che alla fine finisce per sentirsi altrettanto confuso. La pellicola è ben diretta e soprattutto ben recitata. Il difetto (o il pregio) è che non viene data nessuna risposta, nessuna spiegazione chiara, tranne qualche indizio sparso che in fin dei conti non fa che alimentare ulteriore confusione (la cartolina, le foto di Bali, l'aneddoto dei termosifoni...)
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