il titolo italiano è completamente diverso dal titolo francese, ma ci siamo abituati.
non si capisce bene cos'è questo film, d'amore, un thriller, umorismo nero, di gelosia.
quello che è sicuro è che non ci si annoia, bravi attori nelle mani di un bravo regista, colpi di scena continui, apparenze che diventano altro, si inizia con un morto, poi un altro, c'è un prete sorprendente, una vedova che sa il fatto suo, due gendarmi che non riescono a capire cosa succede.
purtroppo si può vedere solo in una decina di sale, anche a questo siamo abituati.
cercatelo e godetene tutti.
buona (difficile da vedere) visione - Ismaele
…Al
netto della serietà con cui inscena le trame del desiderio, "Miséricorde"
è altresì un film infuso di toni da commedia nera, ma più che accentuare le
deviazioni grottesche dell’intreccio, sembra intento a cogliere con naturalezza
i sintomi della quotidianità cui aderisce. Nell’universo di Guiraudie che si
pasteggi coi funghi concimati da un corpo in disfacimento non è fatto più
inconsueto di un ateo che confessi un parroco - su richiesta, si badi, del
prelato, il quale d’altro canto, come il giovane curato che ne "Le due
zittelle" di Landolfi arringava in favore della scimmia sbafatasi un
piatto di Ostie consacrate, si premura di dichiarare apertamente le sue
posizioni ereticali sul delitto e il castigo in quella che è la scena più
esplicita di questa operetta morale. E se le vicissitudini di un cadavere
sepolto, dissepolto e ri-sepolto richiamano alla memoria quello che è il film
più inglese di Alfred Hitchcock, vale a dire "La congiura degli
innocenti", l’implacabile coppia di poliziotti si innesta in un solco tra
le stravaganze di Bruno Dumont e una invenzione à la Chabrol,
incarnando l'ortodossia del senso comune e della morale tradizionale.
Aderendo al principio di Flaubert, secondo cui il maggior esito nell’arte non
consiste nel far ridere o piangere, ma nel saper agire come fa la natura,
Guiraudie rifiuta l’enfasi e si mette in ascolto del battito sotterraneo che
anima le cose del mondo. Lo spia, per così dire, con una macchina da presa ad
altezza d’uomo, per scrutare i corpi, per desiderarli e farli desiderare, con
quella casta impudicizia d’adolescente che da sempre informa il suo cinema.
… Perché, dunque, in L’uomo
nel bosco Jérémie sembra quasi volersi sostituire alla figura del
figlio e al tempo stesso a quella del padre, tornando metaforicamente (ma
nemmeno troppo) verso il corpo della madre? E perché, nel suo risalire alle
origini della vita incontra la morte, e dunque la colpa, senza assumersene la
responsabilità? E chi, allora, lo farà per lui quel gesto di misericordia per
cui la salvezza passa per la menzogna, il travestimento, il silenzio?
L’immoralità del cinema di Guiraudie sta nella
confusione dei comportamenti e dei valori mostrati; nell’oscenità intesa
letteralmente come “fuori scena” e normalmente come offensiva verso il comune
senso del pudore, perché tutto nel suo mondo grezzo e istintuale è confuso,
stravolto, non conforme, non spiegato (e buffo), eppure stranamente – ed è qui
lo scandalo – naturale, istintivo. Naturale perché istintivo…
…C’è anche Jérémie, anche lui corpo mutante. Sotto
questo aspetto è incredibile il volto di Félix Kysyl (vittima? carnefice?
entrambe le cose?) in un gioco di dipendenza con Catherine Frot che sembra
uscita da un film di Chabrol. Diventa quasi l’attore di una calibrata
messinscena teatrale dove ha bisogno di interpretare più personaggi; ha addosso
infatti i vestiti del fornaio deceduto e vuole mettersi quelli di Walter.
Potrebbe fare tutti i ruoli, come
Dénis Lavant con Léos Carax. Ma anche
scomparire, essere un fantasma, guardare da fuori questa versione nera di
Rohmer – una specie di ‘conte macabre’ – dove le traiettorie dei
protagonisti di “Commedie e proverbi” possono essere anche simili ma a muoversi
non sono i corpi umani ma gli zombie. Un film in continuo disequilibrio come
gran parte dell’opera di Guiraudie, che cerca di dare forma al mistero tra la
gravità delle azioni e la banalità del male. Il titolo originale, Miséricorde, forse ne racchiude parte del senso più
profondo. Magistrale.
…Miséricorde si
rivela uno spasso per come riesce a districarsi tra malizie, segreti e verità
inconfessabili, ardori tra uomini che si rivelano segreti di Pulcinella, e il
candore dei sentimenti che giustifica atti e comportamenti impulsivi che gli
abitanti del paesello risultano vivere con incosciente ma vitale entusiasmo, e
soprattutto slanci erotici incontenibili.
Molto valida la prestazione del protagonista, il giovane ed
ambiguo Félix Kysyl, attorniato dalla sempre rassicurante Catherine Frot, vedova chioccia moto meno
ingenua di quello che potrebbe apparire a prima vista.
Ma la figura più potente, si potrebbe azzardare di tutto il cinema
del 2024, è quella dell'astuto prete, abile nel mettere in atto un proprio
sentimento di giustizia e di colpa/espiazione tutto suo.
Un personaggio strepitoso, che si mette letteralmente a nudo esibendo
l'erezione più clamorosa degli ultimi anni.
… Les Cahiers du cinéma lo
hanno collocato in cima alla classifica dei migliori film del 2024, certo è un
film che non lascia indifferenti. Se mai è poco pubblicizzato e, di
conseguenza, poco visto. Peccato, L’uomo nel bosco è
di notevole sottigliezza ottenuta con gradi successivi e quasi inavvertiti di
penetrazione…
…L’uomo
nel bosco, il cui titolo originale è Misericordia, è
un’opera a dir poco misteriosa. L’estrema cura nel
mostrarci i suoi lunghi dialoghi è accompagnata dalla costante
sensazione che nessuno stia dicendo tutta la verità, che nessuno sia davvero
chi afferma di essere. Molte delle sequenze in cui vediamo i personaggi parlare
tra di loro sembrano arrivare allo spettatore come brevi frammenti di
conversazioni origliate da dietro una porta, in cui non si conosce
bene il contesto del discorso e si può soltanto continuare a ipotizzare. Come
la fitta foresta in cui il protagonista si aggira in cerca di funghi nasconde
innumerevoli segreti, così anche le stesse parole degli abitanti del
paesello celano qualcosa, e non soltanto i posti dove è più facile
trovare i porcini.
L’alone
di mistero generale è però compensato da una regia estremamente
realistica, che rifiuta persino la colonna sonora se non per il segmento
iniziale dei titoli di coda. Lo sguardo di Guiraudie sulle vie e casette del
paese, ma anche sullo splendido bosco che lo circonda, risulta talvolta molto
simile a quello che si può trovare in un dipinto realista di fine Ottocento, ad
esempio le opere del nostro connazionale Teofilo Patini. Così anche la visione
dei rapporti umani, che risultano ridotti all’osso, scarni,
ma allo stesso tempo sembrano nascondere qualcosa di più profondo e
viscerale. Il tutto risulta essere in uno stato di ambiguità e
di assurdo, di oscillazione tra quello che sappiamo, quello che pensiamo di
sapere e quello che bisogna tenere nascosto, come ci ha sempre insegnato la
realtà del paesino di provincia. Anche lo stesso Jérémie è parte di
questa ambiguità, silenzioso, chiuso e quasi in imbarazzo nelle
prime volte in cui compare sullo schermo, finché poco dopo non viene
messo letteralmente a nudo davanti ai nostri occhi, sia a
livello fisico che soprattutto psicologico.
L’uomo
nel bosco è un film che ha come obiettivo quello di confondere,
poi intrappolare lo spettatore all’interno della sua storia, e
infine lasciarlo lì solo, seduto sulla poltroncina a chiedersi “e adesso?”. È
un Possum senza il suo mostro, una visione assurda delle
pulsioni e perversioni umane che non possono essere portate a galla. È uno
sguardo su qualcosa che traspare soltanto, come fa il sole tra i rami degli
alberi in un fitto bosco. E forse proprio per questo merita di essere visto.