venerdì 4 luglio 2025

Un sogno chiamato Florida - Sean Baker

Moonee, Scooty e Jancey sono i bambini protagonisti di un'infanzia (in)felice, ai margini del sogno americano, risucchiati dall'incubo americano, che cresce ogni giorno.

Bobby (Willem Dafoe) e la mamma di Moonie li difendono come possono, in questa vita di stenti, nella quale un gelato è la felicità.

Bobby cerca di dare attenzione a Halley (Bria Vinaite) e a Moonie, fin quando è possibile.

e poi c'è la fuga di Moonie e Jancey, e noi speriamo che ce la facciano.

un film da non perdere, se vi volete bene.

buona (correndo) visione - Ismaele

 

 

 

QUI si può vedere il film completo, su Raiplay

 

 

 

…Già autore dell’interessante Tangerine, visto dalle nostre parti al Torino Film Festival, Baker ambienta il suo nuovo lavoro nei dintorni di Orlando, ovvero alle porte di Disney World. È proprio qui che tra motel-condomini dai colori confetto e a forma di castelletti fiabeschi, hanno luogo le vivaci scorribande estive della piccola Moonee (Brooklynn Prince) e dei suoi sodali Scooty (Christopher Rivera) e Jancey (Valeria Cotto). A gestire il caseggiato-motel c’è poi Bobby (Willem Dafoe), paziente custode e tuttofare che deve districarsi tra le marachelle dei bambini e quelle dei genitori (che non sono da meno), ridipingere il castelletto per mantenerne vivaci i colori, gestire con invidiabile fermezza sia il topless di una matura signora nella piscina condominiale che l’incursione in zona di un pedofilo.

E così, in questo paesaggio iperreale, tra Via dei 7 nani e il motel Futureland, villette ancora in costruzione abbandonate, gelatai a forma di gelato e venditori di arance a forma di arance, l’ineludibile vitalità dei ragazzini resta l’unica forma di residua di autenticità, l’ultima ribellione possibile a un regno di simulacri. Ed è proprio questo spirito anarchico dell’infanzia che Barker mira a trasmettere, grazie alla freschezza di un ben ritrovato cinéma vérité, che ben restituisce quel flusso energetico dirompente che tutto travolge.
Girato completamente ad altezza e velocità di bambino, Un sogno chiamato Florida è anche un film politico, che va a indagare quel socialismo innato nell’infanzia – qui obbligatoriamente adottato anche dai genitori per ragioni di indigenza – che raggiunge tratti quasi commuoventi (si veda la tecnica di acquisto e condivisione del gelato) e galvanizza lo spettatore tramite un costante attacco contro le figure del potere (il povero Bobby) e del benessere (i turisti), irraggiungibile per i personaggi del film.
Un sogno chiamato Florida rievoca dunque lo spirito dicapolavori sull’infanzia come Zero in condotta di Jean Vigo e I 400 colpi di Truffaut, mentre riflette su un territorio e i suoi nonluoghi (il motel-condominio, il parco divertimenti), emblemi di un’America che ha sostituito la “terra delle opportunità” con “un regno incantato” e dove gli ultimi indigeni sono relegati in “riserve” adiacenti l’attrazione principale e che ne evocano l’aspetto, ma solo per meglio certificare la loro emarginazione.

da qui

 

Caldo estivo.I turisti se la spassano a Disneyland ,ma in un motel del quartiere alcuni bambini vivono in precarieta' mendicando dai passanti un gelato ,mentre i loro genitori cercano di scovare un sistema per pagarsi l'affitto,su tutte la mamma (Vinaite) che con la figliola (Prince) non rispetta le regole della vita e dell'albergo in cui abita ,gestito da un grande Dafoe (nominato agli Oscar).Il bravo regista Sean Baker ritorna col suo sguardo curioso e empatico ,mostrandoci il lato oscuro del sogno americano.Applaudito ai vari festival che ha partecipato lo sfondo e' davvero curioso,quasi favolistico,ma emergono dall'inizio alla fine le difficolta' di vivere su condizioi sociali precarie.Se poi pensiamo che gli interpreti principali sono tutti non professionisti (eccetto Dafoe) si rimane esterefatti della spontaneita' che ci mettono gli attori.E' da tempo che non vedo una commedia cosi' bella di produzione americana,il finale di stampo drammatico e' tutto da vedere.Non lasciatevi sfuggire un film cosi'....concilia davvero con un cinema (indie) raro da trovare.

da qui

 

…Esteticamente meraviglioso, questo film cattura lentamente lo spettatore prima attraverso lo sguardo e poi nel cuore, legando indissolubilmente le immagini ai personaggi in quasi due ore di pellicola, dettagliando così profondamente il personaggio della bambina da renderla reale e vicina a noi, soprattutto in alcuni primi piani lirici ed assolutamente realistici. Un piccolo capolavoro del cinema contemporaneo, che non ha bisogno di mettere in scena grandi drammi o di correre eccessivamente sul filo della narrazione, e senza voler concludere necessariamente il racconto con un finale forzato.

Tutto scorre con i giusti tempi, con calma e dovizia di dettagli, come sono le lunghe giornate estive di un bambino, che pare non finiscano mai.

da qui

 

…sean baker consegna al pubblico un terrificante ritratto di un' america disperata e derelitta, che all'ombra del mito della terra delle abbondanze(i migranti di crialese sognavano di fare il bagno nel latte e di raccogliere verdure giganti, mentre monee e sua madre danzano nell'abbondanza dei buffet degli hotels di lusso, mentendo sul numero di una stanza che è la loro ma non lì)non è nemmeno sicura di poter tenere la patria potestà dei figli.

costretta a prostituirsi e a ridursi sempre peggio, raschiando un fondo sempre più difficile da raggiungere, quest'america si rimette nelle mani di assistenti sociali che imputa ad una madre la sua incapacità di essere genitore e di badare alla prole, salvo poi perdere la bambina che vorrebbero toglierle.

un'america che si accontenta di fumarsi una sigaretta in un crepuscolo di fuoco che sembra illuminato dai migliori fotografi di scena, che vive la propria infanzia nell'area pic-nic sorvegliata dall'amorevole sguardo del custode intento a ritoccare la vernice dell'edificio che si vorrebbe ancora per i turisti (ma che loro non vogliono), che li protegge da predatori non molto lontani dal terrificante tricheco che in "alice in wonderland" fa la corte alle ostrichette, salvo poi mangiarsele in un sol boccone.

un'america che vive di momenti assolutamente magici, come quando il custode sposta tre magnifici trampollieri dalla strada d'accesso del motel, o le bambine giocano all'ombra di un magnifico albero durante un acquazzone.

la finzione rincorre una realtà documentaristica girando con telecamere nascoste e con attori non professionisti, e la ricognizione da giornalisti freelance rincorre la finzione grazie agli artifizi cinematografici e ad una direzione d'attori esemplari.

in più, in un crescendo di tensione emotiva altissima, il film trova una delle chiuse più belle viste in questi ultimi anni; una fuga disperata all'interno del parco divertimenti, proprio verso il palazzo delle principesse, quello del logo disneyano che apre ogni film che sicuramente anche le nostre piccole protagoniste avranno visto in qualche occasione, rubato con un telefonino, all'insaputa della major e che cercando disperatamente di regalare un pizzico di magica speranza, lascia con un senso di inquietudine degna di shining e della strega di blair....

gran film.

da qui

 

Sean Baker demolisce l’“American dream” senza possibilità di appello con questo “Florida project”, opera che costituisce una presa di consapevolezza che infrange ogni illusione di bellezza e felicità, a due passi dai parchi giochi di Orlando, mecca di ogni bambino statunitense e non solo.

Proprio lì, a due passi dal sogno, esiste una realtà parallela e squallida: i motel sorti lungo la 192 durante il boom dei parchi sono ora diventati residenza per vagabondi senza fissa dimora, per chi non può permettersi un’abitazione: famiglie senza casa che vivono alla giornata, grazie a piccoli espedienti e lavoretti di fortuna, magari derubando i turisti…

da qui

 

Se non fosse per la Florida, la sua luce, Disneyland e i colori saturi. questo film potrebbe essere tranquillamente il racconto di una casa di ringhiera in una periferia inglese di Ken Loach o Mike Leigh. Invece siamo proprio nello stato americano, regno del benessere e della spensieratezza, siamo nella periferia di Disneyland, dove la vita vera, con i suoi problemi e i suoi drammi, si staglia contro uno scenario di cartone, pastellato, bello solo nelle sue fattezze naturalistiche. Baker, fresco premio Oscar, ci racconta, come sempre, dell'altra America, quella di chi di fa fatica a tirar sera, immergendoci in un complesso di piccoli appartamenti periferici, gestiti da Willem Dafoe, un buon uomo, abitati precariamente da un'umanità varia. Il regista spezza in due il racconto, mostrandocelo con gli occhi dei bambini, figli distratti e pericolanti della suddetta umanità, che vivono il luogo come fossero usciti da un racconto di Mark Twain, inventandosi avventure e nuove realtà, fiabesco, e, in parallelo, ci mostra la fatica di vivere una vita sempre al limite, eppure, in qualche modo, viva, vivissima e anche gioiosa, quando, per un po', la sfortuna se ne sta alla larga. "Un Sogno Chiamato Florida", rimane quindi un sogno e nulla più, anche se la sequenza finale, (e Baker è uno dei migliori registi nel "chiudere" i film), lascia intravedere amarezza, come sempre, ma anche una speranza di serenità, seppure artefatta. Al netto del doppiaggio dei ragazzini, davvero insopportabile, è un'opera interessante, ben strutturata, dove gli attori rendono benissimo nella coralità di un canto un po' disperato e dove, ancora una volta, l'America è lontana e l' "american dream" è bagnato fradicio, posticcio, fasullo. 

da qui 

 

 

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