lunedì 27 agosto 2012

Il volto - Ingmar Bergman

premetto che un film di Bergman ti fa guardare, stupire, interrogare, è il Cinema.
anche qui sei prigioniero di una storia che è più di una storia e non ti stacchi fino alla fine.
come non vederlo? - Ismaele

PS: una nota curiosa, Dr. Vergerus sembra Kevin Kline (il contrario, naturalmente) e il capo della polizia sembra Charles Laughton (più brutto di Charles, naturalmente)



The Magician is one of Bergman’s most enigmatic films, perhaps his underground masterpiece, one of the keys to his cinema.
Traveling actors, maids flirting about, a love potion, a happy ending, and diabolical apparitions—Bergman gives himself to the vertigo of quoting himself. Mourning his past, he makes an inventory of his themes in order to proclaim their end, bringing back all his characters, all his actors, who return for a bow. Everything is there, everyone is there, but beneath, abstraction is at work, mystery rumbles, doubt is gnawing at the whole. For in the center of his moving universe, this baroque forest of signs and symbols, we find a figure, the mesmerist Vogler, Bergman’s first major self-portrait…

Con grandissima abilità (sceneggiatura impeccabile) si mostra un modo di essere con tutte le sue ragioni "positive" (anche il "sovrannaturale" viene trattato come se fosse qualcosa di reale ed effettivo – il medico ha le sue ragioni indubitabili e la sua smania irrispettosa di analizzare tutto secondo i suoi principi), per poi mostrare impietosi gli inganni e le debolezze (il sovrannaturale è tutto una montatura ma anche il medico ci fa una brutta figura, cadendo come un pivello nelle "illusioni").
L'idea che ne viene fuori è di un mondo imperfetto in cui tutto può essere vero come può essere falso, dove c'è un'immagine esteriore e una effettiva che dimostra come quella pubblica fosse ingannevole. Su tutto domina la sincera, profonda e spassionata ricerca di Bergman di esaminare i tanti perché e i dubbi dell'esistenza umana. Esiste effettivamente qualcosa che non riusciamo a percepire con i sensi (in sostanza Dìo)? Esiste l'amore? Possono due persone riuscire a stare insieme, amandosi reciprocamente? A cosa serve la vita? Che significato e ruolo ha la morte?
Bergan si affida all'arte di Shakespeare per questi suoi film. Dal banale si finisce in maniera naturale in meditazioni universali. Si propongono due piani, uno alto e uno basso che interagiscono fra di loro, rappresentando la grande varietà del reale (compreso il comico). Ci sono alcuni personaggi sui generis (qui un attore che sta per morire) che danno un tocco "speciale" e artistico notevole.
Il teatro quindi è l'arma vincente di Bergman, il teatro però non nella sua forma esteriore ma nella sua essenza artistica, cioè di espressione concentrata e intensa di vita umana. La mdp non fa altro che riprendere il concentrato artistico e spirituale della vita umana in forme eleganti, spontanee e studiate allo stesso tempo, estremamente efficaci e affascinanti…

Magie ou technique ? peu importe en fait. Si Vergelus y voit un tour de passe-passe digne d’un saltimbanque, pour Bergman c’est le cinéma, tout simplement. On pourrait voir en Vergelus le critique de cinéma, fasciné mais qui dans un même temps veut disséquer l’auteur de son vivant, effacer la magie en nommant et expliquant chaque chose (1).

Vergelus déclare que son rêve est d’autopsier Vogler, lui ôter les yeux, le cœur, peser son cerveau. Il veut arracher le masque de l’artiste, découvrir ce qui se cache derrière. Trouver dans sa chair même l’explication des rêves qu’il diffuse à son public. Tout n’est que supercherie et mensonges, doubles fonds et trucages, déclare Mr. Aman, l’assistant de Vogler qui, nouveau tour de passe-passe, se trouve être sa femme. Si l’art appelle de telles tromperies, celles-ci accablent l’artiste, détruisent tout autour de lui, l’enferre dans une vie dont il ne voulait pas et dont il ne peut s’échapper.

Johan Spiegel, un acteur mourant recueilli par la troupe, reconnaît immédiatement le comédien en Vogler, il sent instinctivement qu’ils sont du même monde, celui de la représentation et du mensonge. Tous deux portent un masque et tous deux en souffrent. Pour fuir cette mascarade, ils doivent retrouver leur vrai visage mais le prix à payer est la perte de leur talent, la mort de l’artiste. Spiegel, en frère d’arme, offre à Vogler son visage de mourant, ne cachant rien de ses émotions, lui offrant LA vérité ultime, celle du trépas. L’acteur à force de vouloir arracher son masque, creuse jusqu’à l’os et en meurt. Pour se retrouver, il ne voit que la séparation de sa chair et de son esprit. Il en appelle à une lame qui viendrait lui arracher les entrailles, la langue, le sexe, afin que son âme s’envole au dessus de ce corps devenu inutile, panoplie, déguisement, peau qu’il ne reconnaît plus. Mais où se situe la vérité ? Le faux, l’apparence, la fiction, ne sont-ils pas aussi tangibles que les autres manifestations de ce qu’il convient d’appeler le réel ?

Doubles, echoes, prismatic reflec­tions, and paradoxes abound in The Magician—appropriate for a film about the charlatan nature of creativity that emerged from what Berg­man described as one of the finest times of his life, a period of great collaborative endeavor working in the theater. A slippery ambivalence inflects not only the film’s themes and motifs but also its form—which may not, of course, have helped its critical standing. Despite the widespread success of Smiles of a Summer Night (1955), many never quite took to the idea that Bergman could be funny. As for his working in genre . . . But it’s more complicated than that. The Magician is a comedy—but one about doubt, despair, humiliation, exploitation, vengefulness, death. It uses horror conventions to virtuoso effect, but with tongue carefully concealed in cheek, to expose the illusionistic deceits not only of that genre but of all film, theater, and art. Neither outright comedy nor straight horror, impossible to pin down simply as an art movie or as popular entertainment, The Magician is admirably rich and strange—and that’s probably why it’s seldom given its due. Time, then, to return to my assessment of its ending as surprisingly affecting. For all its generic slipperiness and its ambivalence toward an artist’s relationship with audiences, collaborators, critics, and him/herself, the film ends on a sudden, unexpected note of sunny (albeit temporary) triumph for Vogler and his partners in the art of illusion. And so it should. Notwithstanding the lies they’ve told, they have entertained us, and deserve our goodwill. 

domenica 26 agosto 2012

Frida - Julie Taymor

la musica, le immagini, i colori, i quadri, le ambientazioni, la partecipazione dei fratelli Quay, e bravi attori, Panzon e Frida su tutti, ne fanno un film che non si dimentica presto.
se vi è sfuggito, cercatelo, merita - Ismaele




Biopic Hollywood Style con improvvise e impressionanti aperture di ferocia. “Frida” è due film: quello, purtroppo breve, fatto solo di sprazzi ed emozioni, di Julie Taymor, e quello, che vorrebbe essere sontuoso ma è solo pomposo e improbabile, targato Miramax e, forse, Salma Hayek: probabilmente questo film non aggiungerà molte frecce all’arco della sua popolarità. Lungo, dettagliato, minuzioso nella rievocazione dei quadri della pittrice messicana, molto - troppo - parlato, si trascina abbastanza penosamente. Alcuni dialoghi sono al limite del ridicolo. L’apparizione di Trotsky e la sua avventura con Frida puro kitsch. E poi, ogni tanto, riappare la violenza barbara e sofferta che caratterizzava il “Titus” diretto da Julie Taymor: il momento dell’incidente in autobus che segna il fisico di Frida per tutta la vita che si trasforma, sul letto dell’operazione, in un agghiacciante balletto di scheletri; il viaggio a New York di Frida con il marito Diego Rivera, che appare tra i grattacieli disegnati come King Kong. Sono piccoli colpi di genio (realizzati dai fratelli Quay), e altrettanti colpi al cuore, che fanno rimpiangere il film che non c’è.

Piuttosto vivace dal lato visivo, questo secondo film diretto dalla polivalente Julie Taymor (Titus) è invece scritto come un noiosissimo melodramma strappalacrime e usa le (comunque belle) musiche come una telenovela brasiliana. Se doveva esserci della critica socio-politica, la cosa è andata persa; se doveva essere un’efficace ricostruzione della tribolata vita della pittrice messicana, il film è tutto tranne che efficace.
Pur essendo composto da nomi piuttosto grossi, con apparizioni speciali di gente come Banderas e Norton, il cast offre una prova piuttosto scialba, con l’eccezione dello strabordante Alfred Molina. Le uniche cose che colpiscono il cuore dello spettatore sono le sequenze animate realizzate dai bravissimi fratelli Quay, che danno vita ai quadri della Kahlo e creano la sequenza, davvero impressionante, dell’operazione dopo l’incidente…

…Frida, oggi considerata forse la più importante pittrice moderna, è rimasta sconosciuta fuori dal Messico fino alla metà degli anni ottanta. Le sue opere particolarmente crude e realistiche sono totalmente dominate dai suoi sentimenti e dal trauma dell'incidente (con tutte le sue ripercussioni). La realizzazione del film è stata effettuata con il patrocinio dello speciale fondo istituito in suo nome in Messico, ed infatti la pellicola ne ha sicuramente beneficiato, avendo potuto girare direttamente sul luogo invece che in studio. Il risultato finale è sicuramente convincente anche se forse lo è meno l'interpretazione della Hayek, che, sfruttando una certa rassomiglianza fisica, riesce anche ad essere volitiva come la vera Frida, ma spesso si "dimentica" di essere storpia. C'è comunque da considerare che l'attrice messicana è circondata da una serie di mostri sacri che farebbero impallidire chiunque.
Molto particolari, ed apprezzabili, gli inserti allegorici che la Taymor inserisce in alcuni momenti della pellicola a sottolineare situazioni chiave della vita di Frida, come anche la presenza dei quadri della stessa pittrice, l'uso del bianco e nero in alcune scene fuori dal Messico ed il "filmino di presentazione" dell'America, con Diego nelle vesti di King Kong (indimenticabile).
Nel complesso un film fresco ed interessante…
Diré entonces que lo que más me gustó de la película que vi es el gozo. Descubrir a una Frida alegre, risueña, paseadora, bailadora, parlanchina y tomadora, consiguió que se borrara de mi esa personificación del sufrimiento que hasta antes tenía de la pintora. Esa Frida tan gozosa caracterizada por Salma Hayek, no me dejó ninguna duda de que en vida la pintora sufrió bastante, pero al mismo tiempo, me dio a entender que aunque la vida parecía empeñada en hacerla desgraciada, a Frida Kahlo no le dio la gana serlo…

sabato 25 agosto 2012

Oscar et la dame rose - Eric-Emmanuel Schmitt

la storia di Oscar e Rose, con Max von Sidow, direttore della clinica (come anche in “Shutter Island”).
mi ha ricordato "Camino", di  Javier Fesser, solo che "Oscar et la dame rose" è meno "cattivo", più fiabesco.
tenere a portata di mano i fazzoletti.
Oscar vi resterà dentro, sicuro - Ismaele




I was fortunate enough to ask Schmitt about both Von Sydow and Legrand. Schmitt said Legrand has been a friend of his and a fan of the book for years (OSCAR was a play, then a novel, now a film) so it was he who told Schmitt he wanted to score the movie. The music is wonderful and has an important place in the picture (75 minutes were recorded and used). Its "fairy tale" quality at times evokes the scores for the films of Jacques Demy. As to the film, it's competently helm-ed, although no masterpiece. You cannot help but be moved to tears by the story (tackling the touchy subject of the illness and death of a child) and the performance of young actor Amir. Michèle Laroque was an obvious choice for the role, hers is a character of many flaws every spectator can relate to, and the role allows her to switch from comedy (mostly) to drama (a bit). Max Von Sydow is wonderful as he always is, although at 80 maybe a bit old to play a working doctor in a children's hospital... (He seems to also play a doctor in Scorsese's forthcoming SHUTTER ISLAND, and in truth has played other doctors throughout his career, like in AWAKENING for example). Von Sydow speaks his part in French (he has both French and Swedish nationalities), and Schmitt said he also wanted to be part of the project because he had read and liked his books. His role as Dr. Dusseldorf is quite important, not merely in the background, which was a pleasant surprise: his dignified, tall, authoritative presence is always a plus…

Fidèle à son roman, le cinéaste retranscrit admirablement à l’écran l’essence même de son histoire : l’analyse singulière du comportement humain face à la mort. La répartie de Madame Rose, naturelle et provocante, exprime les mots que tout un chacun aimerait trouver face à l’inévitable. Elle symbolise pour le malade la considération qu’il est encore bel et bien vivant. Les dialogues, magnifiquement écrits, sont aussi troublants qu’efficaces. Un cynisme salvateur qui permet à Oscar de vivre les derniers jours de sa vie comme si il s’agissait d’une vie entière…

Oscar et La Dame Rose is a touching film: beautiful, sad while full of wisdom.  It’s unlikely that you will finish watching it without tears in your eyes. While some may prefer to skip this film, claiming that movies are supposed to only entertain and they don’t need more sorrow in their lives –yet even to them I would not hesitate to recommend the story of the Oscar. It is one you won’t forget long after the final credits roll…

"Filme de profundas raíces religiosas, sabe el cineasta eludir los momentos más duros de la historia, aunque la mayor parte de los espectadores no soltará el klinex hasta que acabe la cinta" (Carmen L. Lobo: Diario La Razón) http://www.filmaffinity.com/images/full_review_icon.gif
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"Película calificable como imprescindible, porque puede proporcionar una aventura interior que nos induzca a replantearnos muchos lugares comunes" (Lluís Bonet Mojica: Diario La Vanguardia) 
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"El film podría haber sido más efectivo, más humano y realista, si no se dejara llevar por una iluminada manera de resolver esta nana terminal, pero esperanzadora. Si hubiese incidido más en la rabia (...) habría estado mejor" (Fausto Fernández: Fotogramas) 
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"Filme de catequesis light, de una religiosidad que se contenta con que no confundamos a Dios con Papá Noel (...) la extraña lucha de opuestos que amalgama no alcanza la potencia de 'Camino' (...) Puntuación: **1/2 (sobre 5)" (Carlos Marañón: Cinemanía

L'homme qui marche (L'uomo che cammina) - Aurélia Georges

il film è straordinario, merito della storia, della regista e sopratutto di César Sarachu, un attore che ha lavorato con i fratelli Quay ("The PianoTuner of EarthQuakes", altro film straordinario).
"L'homme qui marche" è davvero un film unico, coinvolgente e a tratti doloroso.
e unico film di Aurélia Georges.
provateci, vale davvero - Ismaele
PS: la persona raccontata è esistita davvero (qui)




Guardare un’opera prima ti mette addosso una curiosità particolare. Speri sempre di scoprire un autore finalmente originale che abbia delle ottime storie da raccontare. Spesso rimani deluso dalla presunzione di registi che, solo perché riescono a far fare dei giri particolari alla macchina da presa rimanendo in equilibrio su una sola gamba, credono di far parte tra i grandi del cinema.
Per fortuna non è stato il caso di questo piccolo gioiello cinematografico della giovane regista francese Aurélia Georges “L’uomo che cammina” (L’homme qui marche). Da subito capisci che la pellicola ha una sua originalità, una messa in scena minimalista che non tende all’accumulo ma mostra solo il necessario con atmosfere che fanno ricordare i soggetti di Kaurismaki; dei personaggi che ti mettono addosso un’istintiva curiosità nel voler comprendere da dove provengano, come il protagonista di questo film che sembra uscire direttamente da una delle opere migliori di Giacometti (L'uomo che cammina appunto)…

L'Homme qui marche souligne en tous cas bien cette lente érosion de la "sociabilité" au profit de l'indifférence. Chaque personnage, essentiellement féminin, croisé par Viktor Atemian contribue à révéler une partie de son mystère, mais sans jamais le dévoiler tout à fait. Cet Homme qui marche continue assurément sa route dans notre souvenir.

…L’homme qui marche (titre qui rappelle forcément celui du film de Georges Perec et Bernard Queysanne, Un homme qui dort, tourné en 1974, l’année où commence L’homme qui marche) est l’histoire d’une longue et lente marche, dans un monde dur, d’un homme fragile vers sa chute, une chute annoncée, écrite, subie, inévitable, racontée sans heurts, sans coups d’éclat, sans effets de manche, sans dramatisation excessive, par petites touches émotionnelles et descriptives qui finissent par faire monter l’émotion sans aucune putasserie d’usage. C’est aussi une histoire sur les renoncements : à la réussite, à l’argent, à la vie bourgeoise, à la joie et pour finir à la vie. L’homme qui marche (titre qui rappelle forcément aussi celui des fameuses sculptures de Giacometti), c’est l’humanité ramenée à l’essentiel : un mouvement absurde et émouvant.

Le personnage principal de ce premier film triste et beau, nous le connaissons. Pas l'écrivain Vladimir Slepian, de la vie duquel l'intrigue est vaguement inspirée, mais ce genre d'hommes pudiques et sans concession pour leur art, que l'on voit souvent à Paris. Ils peuplent les couloirs des universités et les salles des restaurants universitaires, surtout à Bullier le week-end, des hommes seuls, qui remplissent leur isolation sociale par la connaissance accrue sur un domaine scientifique ou culturel ou par des discours politiques nébuleux. L'histoire de cet homme en marge de la société, elle pourrait peut-être aussi un jour être la nôtre, ce qui nous inquiète autant qu'il rend l'impact émotionnel infiniment plus personne…
…Enfin, César Sarachu est simplement magnifique dans le rôle d'un homme trop discret. Il y sait traduire d'une façon tout à fait bouleversante, l'obsession littéraire autant que le besoin de rester à distance de son entourage et de se réinventer pour occulter les culs-de-sac de la vie!

venerdì 24 agosto 2012

Maratonci trce pocasni krug (The Marathon Family) - Slobodan Sijan

divertente, del genere bare e funerali, ma non solo.
alcune scene sono esilaranti, non tutto, meno male, se no di rischia di morire dalle risate.
c'è anche il passaggio dal cinema muto a quello sonoro, l'ambientazione è in quegli anni.
merita - Ismaele



Cosa ti ha colpito?
- Mah, tutto! Il maiale nel pozzo!
- serbstick immorale fumettistico, non male.
- cinico, grottesco, ironico e autoironico nei confronti della sua cultura (balcanica)
- la demenzialità balcanica
- la vena ironica e folle che comanda l’intera trama
- storia originalissima, la rivincita finale di Mirko, un film costruito su pochissimi personaggi, quasi una piece teatrale
- sembra un Kusturica (ha 10 anni di meno ndW) senza la genialità dinamica, cartoonesca, parodistica, poetica del gran serbo. Teatro parrocchiale della violenza, non sempre le pellicole perdute della storia del cinema valgono la “pena” del recupero…
- ho perso il collegamento tra commedia assurda e condanna della guerra… (infatti non c’era - ndW)
Altro:
- beo beo!
- vicino alle situazioni di “Gatto nero, gatto bianco”
- bello, molto divertente
- nel film c’erano molti spunti non sviluppati, non portati a termine, comunque molto divertente

When the country’s leader is assassinated in the opening footage, his death mirrors that of Pantelija Topalovic in that it leaves his citizenry – his “children” – without an identified heir to the throne. Much of the story after that is focused on the Topalovic men struggling for control over the family business—even though, ironically, they’ve doomed themselves to some financial despair with the installation of a poorly functioning crematorium, which erases the need for coffins altogether. It is Mirko, after Pantelija’s will has been read – the old matriarch, in a fit of rare wisdom, bestows everything on himself – who takes control over his disorganized clan in the film’s final few scenes and leads them off to face Python and his gang.
Similarly, the scene immediately following the opening assassination footage is of Mirko scouting out the apartment of a dying man from the street. Dressed as a priest, he is waiting for this man to expire so he can swoop in, at his family’s insistence, and take his measurements – a crafty and opportunistic way of securing new business – making the first images we see after Alexander’s bloody body framed by the circular lens of a telescope, recalling the irises and masks of silent film. When Mirko weasels his way into the apartment, he discovers a man whose size is unprecedented: his legs jut out between the bars of the bed’s footboard, and Mirko must draw reference marks on his knees when his measuring thread runs out. Laki doesn’t trust the figures his son brings back, attacking him with a plank of wood and denouncing him as an idiot. And it’s only those final few moments, when Mirko escorts his family into the future – defeating the embodiment of silent film in an Arthur Penn-style flood of violence and driving off into the unseen sunset – that they are brought together as one and disappear into the future.

The story about a family of undertakers is full of anarchic dark humor, on the verge of Monty Pythons and South Park, like when the great-great-great grandfather Pantelija dies and leaves all his inheritance to himself, or fried meat from crematorium that gets eaten by the family or when Laki was driving a car and unknowingly, accidentally hit a man, then stopping and wondering "what's he doing on the ground". "The Marathon Family" is in some circles considered "one of the best Serbian films of all times", but that's rather exaggerated for only a good film filled with sometimes banal humor and thin characters that inevitably crosses into misogyny, with a bizarrely pretentious end. "The Marathon Family" has a lot of genius scenes, but it's simply too morbid for some tastes.

giovedì 23 agosto 2012

35 rhums - Claire Denis


Rottentomatoes ha il 96% di recensioni positive, se a qualcuno importa.
a me è piaciuto moltissimo, non conoscevo Claire Denis, mi mancava.
un film tutto da vedere e ascoltare, con tante cose, governate benissimo dalla regista.
attori bravissimi, con Alex Descas ancora di più.
un gran film, promesso - Ismaele





…Cura dei particolari quasi maniacale - nell’arredamento della cucina come nell’abbigliamento dei protagonisti che cambia con i cambiamenti delle loro vite - colonna sonora dei Tindersticks, sceneggiatura scritta a quattro mani dalla regista con Jean-Pol Fargeau, fotografia di Agnes Godard: 35 Rhums è un film in cui lo sguardo della regista si muove solo in apparenza da osservatore esterno, in realtà esplorando l’insidioso territorio della complessità dei rapporti all’interno della famiglia con una grande profondità e rigore narrativo…

35 rhums non è un’opera formalmente estrema, molto più interessata ad alcune dinamiche e soprattutto legami che la storia porta con sé. E la storia di Lionel e di sua figlia Joséphine -che nella loro quotidianità quasi di coppia hanno costruito un mondo chiuso e immobile- è una storia senza tempo, totalmente azzerata nella sua componente dinamica, lontana anni luce dalla realtà che li circonda. La città si muove intorno sinuosa e indaffarata, colma di rumori e suoni, corpi che si agitano e treni mai fermi; Lionel e Joséphine invece non si vogliono mischiare se non con loro stessi, come quelle lavatrici che riempiono ognuno a metà con i propri vestiti e poi l’acqua penserà a miscelare. Ed è come al solito abilissima la Denis a intessere quel tessuto sonoro stratificato e complesso ove i personaggi scivolano dolcemente, sospesi e incantati da un’irrealtà quotidiana umida e gravida. Quella stessa quotidianità da cui la coppia sembra quasi esser costretta a fuggire, in una deriva tipica del cinema della Denis (il viaggio come sinonimo di fuga), tra i venti e le dune di Travemunde -“la spiaggia di Amburgo”- e le decadenti magnificenze dei Buddenbrook (Lubecca sembra quasi una tappa essenziale in questo viaggio, con la storia della “famiglia” per eccellenza della letteratura a fare da sfondo alle avventure dei due…). E certo non va assolutamente dimenticato lo sfondo etnico in cui è ambientata la storia -vicino per affinità ma distante come partecipazione alle atmosfere del cinema di Abdelatif Kechiche- dove lacerti d’Africa emergono impetuosi, soprattutto nella musica.

Here is a movie about four people who have known one another for a long time, and how their relationships shift in a way that was slow in the preparation. The film makes us care for them, and so our attention is held. I've seen films where superheroes shift alliances, and I only yawned...
You can live in a movie like this. It doesn't lecture you. These people are getting on with their lives, and Denis observes them with tact. She's not intruding, she's discovering. We sense there's not a conventional plot, and that frees us from our interior movie-going clock. We flow with them. Two are blessed, two are problematic. Will all four be blessed at the end? "35 Shots of Rum" is a wise movie, and knows that remains to be seen.

Un elemento central es la relación inmensamente tierna y no exenta de erotismo entre padre e hija. La prodigiosa escena del baile en el bar funciona como encrucijada formal de la película, presente absoluto de cuatro personajes en el que se dan cita sus posibles destinos. El bar es un lugar de reunión que acoge a los infortunados a los que se les quedó el auto en una noche de lluvia, malográndoles el concierto al que se dirigían. Después de intentar en otro local, la puerta de este se abre como una bendición y la dueña, mujer de labios carnosos y mirada sumisa, los recibe con toallas, pone música y prepara la cena. Mientras se oye Siboney, todos bailan simultánea o sucesivamente, mientras el montaje pauta el espacio fílmico según las miradas de los personajes, que van y vienen con epicentro en las de la hija y del padre, ambos tironeados entre el cariño que se tienen y el deseo del que son objeto y sujeto en ese espacio concentrado.

mercoledì 22 agosto 2012

Varljivo leto '68 - Goran Paskaljevic

anche in Yugoslavia c'è stato il '68 e questo film può raccontare il nostro '68, mutatis mutandis, in una famiglia borghese del tempo.
divertente e amaro, non è un capolavoro, ma merita - Ismaele



This movie will always stay in my memory as one of the funniest and best comedies I ever saw back in former Yugoslavia. It centers around the eldest son (Stimac) of a family led by a strict authoritarian father in Danilo Bata Stojkovic's magnificent incarnation. The young Petar struggles to graduate from high school mainly for one reason-he is so infatuated with his Marxism teacher that he cannot think of anything else but her during the classes. So when the graduation time comes, he lies to his father about passing in all the subjects while in reality flunking in Marxism…

martedì 21 agosto 2012

¡Qué viva México! - Sergei Eisenstein

il film ricomposto da  Grigori Alexandrov, nel 1979, sulla base del girato nel 1932 da Sergei Eisenstein, in Messico.
per quello che è nel film, e per quello che poteva essere, un capolavoro, sulla fiducia.
alcune immagini e sequenze sono epiche, immense.
gli occhi di Sergei Eisenstein sono bellissimi.
guardalo, non te ne penti - Ismaele



Eisenstein ayant perdu la propriété de ses rushes, ce n'est qu'en 1979 qu'Alexandrov réalisera une version « la plus proche possible de ce que voulait Eisenstein ». Ainsi monté,¡Que Viva México! apparaît comme un mélange subtil de fiction et de documentaire qui replace le Mexique d'aujourd'hui dans la force de son Histoire. On peut supposer que les parties rituelles, un peu longues, auraient certainement été montées plus courtes si le film avait été complètement tourné. Ces parties opposent la vie et la mort, mort qui revient sous différentes formes dans les rites et les coutumes. Les images sont superbes. Mais c'est l'épisode « Maguey » qui est le plus remarquable, une histoire assez simple mais remarquablement mis en images. Il y a, dans cet épisode, une puissance et une force qui évoquent les plus grands films d'Eisenstein. Il ne fait nul doute que ¡Que Viva México! aurait été un très grand film s'il avait été achevé et monté par Eisenstein….
…Montage d'Alexandrov de 1979 en 4 parties :
Prologue : relie le Mexique d'aujourd'hui à son histoire, notamment la civilisation Maya. Eisenstein met en parallèle les têtes sculptées de divinités et des visages de mexicains vivants.
1. Sanduga : montre les rites actuels du mariage à Tehuantepec.
2. Fiesta : rites de célébration de la Vierge de Guadalupe suivi d'une corrida. Etude de la transcription du christianisme au Mexique.
3. Maguey : met en scène une histoire tragique se déroulant dans une hacienda sous la dictature de Porfirio Díaz. Le maitre des lieux viole et séquestre la fiancée d'un jeune péon qui organise sa vengeance.
4. Soldadera (non tourné) devait mettre en scène le soulèvement de 1910, prélude à la Révolution mexicaine, avec une mise en avant des femmes et plus généralement du peuple, tentant ainsi de faire un rapprochement avec la Révolution soviétique.
* Epilogue : montre la célébration du Jour des morts, légèrement satirique.

Mexico learned about Mexican history and its people through artists like Diego Rivera, David Siqueiros and Jose Orozco, and it's obvious from the start that Eisenstein was enamored with the country. The genius of the film's Prologue is how Eisenstein successfully evokes an eternal Mexico in suspended cultural animation. The entire episode takes place in the Yucatan, a beautiful region of Mexico seemingly possessed by its stone gods, pagan temples and marvelous pyramids. Here, "time flows slowly" and Eisenstein's images evoke a certain near-frozen sense of evolution by placing the film's modern Mexicans beside their ancient stone counterparts. Immediately, the director has set up a fascinating struggle between the past and the present that permeates the rest of the picture and is indicative of what Eisenstein considers both the country's strength and devastating weakness…


In short, the film is a strange, at times enthralling, but fundamentally unsatisfactory encounter between the Soviet avant-garde impulses of the director, the Hollywood and commercial imperatives guiding its backer Upton Sinclair, and the images of a revolutionary indigenism on which both converge.

Finally, as Gilles Deleuze quotes Fellini saying, "the film is over when the money runs out." Eisenstein went over budget, Sinclair couldn't raise any more cash, Stalin refused to buy up the footage shot, and the project languished, to become quite literally a museum piece, in the custody of New York's Museum of Modern Art

…In the same year the great Mexican painter Diego Rivera also visited the Soviet Union. He and Eisenstein became friends, and Rivera spoke often about Mexican history, architecture and art. He believed that it was important for a country to preserve and draw from its cultural past, remarking at one point that it was a mistake for the Soviets to condemn their tradition of icon painting. This kind of thing went against the grain, and by the time Rivera left a year later, he was out of favor and sharply critical of Soviet ideology.
His influence on Eisenstein was profound. The young filmmaker's interest in Mexican culture now became an obsession, and for the first time the idea came to him of doing a film about Mexico. Mexico seems to have represented something vital and exciting to Eisenstein. Perhaps it symbolized a freedom that he had not felt since childhood. The call of Mexico might have been in part the call of parts of himself - imaginative, sensual, spiritual - that he had denied and that was denied validity in the new revolutionary culture. He was apparently not aware of any of these implications, but he continued to dream…

lunedì 20 agosto 2012

Classifica 2011-2012 (al cinema)

anche quest'anno faccio una specie di classifica dei film visti al cinema, non sono tantissimi, ma qualcosa di buono c'è (affianco a ogni titolo c'è il link alla piccola recensione che avevo scritto a suo tempo) - Ismaele



Detachment - Tony Kaye   qui

Hugo Cabret - Martin Scorsese     qui

Cesare deve morire - Paolo e Vittorio Taviani   qui

C'era una volta in Anatolia  - Nuri Bilge Ceylan    qui

Io sono Li - Andrea Segre    qui

Cave of forgotten dreams - Werner Herzog   qui

Quasi amici (Les Intouchables) - Olivier Nakache ed Éric Toledano      qui

Quella casa nel bosco - Drew Goddard   qui

Diaz - Daniele Vicari     qui

Shame - Steve McQueen   qui e qui

(aggiungo Hunger di Steve McQueen  qui, che avevo già visto, ma non al cinema)

domenica 19 agosto 2012

Herencia - Paula Hernández

una bella opera prima, Buenos Aires, la nostalgia, il viaggiare, la tradizione, amori che nascono, manca Ricardo Darín, un po' ricorda "Un cuento chino" ("Cosa piove dal cielo?"), una decina d'anni prima.
bravissima Olinda.
merita, merita - Ismaele

 



El espectador, en distintos momentos de la proyección, sabrá más o menos que los mismos personajes (intuirá quién desea a quién, por qué tal hace lo que hace) pero en cuanto a sus historias personales, Olinda, Peter, Luz y Federico tienen vida propia. Y por eso son impredecibles…

This is a lively and colourful comedy with heavy shades of Amelie in its use of fate, friendship and romance to bind a group of disparate characters, each of whom has a charming idiosyncrasy. Filmmaker Hernandez has a great time with the language chaos (German, Italian, Spanish and English all merge hilariously), while her script gently pushes each character out of what they expected for their lives into something much better. Yes, it's all extremely cute and tidy, and not terribly thrilling (the one sex scene is possibly the most boring cinematic depiction of lovemaking ever put on film). The script also drifts heavily into wistful nostalgia and soggy sentiment. But the characters are vivid enough to keep us entertained, nicely played and blessed with wacky details. The concluding message isn't too bad either: If you don't find what you're looking for, take a chance! Not exactly earth-shattering, but very sweet.

 En cuanto a la labor de la realiza-dora, es necesario recalcar su habili-dad para manejar los momentos y los espacios que permitieron a sus acto-res lucir cómodos y desenvueltos con sus respectivos papeles. Además, la película está muy bien narrada, invita siempre a quedarse, a que-rerla. Hay un excelente uso del humor, gran dedicación por crear todo un mundo desde un pequeño rincón de la ciudad y para componer personajes creíbles (y fundamentalmente queribles), mediante indicios que surgen naturales, posibles, y no resultado de una imposición del guión. Quizás la mayor virtud de Hernández sea su sensibilidad para crear climas en el tratamiento de las rela-ciones humanas. A través de la siempre buena ubicación de la cá-mara para capturar miradas, gestos, detalles, más la calidez de la puesta en escena y la riqueza cotidiana de las situaciones y diá-logos que se presentan, logra generar intensos lazos visuales y sensoriales con el espectador…

"Herencia" no es solamente el título de la ópera prima de esta joven argentina; herencia es el legado impreso que llevan los protagonistas y que por mucho que traten, no se desprende de ellos; herencia es la marca que les hace vivir el presente, añorando su pasado y temiendo a su incierto futuro.
Herencia es lo que les mueve y lo que les guía. Herencia es garantía de futuro y aval de sueños conseguidos. Parafraseando a Machado: Hoy es siempre todavía. Toda la vida es ahora. Eso es "Herencia".

Bad Taste (Fuori di testa) - Peter Jackson

film unico, con una sceneggiatura che tiene insieme una storia folle. 
personaggi sopra le righe, per divertire ancora di più, non sai mai se gli agenti della squadra speciale stanno per scoppiare a ridere, originale il personaggio del finto prete imbroglione, una bella statuina lì per caso.
da non perdere - Ismaele



QUI il film completo


Chi ha conosciuto Peter Jackson solo con Il signore degli anelli potrebbe avere delle belle sorprese se pensasse di recuperare i suoi film precedenti e soprattutto se si imbattesse in questo Fuori di testa (Bad taste ). Perchè non potrebbe esserci nulla di più lontano dalla trilogia di Tolkien. A cominciare dai soldi spesi. 
Fuori di testa infatti è costato poco, veramente poco; primo film di Jackson, in verità è stato girato in 16mm e poi "gonfiato", fu pagato con i soldi che il regista guadagnava con il suo vero lavoro e soprattutto fu girato con l'aiuto di una troupe composta da suoi amici. I pochi soldi sono visibili anche negli effetti speciali, decisamente artigianali (vedere per credere il gabbiano a pile e soprattutto la secchiata di sangue -e non stiamo parlando per metafore!-), ma comunque efficaci nel procurare il massimo disgusto nello spettatore. Ma non possiamo comunque etichettare Bad Taste come un qualsiasi splatter ; le intenzioni di Jackson sono altre. Lui vuole farci ridere. E ci riesce. La trama del film infatti è quanto di più delirante di sia: un gruppo di salvataggio da invasioni aliene, formato completamente da idioti, combatte contro i suddetti alieni, ovviamente carnivori (e finalmente scoprirete anche il perchè), e innegabilmente idioti anch'essi…

Premier film écrit, produit, réalisé et interprété par Peter Jackson, dont la carrière est aujourd’hui couronnée de succès, Bad Taste est une petite production indépendante qui allait voir le jour en Nouvelle Zélande vers la fin des années 80. A la base imaginé comme un court-métrage de 20 minutes, Bad Tasteallait finalement se changer en un long métrage. Un projet au tournage chaotique d’une durée d’un peu plus de quatre ans, pour lequel le réalisateur et ses amis sacrifièrent leurs week-ends et périodes de congés. Pourtant, malgré les nombreux problèmes qui s’accumulent au fil des ans, le film allait voir le jour et rencontrer un succès mérité, tout en relançant un certain intérêt pour le cinéma gore excessif et bien craspec, aux côtés d’autres petits titres comme Street Trash ou Redneck Zombies, et s’immiscer sans trop de problème au milieu de toutes les comédies horrifiques qui envahissent alors les vidéo-clubs…


Probablemente la más insoslayable de las películas de culto de los años '80, es un prodigio de montaje y maquillaje barato. La trama se centra en una invasión de extraterrestres que han conquistado Nueva Zelandia y planean exportar seres humanos a su planeta para establecer una cadena de centros de comidas rápidas (es decir hamburguesas). Para detenerlos son llamados "los Muchachos" (Peter Jackson, Terry Potter, Peter O'Herne y Mike Minett) quienes, como buenos mercenarios, gozan del sangriento trabajo de masacrar a cada alienígena. El título del filme puede deberse posiblemente al sabor del alimento que están acostumbrados a comer los extraterrestres y además al gusto general del filme, pródigo en sangrientas escenas de decapitaciones, desmembramientos, amputaciones, explosiones de cerebros y emanaciones de tripas y fluídos vitales.

sabato 18 agosto 2012

Requiem - Alain Tanner

tratto dal libro di Tabucchi, un film difficile, ma si può vedere.
non mi ha coinvolto più di tanto, ma sono arrivato alla fine, Lisbona anche nel film è affascinante, forse è necessario vederlo ancora, ma il tempo lo deciderà.
Tabucchi e Pessoa (qui) per i miei gusti stanno meglio nella pagina - Ismaele


QUI il film completo in francese

A Dumasian twenty years later the director of "La Salamandre" and of "Jonas qui aura 25 ans en l'an 2000" has done it again, he has given us another major masterpiece, this time based on a remarkable novel by Antonio Tabucchi.
An attempt to account for and cope with the unpredictable, irrational and painful twists and turns of life, leads this film unambiguously to the doors of poetry, ultimately "personified" in it by the ghost of Fernando Pessoa. Never before has a film so remarkably embodied the very essence of the poetic art. Tanner has found its exact cinematic counterpart. This film does not lecture or philosophise, it engages the viewer head on in a both deep and deeply moving fashion.

Les rencontres avec le passé se font toujours par le biais de personnages bien réels, une gitane, une restauratrice, une patronne de pension, un gardien de cimetière, un chauffeur de taxi... tous faisant partie de la culture de Lisbonne. C'est la ville par excellence pour parlé du passé, c'est la ville de la saodade, quelque chose qui a été mais qui ne plus être..., sentiment qui a marqué l'oeuvre singulière de Pessoa. Cet auteur qui n'a rien publié de son vivant est aujourd'hui à la mode, vous trouverez donc sans trop de problèmes matière à satisfaire votre curiosité…

…Le film est lent et confus: personnages réels et imaginaires s'entremêlent dans une sarabande que seuls les initiés pourront comprendre. Basé sur un livre d'Antonio Tabucchi, le scénario est profondément ancré dans l'histoire et la culture portugaise. Force est de constater qu'il nous passe largement au-dessus de la tête.

Alain Tanner legge Antonio Tabucchi e Fernando Pessoa e mediante queste letture legge e rilegge la città, rappresentata dai personaggi caratteristici presi dalla cultura lusitana. Il protagonista deambula durante dodici ore per una Lisbona molto particolare costruita a partire dalle letture, dai ricordi e dalle relazioni mentali e esistenziali oltre ai luoghi simbolici che la inscrivono nella struttura narrativa filmica. Una passeggiata che può ricordare Il cielo di Lisbona di Win Wenders, uno spazio che affascina tutti e ha l’anima propria e indipendente. Pensando produzione di Tabucchi, si può identificare e stabilire un doppio rapporto tra cinema e letteratura: da un lato l’arte cinematografica spesso esercita un’influenza sulla costruzione della sua opera, il valore delle immagini; e dall’altro il contrario, il fatto che i suoi libri vengano corteggiati da vari cineasti di diverse origine: l’italiano Roberto Faenza, il francese Alain Corneau, il portoghese Fernando Lopes e per ultimo lo svizzero Alain Tanner. Concisione e montaggio, due aspetti o due lezioni che l’arte del cinema gli ha insegnato. Una narrativa a cornice, una costruzione a montaggio: è così che si presentano e si mostrano i testi di Tabucchi, elaborati e costruiti su differenti immagini e piani che si intrecciano e ne formano altri.
Una delle questioni latenti tanto nel film quanto nel libro è il ruolo dell’arte che non deve tranquillizzare o dare risposte esatte e certezze assolute, ma sí disturbare e inquietare. La letteratura e il cinema, come le altre arti, sono delle forme di conoscenza. Il loro compito è interrogare e provocare l’individuo, non ammettendo un’unica verità. Tanner, nel recuperare le voci dell’ultimo incontro tra Paul e l’Invitato (Fernando Pessoa), amplia questa discussione per la settima arte. La pratica dell’attività critica è necessaria a tutti quelli che cercano di perfezionare l’esercizio intellettuale. Alain Tanner, con l’aiuto di Tabucchi, è riuscito a proiettare sul grande schermo sentimenti di inquietudine e desassossego che dominano l’atmosfera del libro.

Un uomo passa una torrida giornata estiva a Lisbona, incontrando alcuni fantasmi del suo passato nell’attesa di un misterioso appuntamento che avrà luogo la sera: quello con un altro fantasma, il poeta Fernando Pessoa. Non ho letto il libro, ma a occhio e croce qui c’è molto più Tabucchi che Tanner: lo scrittore sembra voler rivisitare ancora le sue personali ossessioni, ma il film coinvolge poco.

venerdì 17 agosto 2012

Covek nije tica (L'homme n'est pas un oiseau) - Dusan Makavejev

il primo film di Dusan Makavejev,  non completo come i successivi, ma già un gran film.
alcune storie e persone che si incrociano, in una grigia cittadina industriale.
amori che non nascono, alcol a fiumi, tristezza.
non facile, anzi, ma è un film che merita di essere visto - Ismaele





Certamente, sotto il profilo cinematografico, l’opera di Makavejev oltrepassa la visione delle cose genuinamente manichea del vecchio cinema jugoslavo: i suoi movimenti nervosamente plastici, l’influenza del cinema underground e di Godard, l’umorismo come esperienza interiore, i prodromi della geniale fusione tra materiale documentario e materiale riprodotto (in funzione dell’opera come film-saggio), e soprattutto la tecnica del processo sequenziale presieduto non dal rapporto narrativo ma dal rapporto emozionale tra le immagini…

The debut feature film of Yugoslavian director Dusan Makavejev, best known for his films WR: Mysteries of the Organism and Sweet Movie. These are the three films of his I've so far seen (and, along with Man Is Not a Bird, I also own two more in a recently released Eclipse box set). He's very clearly a unique director. Man Is Not a Bird is kind of a mixture of avant garde, semi-documentary film-making mixed with wry comedy, social realism of the sort you often see from countries behind the Iron Curtain and French New Wave stylistic touches. It's a real mishmash, but it works pretty well…

Man is Not a Bird is a wild, bold film, with remarkable hand-held camera work and a sly eye for human nature. It's more character-driven than plot-driven, though you shouldn't picture the typical European art-house fare. Makavejev paces this more like a Western, except the characters deal in sex, rather than bullets. In the backdrop is a poor industrial city, seen almost as a new wild frontier…

Man Is Not a Bird opens with a short monologue delivered by a hypnotist named Roko, who expounds for a few minutes on the folly of traditional superstitions that continue to dominate the consciousness of ordinary citizens even in an age when scientific research routinely debunked such notions. With calm determination, he lays out a clear presentation of just how easily the human mind can be swayed to believe things that are inherently irrational, even nonsensical when subjected to dispassionate analysis. Though it’s easy to agree with his verdict on the  absurdity of old wives tales and customs originating from Europe’s pagan past, what occurs over the course of the film remains so common and familiar to most of us that we can easily overlook Makavejev’s subsequent indictment of other forces, governmental and social, sexual and emotional, that also provoke humans to behave in ways that are no less deserving of ridicule, when stripped down to their essence...

Even in this early film, Makavejev is exhibiting a penchant for a freeform style, refusing to be locked down to any particular narrative aesthetic. The story takes many detours, seemingly going off track, but then coming back around to sew each added element into the main fabric. The most notable of these sidelines is the hypnotist (Roko Cirkovic) who provides an evening's entertainment by goading his volunteers into doing all manner of crazy things, like thinking they are birds and then watching them flail around on stage, unable to take to the air. Barbulović's wife directly references this stage act by telling her husband's lover how she believes that hypnotism is Barbulović's true talent, that all men lead women into a trance to get what they want. Man is Not a Bird extends this theory to include all social constructs. The need to work, political ideology, romance--these are all a form of social hypnosis, a great con to make us believe we are happy and that we can escape the mundane. Rakja seeks escape from love, for instance, only to have neither lover take her out of this tiny town. This is why man is not akin to birds, because man can't truly fly free…
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Makavejev's first feature is a delightful, typically eccentric concoction, centred very loosely indeed around a story about an engineer who visits a new town to assemble mining machinery. There his devotion to work fouls up his relationship with his beloved, while a fellow worker encounters problems when his wife discovers he has a mistress. A freewheeling kaleidoscope mixing comedy and social comment as it deals with both labour and sexual politics, not to mention many seemingly unrelated topics such as hypnotism and culture (there's a marvellous climactic scene with Beethoven performed in an enormous foundry while the heroine conjures her own ode to joy), it defies description but is extremely entertaining.
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