martedì 12 agosto 2025

Misericordia - Emma Dante

Arturo (un omaggio a Elsa Morante) è un bambino e poi un giovane che viene adottato da due puttane, l'unico essere che le due amano.

è un film crudo e poetico, Arturo (una specie di Lazzaro felice) è un ragazzo difficile, pauroso e dolcissimo, gioca e danza tutto il tempo, le due puttane, a cui se ne aggiungerà una terza, più giovane, proteggono Arturo in tutto e per tutto, ma dovranno prendere una decisione importante.

vivono in una comunità di poveri, ma solidali, piena di bambini, tutti amici di Arturo.

un film che riesce a coinvolgere e commuovere.

da non perdere, promesso.

buona (Arturo) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 


 

Misericordia è la storia di puttane, definite così per eufemismo, vittime di una becera ilarità e di descrizioni sprezzanti che non si soffermano sulla sofferenza e complessità che caratterizza il loro mondo, un mondo che le costringe ad un gioco umiliante. Arturo, rimasto orfano alla nascita, è figlio di queste donne, esempio di violenza e tenerezza; un gigante buono molestato dai tanti giganti cattivi, protetto però dalle madri che il caso che gli ha messo accanto, madri diverse, egoiste ed egocentriche, ma che di certo, lo amano.  

È una trama complessa quella di Misericordia, che si intreccia seguendo un percorso emozionale, sensoriale che si dipana in una scala di colori e si aggira nella spigolosità delle rocce eternamente in movimento, in un’isola dai significati persi “ieri” e riavvolti nelle speranze di un domani.
E quanto all’amore? Ha un volto sgualcito, amaro; ha il volto di Anna, un vestito azzurro e mani sporche, sudicie che abusano del suo corpo. Arturo la sente, la avverte, in mezzo a quel porcile di fanghiglia seppellito sotto stracci sporchi strizzati fino a togliere il respiro…

da qui

 

…Arturo (citazione da Elsa Morante, lo conferma la regista) è un giovane mai cresciuto, corre nudo saltellando come un uccello fra l’immondizia di quel borgo di catapecchie, chiuso in un’insenatura del mare di Erice, riserva naturale che ha fatto da set, a ridosso di una falesia minacciosa, davanti al mare cristallino di Sicilia.

Borgo di prostitute, omaccioni e bambinetti vocianti, Arturo è la loro mascotte, adottato da tre madri più la pecora che l’ha assistito quando, neonato urlante, era abbandonato nel cavo della roccia.

Femminicidio, non poteva mancare, è la scena di apertura, quindi niente spoiler.

La madre in fondo al mare e venti anni dopo il bambino Arturo, cervello compromesso dai colpi del padre sulla pancia della donna.

Un film durissimo, certo a molte anime belle non piacerà, un film pieno di amore.

Il mare ribolle e invade le case, dietro la tenda all’uncinetto si fa sesso, davanti la fila di uomini aspetta scolando birra, le bambine vestono abiti di tulle da fata, il padre giura che prima o poi ucciderà quel disgraziato aborto di natura…

da qui

 

Film di vertiginosa bellezza, "Misericordia". Emma Dante realizza il suo capolavoro e tocca il cuore delle cose, tutte, con questo personaggio, Arturo, un orfano rimasto bambino per un ritardo di nascita, cresciuto da una comunità di prostitute, come la madre, uccisa nel tentativo di fuggire da una vita disperata e disperante. Arturo è il perno attorno a cui ruotano le tristi vite di queste donne, orogliose e fiere, dure come l'acciaio, ma segnate da un destino evidentemente ineluttabile: Arturo rappresenta per loro la libertà, l'immaginazione, la purezza, e quando, inevitabilmente, si caccia nei guai, fanno famiglia, quella vera. Emma Dante non fa un film per tutti, se ne frega, evviva, del grande pubblico, e disegna un racconto estremamente periferico, duro e respingente, sopra un'isola del sud, siciliana, tutta sommovimenti della terra, rovine, rifiuti e degrado. Donne comunque forti, che hanno accettato per destino quella che è una vita difficile e senza compromessi: un cliente via l'altro, un pappone, soldi e mercificazione. Ma Arturo è un angelo che illumina ogni cosa, senza retorica e senza melodramma, che le accompagnerà fino a un finale quasi insostenibile, che mi ha commosso alle lacrime. Film enorme, poetico quando serve, luminoso quando serve, senza buoni sentimenti un tanto al chilo. Bellissimo.

da qui

 

Rimane comunque la potenza dei corpi, il loro esprimersi attraverso un linguaggio intimo veicolato dalla danza, il loro ribellarsi rumoroso e straripante contro ogni cosa, anche contro la natura stessa. E soprattutto rimane uno sguardo poetico che cerca di esplorare le pieghe del reale.

da qui

 

…Misericordia oscilla tra dramma e frammenti di favola in nero in cui il mondo attuale e il mito convivono in un eterno presente, riproducendo all’infinito quel conflitto tra maschile e femminile che genera vita ma si nutre solo di abusi, violenza e sottomissione.

La complessità dei concetti si esprime attraverso un ragionato uso di simboli – l’acqua come liquido amniotico e forza inarrestabile sotterranea, l’agnello di matrice cristiana, il firmamento arturiano, la natura matrigna – e arrivano dritti al cuore e privi di retorica grazie a una sapiente direzione di attori di rara bravura.

Simona Malato, Tiziana Cuticchio e Milena Catalano muovono i corpi e danno parola ai loro volti che ribollono di accenti ora amorevoli, ora sguaiati, ora ribelli e ora rassegnati. Questo linguaggio materico rafforza l’aspra sonorità del dialetto siciliano e fa da contrappunto alla rumorosa e scomposta vitalità di Arturo. Il danzatore professionista Simone Strambelli regala a questo toccante personaggio una personalissima voce composta dal ritmico, continuo girare in tondo, da vocalizzi di animale libero e felice, dal paziente tessere e annodare fili di lana che, dalla sua bocca, diventano fisici e colorati universi. Un mondo fertile in cui venire al mondo è come nascere stella, una stella di nome Arturo, la più luminosa e brillante del cielo notturno.

da qui

 

…Cristo inebetito e rigirante su se stesso come un derviscio incosciente (ma anche come i francescani di rosselliniana memoria) Arturo è l’atto di liberazione del cinema di Emma Dante, che si lascia poi sedurre – ed è la vera forza del film – da un ambiente naturale di cui sa comprendere e rispettare la potenza. La mitologia che è entrata nel racconto di nuovo in modo dichiarato nel personaggio di Polifemo, interpretato da un Fabrizio Ferracane in veste di Lucifero laido, la si rintraccia in modo meno intellettuale ma più centrato in quel posto fuori dal mondo, chiuso tra la montagna che si sgretola e il mare in cui si affonda. Un mondo che uccide, ma mai con la ferale crudeltà dell’umano, e in particolar modo del maschile, qui accettabile solo nella sua forma priva di consapevolezza delle proprie azioni (Arturo, ovviamente) ma per il resto di una cattiveria irredimibile, e insopportabile. Emma Dante si sta progressivamente “liberando” del ventre caldo e protettivo del testo preesistente, e Misericordia racconta dunque due tentativi di fuga libertaria, quella di Arturo e quella della stessa regista. Ed è forse questo, prima ancora del discorso tematico, a rappresentare il reale motivo d’interesse del film, in attesa dei futuri sviluppi dell’autrice.

da qui

 

…In un passaggio de "La città dei vivi" (Einaudi, 2020) - il romanzo di Nicola Lagioia che racconta dell’omicidio Varani - lo scrittore siciliano scrive di quanto sia difficile credere nel potenziale magico della parola in un mondo, il nostro, materialista, in cui, cioè, si suppone la realtà sia sempre uguale a sé stessa. "Misericordia" e la narrazione di Lagioia hanno in comune l’ineluttabilità, della violenza certo, ma soprattutto della conseguenza - il materialismo e la sua ossessione per ciò che è causa e ciò che è effetto. Nel film, l’esempio più evidente è quello della montagna, protagonista assoluta dei campi lunghi, in cui la rilettura della più famosa delle operette morali di Leopardi ("Dialogo della natura e di un islandese") prende forma: la natura, come la casa, è matrigna, ma anche agente controfattuale, salvatrice, se distruggesse la baraccopoli con la sua forza. Né Betta, né Nuccia o Anna ne hanno paura, "tanto non succede" dicono, l’ineluttabilità appunto…

da qui

 

 

lunedì 11 agosto 2025

Fela - Il mio Dio Vivente - Daniele Vicari

Michele Avantario era un ragazzo che incrociò la musica rivoluzionaria di Fela Kuti e fu amore. 

partì per la Nigeria, riuscì ad entrare nella comunità di Fela Kuti, che lo accolse con curiosità e affetto.

per Michele fu un'illuminazione, verso Fela fu devozione, è stato il suo Dio vivente.

il film è coinvolgente, emozionante, commovente, come se l'avesse girato Michele Avantario, che con noi ringrazia Daniele Vicari per l'impresa.

non perdetevi il film, nessuno resterà deluso.

buona (straordinaria) visione - Ismaele

e (ri)ascoltiamo la musica di Fela Kuti!

 


QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 

Il testo di Daniele Vicari su “Fela il mio dio vivente”:

Nel 1984 avevo 16 anni, e venni a vivere a Roma. Ero una sorta di “tabula rasa”, un ragazzo spaesato. Anzi, spatriato. Non conoscevo il cinema, non conoscevo la musica. Ascoltavo l’hard rock e il reggae ma un po’ a caso, devo essere sincero. Il 1984 è l’anno del concerto romano di Fela Kuti, un concerto rimasto nella memoria di molti. Io non ci andai perché non sospettavo nemmeno esistesse un artista come Fela. Lo scoprii nei mesi successivi. A seguito di quel concerto nei centri sociali, durante le manifestazioni, nelle feste e nei locali di musica africana che a Roma erano un bel po’, la musica di Kuti cominciò a circolare.

Mi sono molto emozionato quando, guardando i repertori che Michele Avantario ha lasciato a Renata di Leone, ho capito che si trattava di quell’anno lì e di quel concerto lì che riecheggiò in tutta la città per mesi. Raggiungendo persino un outsider come me.

Non la solita apologia di un gigante della musica del ‘900

Nel 2019 camminando lungo il porticato dell’Auditorium, alla festa di Roma, ho incontrato Renata Di Leone. Avevo scelto Giovanni Capalbo, suo secondo marito, per un piccolo ruolo in Alligatore e lui era lì con lei. Mi fermarono e mi raccontarono di aver creato una società di produzione che si chiama Fabrique Entertainment. Poi mi raccontarono dell’esistenza di questi repertori lasciati a Renata dal suo primo marito, morto nel 2003.

Loro mi parlarono dell’idea di fare un film su Fela Kuti, grazie a queste immagini. Ma quando ho visto una parte di quel patrimonio ed ho letto gli appunti di Michele, che aveva intenzione di fare un film di finzione su Fela Kuti, rimasi molto colpito dal modo in cui quelle immagini erano state realizzate. Dall’intenzione del regista che vi traspariva, oltre che da cosa mostravano. Il materiale di Michele mi offriva una opportunità unica per fare qualcosa che nei film musicali è praticamente impossibile: un film che non fosse la solita apologia di un gigante della musica del ‘900.

Quasi sempre i film musicali sono poco interessanti dal punto di vista strettamente cinematografico. Ci sono troppi vincoli, cioè le etichette musicali, le famiglie degli artisti. Gli artisti stessi che hanno una “immagine” che vogliono mantenere a tutti i costi. Nelle riprese di Michele invece Fela Kuti è ripreso nella sua nuda verità quotidiana, senza censure o autocensure. Lo sguardo di Michele ci racconta un Fela Kuti in chiaroscuro e più umanizza quell’uomo più lo rende importante ai nostri occhi, perché lo coglie nella sua fragilità. Non è una popstar che vediamo rappresentata ma un amico, un maestro, un “babalawo”. Soprattutto quelle immagini raccontano due cose che ho considerato idee guida: lo sguardo di Michele, la sua intenzionalità particolare e la storia di un progetto cinematografico fallito. Due cose molte significative, cosa avrei potuto chiedere di più?...

da qui

 

Michele Avantario ha lanciato programmi televisivi, fatto videoarte, creato lo spot promozionale dell'Estate romana di Renato Nicolini, ma soprattutto è stato un grande conoscitore di musica africana superfan del musicista nigeriano Fela Kuti, Back President dell'afro beat e simbolo della nuova evoluzione africana.
Avantario ha seguito Kuti ovunque, invitandolo ad esibirsi in Italia e recandosi regolarmente in Nigeria, e riuscendo a poco a poco a guadagnarsi la fiducia del musicista che alla fine lo accoglieva presso la sua comune, Kalakuta, come un membro della sua famiglia allargata - peraltro l'unico bianco.
Il sogno di Michele era girare un film su quello che era arrivato a considerare come la sua guida spirituale, e per far questo ha girato ore di riprese e ha recuperato le bobine di pellicola in 35mm dirette da un altro cineasta e poi abbandonate all'incuria. Il risultato è la testimonianza ricchissima e inedita di un artista eclettico e controverso, ma anche dell'uomo che l'ha inseguito per anni con l'obiettivo di raccontarne l'unicità.

da qui

 

Quella di Avantario per la figura di Fela Kuti, morto nel 1997, è una vera passione, quasi un’ossessione e il documentario la rende molto bene. Pugliese trapiantato a Roma, Michele Avantario si dimostra fin da subito molto attratto dalla musica afro e conosce in questo modo l’arte di Fela Kuti, inventore del genere afrobeat. Quando il comune di Roma, nel 1984, gli affida il compito di organizzare un concerto di Kuti, per Michele non è solo la realizzazione di un sogno ma anche l’occasione di conoscere direttamente questo autentico mito musicale; una figura carismatica e punto di riferimento politico per il popolo africano, non solo della Nigeria. Avantario – cui si deve anche il merito di aver importato in Italia la musica afrobeat – inizia ad accarezzare l’idea di realizzare un film su Kuti e per questo passa molto tempo a Lagos, nella comune in cui Kuti viveva con le sue 27 mogli, i figli, i musicisti. Un sogno destinato a rimanere tale perché Fela a un certo punto si oppone alla realizzazione del film, dal titolo provvisorio di Black President

da qui

 

Daniele Vicari torna alle origini della sua (bella) carrierra cinematografica, riscoprendo il formato del documentario. Lo fa raccontando un sogno, una straordinaria esperienza di vita, quella di Michele Avantario, artista visivo e autore per la televisione, ma soprattutto vero e proprio discepolo di un dio musicale, ovvero del nigeriano Fela Kuti, inventore dell'afro beat, jazzista, rivoluzionario e figura spirituale tout court. Il sogno di Avantario era quello di realizzare un film su Fela, riprendendo l'idea di un altro film, andato perduto, "Black President", e innervandolo con la sua incredibile esperienza personale, che lo portò ad essere uno dei pochissimi bianchi che potevano frequentare la casa-comune di Kuti a Lagos. Vicari recupera il girato di Michele, spesso riprese traballanti e personali, e ne ricava, tramite una voce off che ne legge i diari di lavorazione, un documentario affascinate, utopico, che finisce per, ironicamente, dare pure un bello spaccato di cosa l'artista nigeriano sia stato per la musica africana e mondiale e, soprattutto, per il suo Paese…

da qui

 







sabato 9 agosto 2025

La voglia matta – Luciano Salce

un affermato ingegnere (Antonio, interpretato da Ugo Tognazzi) impazzisce per Francesca (interpretata da Catherine Spaak), lui non è più gipvane e finisce in un gruppo di giovani che lo prendono per culo, in dramma è che se ne accorge, ma non riesce a lasciare la banda di giovani, a causa della sua voglia matta.

è un film inquietante, fa soffrire il gap generazionale e inquieta il rapporto con Francesca, che qualcuno definisce come un caso di pedofilia (a un certo punto Antonio cita i matrimoni con ragazze di 14 anni).

Ugo Tognazzi è perfetto per la sua parte, inadeguato a gestire la situazione in cui si trova, disprezza quei giovani ma non si allontana, Francesca è una calamita (ma anche una calamità), senza pietà.

insomma, un film che non fa ridere, se non con crudeltà, di commedia c'è poco, di tragedia molto di più.

non perdetelo, un film che resterà, grazie a un regista sottovalutato e a interpreti in stato di grazia.

buona (crudele) visione - Ismaele



QUI o QUI si può vedere il film online

 

 

Salce dirige un gran bel film con un ottimo Tognazzi, ingegnere quarantenne, che si invaghisce di una sedicenne Catherine Spaak. Comico ma anche amaro nel suo tono malinconico, vagamente nostalgico, col protagonista costretto a constare la sua "vecchiaia", ovvero la distanza incolmabile tra sé e il suo mondo rispetto alla giovinetta oggetto del suo desiderio e il suo circoletto di amici.

da qui

 

probabilmente il miglior film di Salce assieme a Il federale dove alla commedia di costume si aggiunge anche una robusta dose di malinconia, di inquietudine per qualcosa che avrebbe potuto dare una scossa alla vita dell'ingegnere quarantenne e invece non è successo nulla. La performance di Tognazzi è veramente di alto livello, il suo cercare di adeguarsi ad un a eta' che non è la sua è da commedia nobile, come la sua inadeguatezza di cui non è conscio e il suo tira e molla con la lolita Spaak è il sale che dà vita a questo bel film. Sicuramente i compagni della lolita sono piu' insopportabili di cacche sotto le scarpe ,ma si sa quando l'ormone si scatena, si fa di tutto....Probabilmente sottovalutato...

da qui

 

Colpisce, rivedendo il film oggi, come il regista abbia anticipato il vuoto esistenziale di una borghesia annoiata, sazia del proprio benessere e fondamentalmente priva di valori. Ed è la stessa figura del protagonista, protesa al disperato inseguimento della gioventù perduta a risultare di straordinaria attualità. La vicenda si svolge tutta in un giorno e in una notte in una casa sulla spiaggia nelle vicinanze di Roma, dove i giovani festeggiano l’ultimo week-end dell’estate. e dove l’ingegnere milanese li segue per mettere in atto i suoi goffi tentativi di corteggiamento. Siamo nel pieno del boom economico; è in atto la trasformazione definitiva dell’Italia da paese rurale a nazione industriale. Salce è uno dei primi autori che si sofferma ad analizzare la generazione dei giovani degli anni ’60, sottolineandone l’edonismo e l’egoismo, oltre che un rifiuto preconcetto per ogni forma di cultura (“Mussolini chi, il padre del pianista?”). Inoltre utilizza alcuni espedienti stilistici per organizzare la narrazione: il flusso interiore del protagonista viene descritto attraverso il dialogo con un alter ego che svolge la funzione di coscienza morale, per lo più inascoltata, e i flash back, in cui rappresenta i sogni del protagonista.
Ugo Tognazzi rende il suo personaggio irresistibile: l’ingegnere rampante e sicuro di sé, passa dalla prosopopea esibita nell’incipit durante la rappresentazione del Giulio Cesare al teatro romano di Ostia Antica (“la donna deve essere messa in orizzontale”), alla totale umiliazione in riva al lungomare di Sabaudia. C’è molto cinismo in questi giovani che ordiscono una serie di scherzi impietosi ai danni dell’ignaro ingegnere tutto preso dai suoi goffi tentativi di corteggiamento. L’atmosfera goliardica e festaiola lentamente s’incupisce, le luci dell’estate fanno posto alle ombre dell’autunno; un cielo grigio e le canzoni di Gino Paoli 
accompagnano l’amara malinconia che permea la narrazione filmica. Dietro la maschera comica, il protagonista fa trasparire bagliori di un vissuto caratterizzato dal rimorso e dal senso di colpa (l’assassinio di un soldato inglese nella campagna d’Africa, la separazione dalla moglie, il figlio depositato in collegio), che si riflettono nell’ insicurezza sul proprio corpo di fronte alla prestanza fisica dei giovanotti che lo circondano, su tutti il rivale in amore Piero (Gianni Garko).D’altro canto, anche Catherine Spaak, che si muove come una Lolita kubrickiana, comunica un senso di vuoto e di spaesamento collegato dalla rottura dei rapporti con le figure autorevoli e significative affettivamente (i genitori, lo spasimante ricco). Sembra di cogliere in alcuni tratti dei due protagonisti elementi autobiografici del regista, un padre immaturo e una madre giovane che abbandona…

da qui

 

Per raccontare il mondo interiore di un uomo all’alba dei suoi quarant’anni, a cavallo tra l’essere un eterno Peter Pan ma anche quello che oggi sarebbe definito come boomer, Luciano Salce approccia in modo tanto naturale quanto riflessivo il tema della pedofilia. Si, perché alla fine è di questo che tratta La voglia matta. Il crescente e indomabile impulso erotico di un uomo di trentanove anni nei confronti di una quindicenne che, sia nei modi di fare che in quelli di ragionare, è poco più di una bambina. E Antonio, il protagonista della vicenda, non solo si ritrova inaspettatamente attratto da quella “bambina”, nel corso del film fa anche sua l’idea di poterla sposare per farla diventare sua moglie (a tal proposito, irresistibile la proiezione di Antonio quando immagina come potrebbe essere la sua vita se sposato con Francesca)…

da qui

 

Bel lavoro di Salce. Il protagonista della sua storia potrebbe essere chiunque di noi, maturo uomo di successo nella vita professionale, ma un poveretto in quella umana e sentimentale,perde la testa per una ragazzina che finge di cedergli, ma in realtà non se lo fila proprio, anzi sfrutta il suo potere seduttivo per canzonarlo e metterlo alla berlina in diverse situazioni e quindi farlo diventare lo zimbello del gruppo di amici vacanzieri, in cui lui per caso s'imbatte. Geniale la trovata di far sentire con voce fuori campo i pensieri di un Tognazzi brillantissimo, che vanno al rovescio rispetto alle sue azioni.Ne viene fuori il ritratto di un individuo meschino, egoista, narcisista e patetico e quanti lo diventerebbero di fronte alle lusinghe di una graziosa civettuola diciasettenne. I dialoghi sono intelligenti e rivelano anche lo spirito degli adolescenti dell'epoca, dal carattere apatico, volubile e antipaticamente goliardico, passivi si lasciano vivere senza grandi slanci. Da vedere per chi non l'ha fatto.

da qui

 

Salce, al massimo dell'ispirazione, realizza una bellissima commedia di costume assolutamente intelligente e spiritosa, che riesce abilmente a mescolare cattiveria e cinismo con sentimento e delicatezza. Salce mette alla berlina la borghesia, le nuove generazioni del boom economico nate sotto l'insegna del consumismo sfrenato e il rapporto tra due diverse generazioni. Tognazzi, che ormai si sta lasciando alle spalle i perlopiù mediocri ruoli comici degli esordi, ci regala qui un'interpretazione intensa e profonda. La Spaak, nel ruolo di un'adolescente immatura e superficiale, non gli è da meno.

da qui

 

Grandissima pellicola di Salce, anche se definirla commedia è forse un po' riduttivo, o comunque non riesce a delineare bene lo spirito del film, velato di una forte amarezza che il regista sa dosare e alternare a scene invece comiche nel senso più puro del termine.
Tognazzi ci dona un'interpretazione incredibile nella sua apparente semplicità. Antonio Berlinghieri, uomo di mezz'età perde la testa per una sedicenne (una Catharine Spaak quanto mai meravigliosa e maliziosa); i tentativi di conquista da parte dell'ingegnere sono un buco nell'acqua, a testimonianza di come le ultime illusioni di gioventù svaniscano, e alla fine resti solo tanta amarezza e tanta nostalgia dei tempi passati..
I momenti comici di sicuro non mancano, d'altra parte con Tognazzi come protagonista le risate di certo non possono mancare, però a mio avviso questa profonda amarezza e senso nostalgia di fondo rende il film molto più profondo e intelligente, ma lascia lo spettatore con un profondo senso di tristezza, facendo malinconicamente riflettere su come la gioventù debba terminare per ognuno di noi.

da qui

 

Luciano Salce, oltre che attore brillante e simpatico era anche un geniale regista.  Questo  filmetto, che sembra poca cosa, è invece una intelligente, ironica  e feroce sferzata alla "middle class" degli anni sessanta, mediocre, presuntuosa e arrogante. Ingegnere maturo, s'invaghisce per una ragazzina incontrata casualmente, da lui soccorsa perchè rimasta senza benzina in una località balneare. Per una intera giornata e una notte, vivrà una vera e propria odissea, lei lo stuzzica, poi l'allontana , poi lo illude  , in un' altalena capricciosa di atteggiamenti e comportamenti ,imprevedibili e contradditori.Non si concede mai, ma nemmeno lo rifiuta completamente e in balia di questa  insana passione, meschino e pavido,  viene messo continuamente in  ridicolo dalla maliziosa, Catherine Spaak,e dai suoi amici, giovani annoiati e cinici, che  lo fanno diventare  lo zimbello del gruppo. Lezione di vita immensa, il tempo scorre e sentirsi giovani non significa esserlo per davvero. Il richiamo dei sensi molte volte è forte, ma bisogna saperlo gestire. Certo nessuno si può erigere a maestro e quello che succede al nostro protagonista, può capitare a ciascuno di noi, tuttavia è necessario conservare un briciolo di dignità  se  si  ha un pò di amor proprio e si  vuole il rispetto degli altri.

da qui

 

   La voglia matta di Salce è quella di raccontare un’epoca, una generazione, attraverso una commedia agrodolce, in cui i protagonisti sono perfetti, la musica che accompagna lo spettatore pizzica le note giuste e, mentre riecheggia “Sassi che il mare ha consumato/sono le parole d’amore per te/ogni parola che diciamo è stata detta mille volte/ogni attimo che viviamo è stato vissuto mille volte”, noi, un po’ spaesati come Antonio, completamente in balia di lei ma un po’ ammaliatori, alla fine del film non possiamo far altro che dire: “che rabbia, l’estate è finita”.

da qui

 

Il vero capolavoro di Salce, un film che riesce a raccontare la crisi dei quarantenni con una leggerezza e un tono ironico davvero invidiabili eppure alla fine questo film divertente e spesso irresistibile (memorabile la "gara di fisicità" dei ragazzi dove partecipa un Antonio indomito e ovviamente patetico) mette l'amaro in bocca: la consapevolezza del tempo che passa, il "gusto" di riappropriarsi di un codice giovanile che per il protagonista (un immenso Ugo Tognazzi) è fuori tempo massimo, il disagio davanti alla spensieratezza e all'audacia di quei giovani belli e felici, diventa uno dei ritratti maschili più impetuosi del cinema italiano.
Bravi tutti i comprimari, a cui Salce "impone" la goliardia del classico teen-movie: la "distanza" tra loro e Antonio è inarrivabile proprio per questo.
Semplicemente stupenda la diciassettenne Catherine Spaak: bella da togliere il respiro a chiunque.

da qui

 

In un weekend di fine estate, un industriale milanese di mezza età cerca inutilmente di mescolarsi a un gruppo di ragazzotti viziati per abbordare una sedicenne e si infila in un perverso meccanismo di coazione a ripetere. Quasi un rovesciamento del coevo Il sorpasso: un on the road dove sono i giovani a essere strafottenti e irresponsabili, mentre l’adulto è un matusa (così si diceva allora) pateticamente illuso di essere ancora come loro; e anche i soliloqui di Tognazzi, come quelli di Trintignant, rivelano la distanza fra i suoi pensieri e le sue azioni. La sequenza iniziale e una serie di fulminei flashback e flashforward illustrano la vita di lui: una mantenuta a Roma, un figlioletto depositato in collegio dalle suore, un branco di leccapiedi che ridono alle sue barzellette stupide. Viceversa i ragazzotti sono appiattiti su un presente che credono eterno: passano i giorni a non fare nulla, imbastiscono flirt per vincere la noia, tirano gli schiaffi ogni volta che aprono bocca. Due mondi che si ignorano, pur condividendo momentaneamente gli stessi spazi: alla fine nessuno è maturato, nessuno ha imparato nulla, ognuno va per la sua strada. Un film divertente e al tempo stesso amaro, come sapeva essere la commedia italiana dei suoi anni d’oro.

da qui

 

"La voglia matta" diretto nel
1962 da Luciano Salce,devo dire che l'ho
trovato strepitoso.

La storia tratta che l'ingegnere milanese
Antonio Berlinghieri fa un viaggio per andare
a trovare il figlio in collegio per il fine settimana.

Però lungo il percorso incontra un gruppo
di ragazzi diretti al mare,che inizialmente
lo bersagliano con i loro scherzi per poi
fare amicizia e passare insieme la domenica.

Antonio accetta ma finisce per invaghirsi della
sedicenne Francesca.

Siamo in pieno filone "Commedia all'Italiana"
dove Luciano Salce era un maestro e
Ugo Tognazzi un eccellente protagonista,
che con una sceneggiatura ben costruita
scritta dallo stesso regista e da
Castellano e Pipolo in forma smagliante,
e prendono la storia da una novella
di Enrico La Stella chiamata:
"Una ragazza di nome Francesca".

La Francesca è la sensualissima
e intrigante Catherine Spaak,
che provoca l'ingegnere fino
a che lo fa capitolare,
ma sempre in un modo sbarazzino
e poco serio con continui scherzi.

Salce con questa Commedia vuole descrivere
la gioventù spensierata degli anni '60
e lo fa in un modo godibile e nello stesso
cattivo,ma che fa vedere le tracce sincere
dell'aria dell'Italia di quel tempo.

Ma contempo racconta la crisi di mezza età
di una persona che la gioventù la smarrita
e cerca di riacquistarla grazie a questa
sedicenne tutta pepe,che all'inizio
fa venire i problemi di coscienza
all'ingegnere,anche per la differenza
d'eta,per poi buttarsi.

E lo fa con continui flashback che ci fanno
vedere cosa gli è successo in passato,
con siparietti efficaci davvero divertenti.

Nel Cast figurano Gianni Garko,
un giovane Jimmy Fontana,
Star dell'epoca,ed in una particina
il mitico "portafortuna" Jimmi il fenomeno
e un cameo dello stesso regista.

In conclusione un grande Film
che in Italia non se fanno più,
con una creatività gigantesca,
nonostante il risicato Budget,
e la parte del leone l'ha
fa uno straordinario Ugo Tognazzi,
e che finisce in un modo malinconico,
dove l'estate chiude e gli affetti
se ne vanno con tutto il resto.

da qui

venerdì 8 agosto 2025

Cinema italiano

  


Il film "Albatros" di Giulio Base, dedicato a un militante del Fronte della Gioventù, presentato in pompa magna con Meloni e La Russa in prima fila, è uscito in 112 sale e ha incassato 5.875 Euro a fronte di un finanziamento pari a 2,49 milioni di Euro. Praticamente, soltanto 4 spettatori per sala. E, nella teorica sala che ha visto la presenza di Meloni e La Russa, soltanto 2 spettatori paganti su 4, visto che, in genere, i parlamentari accedono al cinema gratuitamente.

da qui

giovedì 7 agosto 2025

La mia signora - Tinto Brass, Mauro Bolognini e Luigi Comencini

Alberto Sordi e Silvana Mangano sono i protagonisti di tutti e cinque gli episodi, girati da registi bravissimi, che valorizzano i due interpreti.

alcuni episodi sono eccezionali, gli altri solo molti belli.

da non perdere, promesso.

buona (Mangano-Sordi) visione - Ismaele

 

 

QUI si può vedere il film completo

 

Davvero un buon film ad episodi, tutti magistralmente interpretati da Sordi e dalla Mangano; tra i vari episodi, tutti comunque di buon livello, spiccano Comencini e Bolognigni che, con i loro "Eritrea” e “Luciana” fanno riflettere, appassionano e rendono tristi, perchè si tratta comunque di capitoli evidanziati da una sottile malinconia.
Non male nemmeno Brass però, breve ma incisivo.

da qui

 

Il film a episodi furoreggiava nei 'mitici' anni '60; poi questo modo di fare cinema, che ha prodotto anche buoni risultati, si affievolì fino alla scomparsa quasi totale.

Il problema è come sempre la frammentarietà di tali operazioni che generano episodi riusciti, alternati ad altri irrisolti. 

'La mia signora' si avvale di tre autori, Tinto Brass e Mauro Bolognini con due episodi a testa e Luigi Comencini con uno e interpretati, nelle vesti di protagonisti, da Silvana Mangano e Alberto Sordi...

da qui

 

LA MIA SIGNORA è una delle migliori commedie a episodi degli anni sessanta. Non è un semplice veicolo per la comicità di Alberto Sordi e il talento di Silvana Mangano ma qualcosa di più. E’ la sintesi della loro straordinaria bravura, compendio perfetto delle loro tante sfaccettature interpretative…

da qui

 

La mia signora è innanzitutto un omaggio alla Mangano nella sua stagione più rigogliosamente bella, e attraverso i cinque episodi del film (tutti di buona fattura) si (auto)proclama donna simbolo degli anni sessanta. Affiancata dal re di quel periodo, Alberto Sordi (che ha sempre affermato di aver coltivato una profonda amicizia con la Mangano), si fa rappresentare in diverse vesti, vuoi petulante moglie con la fissa degli uccellini e vuoi prostituta illusa, vuoi donna di enigmatica pignoleria e vuoi giovane moglie sfinita ed annoiata e vuoi fedifraga repressa. Il migliore è il secondo perché forse più completo e malinconico (di Comencini), ma non si sottovaluti il beffardo cinismo del primo, l’ermetismo buffo del terzo, la romantica freddezza del quarto e la tragicomica finale. Un film che è anche una dichiarazione d’amore, o almeno di ammirazione, come lo sarà Le streghe, più pericolosamente singolare.

da qui

mercoledì 6 agosto 2025

Classifica 2024-2025

anche quest'anno (agosto 2024 - luglio 2025) faccio una specie di classifica dei film visti al cinema (60), e qualcosa di ottimo e buono c'è (cliccando su ogni titolo c'è il link alla piccola recensione che avevo scritto a suo tempo), gli altri, comunque buoni, si trovano nel blog - Ismaele


No other land

Balentes

Bird

 

Il mohicano

Sono ancora qui

Nero


Flow

Sinners

La città proibita

The brutalist

Aicha - Una sconosciuta a Tunisi



martedì 5 agosto 2025

Anni facili – Luigi Zampa

dopo la guerra, un professore si trasferisce con la famiglia dalla Sicilia a Roma, lo stipendio è basso, è dura mantenere la famiglia, ma a Roma farà un lavoretto per integrare le entrate familiari, facendo il rappresentante/lobbista/corruttore a favore di un prodotto farmaceutico del suo ex padrone di casa siciliano, fascista nell'anima e di fatto.

avventure di un poveraccio che deve tradire la sua coscienza.

eccezionale la visita al castello!

da non perdere.

buona (fascista) visione - Ismaele

 

 

QUI o QUI si può vedere il film completo

 

 

 

Dopo gli anni difficili, ecco quelli cosiddetti facili. L’accetta della censura rimane affilata anche nella fresca democrazia, mutilando questo caustico e coraggioso film di Zampa, necessario a chiarire come non si sia tutto facilmente risolto con la fine del Ventennio. Le lotte di potere procedono con gli usuali servilismi, corruzioni e abusi. Tagliare la testa al pesce che puzzava non ha mutato gli italiani: il corpo ha conservato l'odore. La magra consolazione è che ora si può cominciare a raccontarne il marcio in un modo però alterato dall’alto e inevitabilmente sconnesso.

da qui

 

Amaro apologo sull'Italia corrotta e corruttibile, sugli strascichi del fascismo e della monarchia, condotta da Zampa con mano a dire il vero un po' troppo pesante ma comunque apprezzabile e che regala anche qualche sorriso (soprattutto nella trafila ministeriale a cui è costretto il protagonista nella prima parte). Molto bravo Taranto, dimesso e misurato, sul quale si poggia gran parte del film e che forse mai più si è ripetuto in una simile performance. Buono.

da qui

 

Film quasi dimenticato, come d’altronde è garbatamente dimenticato il suo regista, eppure non solo bello, ma anche interessante da un punto di vista storico. Vitaliano Brancati lo scrisse dopo Anni difficili, scegliendo di raccontare ancora una volta la zona grigia del ceto medio-basso, che non sempre si schiera o può schierarsi politicamente, e che rappresenta certamente la maggioranza degli italiani: al centro della scena c’è, appunto, un modesto insegnante di origini siciliane, coattamente trasferitosi a Roma per le smanie delle famigliari e costretto a fare da rappresentante commerciale ad un trafficone barone con passato fascista e presente trasformista.

Fin qui non ci sarebbe niente di strano. E invece no. Il film ebbe tantissime noie con la censura democristiana sin dalle prime stesure della sceneggiatura, e i motivi sono presto detti. Il pungente Brancati racconta con satirica sottigliezza argomenti tabù del dopoguerra italiano: la rappresentazione di un partito di governo che, al di là della figura del sottosegretario Rapisarda, media in favore di se stesso; di un apparato statale sempre in mano ai transfughi fascisti; di una burocrazia lenta, idiota, macchinosa ed inutile; di una vicenda umana di un povero cristo che non fa onore ad una classe dirigente senza principi

da qui

 

Le scelte operate da Zampa e Brancati, apparentemente stridenti tra loro, si rivelano felici e ispirate: quanto più, infatti, i fendenti satirici che lo scrittore dispensa ai nostalgici del ventennio e agli intrallazzatori del presente raggiungono con efficacia i loro destinatari, le virate del film nella commedia di costume e nel bozzettismo ne stemperano con bonarietà di toni la virulenza più pungente (che causerà ad Anni facili la bocciatura in commissione di censura), senza eccedere nel moralismo e nella caricatura (difetti, invece, ascritti al film dai detrattori dell'epoca), ma servendosene, invece, per accanirsi maggiormente sull'inerme protagonista del film e sgretolarne ogni residuo di resistenza. Ne emerge un ritratto garbato e vibrante, sapientemente orchestrato da Zampa (pur senza raggiungere le vette di Processo alla città) tra sdegno civile, impennate sarcastiche e irresistibili siparietti umoristici: dai toni sferzanti dell'incipit al primo giorno di lezione di Taranto al liceo romano ("Come mai siete rimaste così indietro?"...), dalla sua estenuante odissea tra uffici, ministeri, tram affollati e code interminabili, al paradossale dramma dell'anziano reduce della guerra d'Africa, ancora in attesa che gli venga riconosciuta la pensione, fino al raduno segreto dei nostagici in camicia nera, allo sketch teatrale di Riccardo Billi e Mario Riva e ai toni malinconici che ammantano il finale. Nel cast, oltre all'intensa e superlativa prestazione di Nino Taranto (premiato con il Nastro d'Argento come miglior attore protagonista), si segnalano anche uno spassoso Gino Buzzanca, Alda Mangini, una giovanissima Giovanna Ralli, Checco Durante e, nella parte del giudice, Domenico Modugno.

da qui