venerdì 30 novembre 2012

Dimmi che destino avrò - Peter Marcias

il film non è incasellabile in qualche genere, dentro c’è una (possibile) storia d’amore, c’è neorealismo, c’è cinema civile (“Tu non prendi posizione, Sanna”).
e poi c'è l'incontro fra le persone, e i bambini.
gli attori  famosi sono il commissario Esposito, è Salvatore Cantalupo (già Pasquale, il sarto, in “Gomorra” e Don Mario, in “Corpo celeste”) e Alina, che è Luli Bitri, e come tutti, nel film, recitano senza urlare, non c'è bisogno.
non è un capolavoro, ma è un bel film, lo si cerchi, se riesce ad arrivare in qualche sala - Ismaele



Dimmi che destino avrò” è il punto di partenza di un “viaggio”, prima personale e poi da condividere. Prima di cominciare, ignoravo quasi tutto della cultura rom. A poco a poco, grazie a Gianni Loy, scrittore e sceneggiatore, che è stato il vero ispiratore di tutto, sono entrato in sintonia con un’opera veramente complessa, sia per l’aspetto narrativo che per i significati ed i sottintesi della storia.
Una storia che fa riferimento a situazioni che mi sono care, come la diversità, l’integrazione, il dramma sociale, affrontate poi con un tocco di realismo magico.
Tra le scelte caratterizzanti e significative nello sviluppo del progetto, ho condiviso il netto rifiuto della facile tentazione di una scrittura in chiave antropologica o sociologica e la scelta di affrontare il tema del rapporto tra le due culture, quella dei rom, e quella dei “gaggè”, in forma diretta, priva di ogni velo o condizionamento che potesse alterare l’essenza del problema. 
La storia ha un luogo ed un tempo, necessario ed indispensabile, che si colloca nel mezzo di episodi, qualche volta drammatici, che offrono, l’occasione per soffermarsi sulla problematica della convivenza di differenti culture ed etnie. 
Ma il film parla soprattutto, ed essenzialmente, di amore. Della possibilità di ascoltarci senza tener conto della etnia, della religione, del colore pelle e di altro ancora…. E’ una strada lunga, a volte difficile, ma è il mio viaggio.

Peter Marcias

Il regista Peter Marcias ha scelto di affrontare il tema del rapporto tra le due culture, quella dei rom e quella dei "gagè" (i non rom), in forma diretta, priva di ogni velo o condizionamento. Gli episodi, alle volte drammatici, di questa storia offrono l'occasione di soffermarsi sulla problematica della convivenza tra differenti culture ed etnie. Ma il film parla soprattutto, ed essenzialmente, di amore. Della possibilità di ascoltarci senza tener conto di etnia, religione, colore della pelle e altro ancora. È una strada lunga, a volte difficile, ma è un viaggio necessario.

“Dimmi che destino avrò” è un film tenero ma risoluto che porta sullo schermo due magnifiche interpretazioni , quella femminile di Luli Bitri, attrice albanese che ha ricevuto il premio C.I.C.A.E. della critica in occasione del 61° Festival cinematografico di Berlino per il film Amnistia (film albanese candidato all'Oscar) e quella al maschile di Salvatore Cantalupo, attore napoletano di indubbia bravura, cresciuto con il teatro , apprezzato sul grande schermo nel film “Gomorra” di Matteo Garrone.
Sono proprio loro due a tessere le maglie della storia diretta da Marcias: lei è infatti una giovane donna rom che torna in Italia, a Cagliari, per risolvere alcune questioni familiari; lui un commissario di polizia che ne rimane affascinato...

mercoledì 28 novembre 2012

Kasaba - Nuri Bilge Ceylan

primo film di Nuri Bilge Ceylan e già è cinema che vale.
si compone di quattro parti, con personaggi comuni, la prima parte è davvero indimenticabile, per i miei gusti un piccolo capolavoro,  gli alunni in classe col maestro, in una giornata invernale, sembra non succeda nulla, ma non puoi smettere di guardare un solo secondo.
e il resto del film, ambientato nelle varie stagioni, tra l'altro, merita di sicuro - Ismaele


QUI il film completo con i sottotitoli in inglese


The aim of the film, indicated in the title of the film - kasaba meaning small town - is an apparently simple one. It sets out to capture what it is like to grow up in a small town, to want to leave a small town, to return to a small town and to have lived all your life in a small town. Kasaba uses one family to represent the conflicting hopes and ambitions as well as the sense of frustration and resignation this engenders, but Ceylan also manages to bring out deeper themes out of the characters and their environment, since even being part of a family living in a small town inevitably has wider considerations relating to ancestry, history and nationality…

Told from the perspective of two children, and in four parts, which run parallel to seasons, KASABA describes relationships between members of a Turkish family in a small town. The first part is in a primary school where the family's 11-year-old daughter is a pupil. It shows the social environment to which she has to adopt, and its difficulties. She faces with her feeling of shame and some merciless clues of life...The second part is in spring. We see the girl with her brother, who is four years younger, and their journey to the cornfield where their family are waiting for them. As they pass through the countryside, they encounter the mysteries of nature and wildlife... In the third part the brother and sister witness the complexities and darkness of the adult world... The fourth part takes place at home. This is a tranquil sequence moving between reality and dream…

Kasaba est bien dans la cohérence de la thématique de l’auteur, et la première séquence, se déroulant dans une école primaire, et étrangement presque muette, annonce les non-dits et malaises caractéristiques des films postérieurs. Le récit, minimaliste, est découpé au rythme des quatre saisons et suit deux jeunes enfants témoins des conversations et préoccupations des adultes. Une trame autobiographique (le scénario est inspiré de souvenirs d’enfance et d’histoires contées par le père de Ceylan) sert de fil conducteur à cette évocation nostalgique qui aborde en filigrane les thèmes des racines historiques et géographiques mais aussi de la guerre, la mort, le travail ou l’honneur. La beauté digne de ce premier opus culmine avec la longue séquence d’un pique-nique nocturne, dans un décor sauvage et mystérieux, et au cours duquel les adultes discutent abondamment, laissant les enfants intérioriser les paroles, notamment lors de leurs jeux. Une ambiance à la Tchekhov donne alors à Kasaba une tournure suggestive saisissante. Cinéaste sensible ne versant jamais dans la sensiblerie, Nuri Bilge Ceylan se révèle dès ce premier film comme le digne héritier d’un Renoir et le poète de l’intimité du microcosme familial.

lunedì 26 novembre 2012

Shinjuku Mad - Kôji Wakamatsu

ha qualcosa di "Un borghese piccolo piccolo", c'è un padre al quale hanno ucciso un figlio, ma poi è tutto diverso.
Wakamatsu dipinge una società nella quale i giovani sono fuori di testa, fra delinquenza e droghe, la polizia non vuole indagare, allora ci pensa lui, il padre, un pover'uomo della provincia che cerca e cerca, disperato, perché il figlio è morto, spera almeno per una nobile causa, e trova che è morto per niente, per mano di una banda e di un giovane delinquente impunito.
un ritratto impietoso di una società alla deriva.
l'attore che interpreta il padre è bravissimo, già solo per lui è un film da vedere - Ismaele





The epicentre of Japan’s cutting edge cinema, theatre and music scene at the end of the 1960s, the atmosphere of Tokyo’s Shinjuku district has been described as simultaneously that of a carnival, a giant party and a war zone. In the opening scene of Wakamatsu’s portrait of the area, two members of an underground theatre troupe are slain mid-performance by a group of anonymous thugs. The police are unwilling to get involved in any investigation, and so it is left to the murdered actor’s father to solve the mystery. His only clue at the beginning is the cryptic words Shinjuku Mad – but is this a person, a place, or perhaps even a state of mind? His search leads him into an alien underworld in which every one of his values finds itself broached, as he encounters permissive sex parties, John Lennon wannabes strumming guitars and wailing Hare Krishnas, and ultimately a violent gang of anarchist bikers preaching nothing less than world revolution. One of Wakamatsu’s favourites among his own films, Shinjuku Mad provides a fascinating testament to the vibrant counter-cultural milieu in which the director operated.

Un bon film de Wakamatsu : critique féroce de la société japonaise, constat politique amer de la cruelle confrontation des générations. L'émergence d'un nouveau Japon, en contradiction avec la société traditionnelle ancrée sur des valeurs que la jeunesse rejette, est le point d'ancrage sur lequel le cinéaste s'appuie pour universaliser son propos, car les conflits générationnels à la fin des années 60 ne sont pas l'apanage du Japon bien entendu. Quoiqu'il en soit, en nous faisant suivre les pas de ce père en quête de deuil après le meurtre de son fils,..
Cet acteur est remarquable, donne une intensité époustouflante même. Au regard des prestations banales des jeunes -pour deux ou trois c'est même franchement merdique- il passe pour un grand monsieur. On ne peut lui enlever qu'il est habité par son personnage. Je retiendrai donc surtout sa performance, celle de Masao Adachi, le scénariste habituel de Wakamatsu dont l'écriture se révèle aussi sèche et froide que l'exigeait le sujet et pour finir cette réalisation toujours aussi bonne, originale, incorporant ces plans urbains, disséquant la froideur du béton et la mort de l'humanité comme peu savent le faire, dessinant une esthétique qui n'appartient qu'à lui.

The father of a slain young man comes to Tokyo to find the killer, known as Shinjuku Mad. The police are no help so he sets out on his own, poking around in underground coffee bars and crash pads in Shinjuku, then ground zero for the Japanese counter cultural movement. He’s straight-laced and square but he’s not insensitive to young people. In fact, he likens them to the architects of the Meiji Restoration, the men who helped bring Japan out of its feudal age.
It’s clear Wakamatsu and his usual screenwriter, Adachi Masao, have more respect for the honest working man of Japan here than the “revolutionary,” who talks a lot but never does anything except squabble with others. Even more than the fact that Shinjuku Madfeels like a real movie, complete with coherent plot and resolution, it’s this aspect that surprised me the most. That a revolutionary filmmaker should take the position of the conservative working class says a lot about how he felt about the state of the revolution…

sabato 24 novembre 2012

The killers (I gangsters) – Robert Siodmark

quando si dice un capolavoro, sceneggiatura, fotografia, attori perfetti.
Cinema al suo meglio.
vedere per credere - Ismaele



Le scene sono come scolpite con la macchina da presa: sono come figure marmoree immerse in una variegata emulsione di chiazze traslucide, che, secondo il movimento, rivelano, nascondono, attenuano ed accentuano i dettagli di persone e cose. La superficie dello schermo assume, talvolta, il profilo di un paesaggio lunare, morbidamente ondulato dai contorni di avvallamenti, montagne, crateri,  altre volte assume l’aspetto di un gioco teatrale di scenari che scorrono su piani paralleli, di figure sovrapposte che, benché piatte, trasmettono il senso della prospettiva. A questi rari pregi formali si aggiunge, in questo film, una grande attenzione per il contenuto narrativo, assicurata dalla costante presenza di uno sguardo scrutatore che, però, non diventa mai invasivo, mantenendosi sempre – come il visitatore di una mostra, o l’osservatore davanti a una finestra panoramica – rispettosamente al di qua del “vetro”. 

One of the reasons the movie works so well is that while the major interest lies in the flashback events, the investigator's dogged pursuit of the truth is a worthwhile story in its own right. O'Brien can't be allowed to steal the stars' thunder, but his end of the story has to stand up and hols the viewers' interest. It's the clever way in which Reardon and the audience gather pieces of the puzzle throughout the course of the movie, in addition to the dark events that lead to the Swede's death, that make the film entertaining. Double-crossing and triple-crossing Kitty Collins is one of film noir's great femme fatales and it's not hard to understand why Gardner went on to a terrific career after this juicy role...

…Ispirato nell'incipit all'omonimo racconto di Ernest Hemingway, I gangsters ripropone alcune soluzioni narrative e tecniche già magistralmente utilizzate da Welles e Wilder: più dell'azione, che contraddistingueva le produzioni precedenti l'epoca dei noir, a Siodmak e agli sceneggiatori interessano l'interiorità e il passato, scandagliati con flashback e dettagli rivelatori. A parte due celeberrime sequenze come la fredda e spietata esecuzione di Pete Lunn (Burt Lancaster) e la rapina orchestrata da Big Jim Colfax (Albert Dekker), condotte con piano sequenza e profondità di campo, leitmotiv tecnici ed estetici dei migliori noir, il film di Siodmak offre allo spettatore un doppio percorso spiazzante, tra ladetection dell'arcigno agente delle assicurazioni Jim Reardon (Edmond O'Brien) e la ricostruzione della parabola autodistruttiva dell'ex-pugile Pete. Non c'è luce per i gangster di Siodmak e la soluzione dell'enigma è una risposta drammatica, è la conferma di un universo narrativo calato nelle tenebre, dominato dalle ombre. E saranno proprio le ombre del passato a condannare “lo svedese”, pugile privato del colpo vincente, del pugno granitico, uomo che ha perso la propria virilità, cuore infranto in balia di una dark lady…

…El guión, modélico, permite a Siodmak realizar el mejor trabajo de su extensa carrera: supo aprovechar todos los elementos que le pusieron en bandeja, sirviendo a la historia con una caligrafía cinematográfica ajustada, muy elaborada en su simplicidad, confiriendo a la misma una veracidad y un ritmo perfectos, pese a los muchos retornos temporales insertos en la trama, que nos mantendrá pendientes, ansiosos de saber la clave de la asunción fatalista de la muerte por "el sueco" Andersen.
Entretanto, el imaginario de personajes se desarollará presentando individuos violentos, gente del hampa, algunos con pocos escrúpulos, movidos todos por la ambición, pululando en medio de ellos, como si nada, una mujer, de designios ocultos, que hará enloquecer al protagonista y le llevará a un destino impensable.
Por otro lado, la búsqueda de la verdad iniciada por el investigador Reardon, que contará con la ayuda de la policía, es el motor que impulsa la narración, aún contra los deseos de su propio jefe, que, pragmático, no quiere dedicar sus esfuerzos por un montante de sólo 2.500 dólares; la decisión de Reardon de saber la verdad, de conocer la causa de tan extraño comportamiento en su último minuto del "sueco", nos impregnará en todos los minutos de la película, incrementándose con los sucesivos hechos que, suministrados de forma muy inteligente, conformarán la verdadera historia de la azarosa vida de Ole "el sueco" Andersen, hasta el momento de su asesinato, cerrándose la historia de forma lógica y brillante…

Adaptation d'une nouvelle d'Ernest Hemingway, Les tueurspossède une construction assez complexe en flashbacks successifs. Le film est un grand classique du film noir. Femme fatale, traitrises, hold-up, querelles autour du butin, tous les éléments constitutifs du genre sont présents. Le fatalisme du truand, engendré par la conscience de son faux-pas, est une notion qui apparaît fortement dans ce film de Siodmak et qui marquera définitivement le genre pendant de nombreuses années. Outre la superbe photographie qui joue avec les ombres, on remarquera une belle maitrise de la caméra, le plus beau plan du film étant sans conteste la scène du hold-up, filmée entièrement à la grue ; un plan que ne renierait certainement pas Orson Welles…

...Un chef-d’œuvre du Film noir et un chef-d’œuvre tout court. Construit sur des flash-back, éclairé par une impressionnante photographie expressionniste, magnifié par la musique de Miklós Rózsa, The Killers met en lumière avec un pessimisme radical, et parfois un humour très noir, les angoisses profondes d’une société à la dérive et minée par ses faux-semblants. L’irruption du mélodrame entourant la relation Lancaster / Gardner, nourri par le sentiment d’impuissance et de frustration, renforce la tragédie à l’œuvre et permet à Robert Siodmak d’apparaître comme l’un des plus grands cinéastes à avoir jamais abordé le genre…

giovedì 22 novembre 2012

Ken Loach (non) a Torino


È con grande dispiacere che mi trovo costretto a rifiutare il premio che mi è stato assegnato dal Torino Film Festival, un premio che sarei stato onorato di ricevere, per me e per tutti coloro che hanno lavorato ai nostri film. I festival hanno l’importante funzione di promuovere la cinematografia europea e mondiale e Torino ha un’eccellente reputazione, avendo contribuito in modo evidente a stimolare l’amore e la passione per il cinema. Tuttavia, c’è un grave problema,ossia la questione dell'esternalizzazione dei servizi che vengono svolti dai lavoratori con i salari più bassi. Come sempre, il motivo è il risparmio di denaro e la ditta che ottiene l’appalto riduce di conseguenza i salari e taglia il personale. È una ricetta destinata ad alimentare i conflitti. Il fatto che ciò avvenga in tutta Europa non rende questa pratica accettabile. A Torino sono stati esternalizzati alla Cooperativa Rear i servizi di pulizia e sicurezza del Museo Nazionale del Cinema (Mnc). Dopo un taglio degli stipendi i lavoratori hanno denunciato intimidazioni e maltrattamenti. Diverse persone sono state licenziate. I lavoratori più malpagati, quelli più vulnerabili, hanno quindi perso il posto di lavoro per essersi opposti a un taglio salariale. Ovviamente è difficile per noi districarci tra i dettagli di una disputa che si svolge in un altro paese, con pratiche lavorative diverse dalle nostre, ma ciò non significa che i principi non siano chiari. In questa situazione, l’organizzazione che appalta i servizi non può chiudere gli occhi, ma deve assumersi la responsabilità delle persone che lavorano per lei, anche se queste sono impiegate da una ditta esterna. Mi aspetterei che il Museo, in questo caso, dialogasse con i lavoratori e i loro sindacati, garantisse la riassunzione dei lavoratori licenziati e ripensasse la propria politica di esternalizzazione. Non è giusto che i più poveri debbano pagare il prezzo di una crisi economica di cui non sono responsabili. Abbiamo realizzato un film dedicato proprio a questo argomento, «Bread and Roses». Come potrei non rispondere a una richiesta di solidarietà da parte di lavoratori che sono stati licenziati per essersi battuti per i propri diritti? Accettare il premio e limitarmi a qualche commento critico sarebbe un comportamento debole e ipocrita. Non possiamo dire una cosa sullo schermo e poi tradirla con le nostre azioni. Per questo motivo, seppure con grande tristezza, mi trovo costretto a rifiutare il premio.
Ken Loach

Clean Shaven - Lodge Kerrigan

far vedere le cose con gli occhi e la testa di un altro, questa cosa Lodge Kerrigan la fa benissimo, merito anche di un bravissimo Peter Greene.
il film inquieta e disturba, e questo è un suo merito, non siamo abituati a stare dentro gli altri, specie se malati.
(in più Ramin Bahrani lo ringrazia qui, insieme ad Amir Naderi, adesso capisco la stima)
un film che merita - Ismaele




« Ho cercato di esaminare la realtà soggettiva di qualcuno che ha sofferto di schizofrenia, per provare a mettere il pubblico nella posizione di percepirne i sintomi come io immagino che siano: allucinazioni uditive, paranoia crescente, sentimenti dissociativi, ansia. »
« Ho fatto in modo che Peter, che soffre di schizofrenia, potrebbe essere l'assassino, portando il pubblico su quella strada, ma ho nascosto le prove. Non c'è evidenza definitiva che lo sia e se lo spettatore sente che è colpevole, spero che il film lo ritenga responsabile per aver ricavato questa conclusione. »

…Uno dei film misconosciuti (nel senso non fruibili al grande pubblico italiano) piu' belli che io abbia mai visto assieme, per stare sull'argomento pazzia, ad Angst.
Clean, Shaven è una soggettiva su questo personaggio che affetto da gravi disturbi cerca di riprendersi la figlia.
E' un film che fa male perché quest uomo continua la sua esistenza disgregante tramite suoni e immagini distorte, tramite azioni "malate" come la presunta colluttazione con una bambina, vive nel suo mondo che senza retorica, moralismi ecc... il regista cerca di proporci in modo piu' fedele possibile. E nel mezzo oltre al tentativo di recupero della figlia, alla madre che lo tratta ancora come un bambino, a suoni pesanti anche una ricerca della polizia che lo crede un assassino. Sarà? Non sarà? 

Opera davvero suggestiva e molto molto bella. 
Dovessi frullarlo direi che dentro c'è dello Schramm meno pesante, del Cronenberg , del Lynch, del Kern . Un film che ti spiazza, commuove, fa arrabbiare, lascia basiti... una esperienza che ti lascia addosso sensazioni particolari…

Clean, Shaven is not so much a traditional narrative, but an attempt to subjectively depict the psychological state of schizophrenia. As one can imagine, being inside the head of a schizophrenic is hardly a pleasant cinematic experience. And by attempting to dramatize such an unsettling condition, Lodge Kerrigan finds himself in a paradoxical position: the more we empathize with Peter—get in his head, so to speak—the more effective the movie is. However, by so accurately portraying the paranoia and delusions of schizophrenia, Clean, Shaven ensures alienating a sizeable amount of its audience.
Indeed, Kerrigan deserves a lot of credit for making such an uncompromising, unrelentingly disturbing film…

A very effective study on schizophrenia posing as a serial killer movie. The mental state, fears and nerves of a man just released from an asylum is portrayed grippingly by both a great performance and minimalist, inventive cinematography and sound. As he travels to see his long lost daughter, sounds in his head make him a nervous wreck, mirrors set him off on an obsessive shaving spree that causes self-mutilation, and he becomes convinced that a radio transmitter is in his head and fingernail, leading to a stomach-churning mutilation scene. In a brilliant twist, an obsessive, pedantic and neurotic policeman thinks he is a killer and tracks him down.

Of the films that have tried to evoke or arrive at an understanding of insanity, from the inside or outside, using the first or third person, none have done so with Clean, Shaven's remarkable alchemy of clinical detail and raw poetry. The abrasive, subjective sound design, the visual abstractions, and the nerve-jangling ellipses all inch the movie toward the realm of experimental film—which is only fitting, given that the condition in question is characterized by discontinuity, the erosion of boundaries, and the failure of narrative. Kerrigan does not in any way venture that his protagonist has a beautiful mind—this is as unsentimental a depiction of mental illness as you'll find in movies—but the film has a frayed, terse lyricism all the same…

"Clean, Shaven" is an attempt to enter completely into the schizophrenic mind of a young man who is desperately trying to live in the world, on whatever terms will "work" in his condition. It is a harrowing, exhausting, painful film, and a very good one - a film that will not appeal to most filmgoers, but will be valued by anyone with a serious interest in schizophrenia or, for that matter, in film.

I was on a program the other day with Tom Wolfe, the author and social critic, who was defending novels as the only medium that truly allows us to enter into another person's point of view. We can go inside the heads of written characters, he said, in a way that doesn't work with movies or the theater. In many cases he may be right, because movies more often encourage us to be voyeurs than to identify with characters. But a film like "
Clean, Shaven" is a shattering exception to his rule, since it restricts itself almost entirely to the way a person with schizophrenia must negotiate the horrors of everyday life...

martedì 20 novembre 2012

Peaceful Warrior – Victor Salva

una specie di guru, Nick Nolte, insegna a Dan la consapevolezza e gli fa vedere le cose in modo diverso.
detto così sembra una mezza scemenza, ma il film si fa vedere bene, anche se non resterà nella storia del cinema - Ismaele


QUI e QUI il film completo in italiano


Pillole di saggezza (che sono il frutto dell’esperienza di una vita, ripetono nel film)  inserite all'interno di un dramma fluido che cerca un equilibrio tra narrazione cinematografica e dichiarata volontà di veicolare un messaggio. Non sarebbe sbagliato dire che il film può essere visto come un bignami sulle filosofie della consapevolezza di sé nel presente. Ma potrebbe essere anche un modo per criticarlo perché in effetti, soffre di alcuni semplicismi e debolezze. La più grossa, forse, è la contraddizione finale. In tutta la narrazione si ribadisce di non proiettarsi negli altri pensando di dar dimostrazione di sé, ma poi il regista nella sequenza finale ci propone sfacciatamente le gesta del nostro protagonista che lasciano sbalorditi chi le guarda…

Nolte has been through some hard times, and posed for at least one mug shot that went around the world. He has picked himself up and patched himself back together, and is convincing as a wise survivor. A movie based on his life might have the same parabola as Millman's, if you substituted drinking for gymnastics. There is a sense in which the role of Socrates speaks to him more loudly than to Dan, and that sense makes the performance sort of fascinating.
All the rest is formula: The coach, the team, the training, the accident, the comeback. The fact that doubles and visual effects are used for some of the gymnastics stunts is obvious, but not objectionable, because of course they are. But it's funny, isn't it, how the most amazing stunt in the movie is performed off-screen. Howdid he get up there?

This movie provides an example of what life can be like if we ponder these thoughts and implement them in our lives in a concrete and practical way. It's not necessary to be a champion gymnast to derive the fundamental teachings from this film. It is a teaching that anyone can understand. This is why I see that Peaceful Warrior can inspire those who embrace the possibilities which it offers to become peaceful guerrilla warriors, working tirelessly underneath the radar, changing the world.
This is not only a good movie, it's an important one. 

lunedì 19 novembre 2012

(Take) Aim at the Police Van - Seijun Suzuki

non sarà un capolavoro, ricorda tanto bel cinema Usa, una musica perfetta, una storia semplice e complessa insieme, un investigatore che come Pollicino segue le tracce, qualcosa de "I soliti sospetti",
insomma, un film che vale la pena vedere - Ismaele





Noir targato Nikkatsu intricatissimo quanto essenziale, molto ben fotografato in bianco e nero e Nikkatsu Scope (il CinemaScope della casa nipponica).

Take Aim is a classic whodunit tale penned by Shinichi Sekizawa and Kazuo Shimada. They try to keep you guessing until the very end of the film and have just enough seedy character types and a level of mystery around the main cast to keep you doing just that. Without giving too much away, the main villain is quite the bastard, so the ending feels more satisfying than one would expect. There are a couple of plot points that are left dangling in front of the viewer, such as why the prisoner transport van was attacked in the first place. There is also the bit about the main containing a certain set of skills that probably shouldn’t belong to a simple prison guard, but the film never really touches on Tamon’s past…

Each scene is carefully composed and frames our characters (good and bad) appropriately. I have to think that this particular film was included in the Nikkatsu set as a representative sample of Suzuki stretching past the point of being able to snap back. After a film like this with its obvious stylistic devices, how could he go back to shooting something generic?

The plot is purposely confusing and Suzuki has likely jumbled it a bit just to keep the viewer off a step and allow them the chance to play catch up. He's created an artful and sumptuous film to look at while always keeping in mind the goal of also entertaining his audience. I may be biased towards his films, but there's a good reason why that is.

Take Aim at the Police Van is rarely anything more than an efficient programmer, but Suzuki does a more than adequate job of transferring the narrative machinations of the American film noirs of the era to the Nikkatsu production line.  The occupation of the film’s hero enables him to inherit one of the key characteristics of the more popularly utilised private detective in that Daijiro occupies the economic middle ground with sufficient social mobility to be well-acquainted with both ex-cons and law enforcers.  In addition, Suzuki’s tour of the criminal underworld takes in both the seedy club circuit and more exclusive inns that provide services to men whose wives think they are away on ‘business’.  Yet such conformity to the rules of the film noir genre and the studio suits does not entail that Take Aim at the Police Van is an entirely impersonal undertaking; Suzuki is less interested in the story than he is in staging some energetic action sequences and setting up a series of encounters between Daijiro and people who are more in-the-know than he is, while also indulging in a fever dream sequence.  Take Aim at the Police Van is terrific entertainment from a filmmaker who was starting to have fun with the script en route to throwing it out of the window.

venerdì 16 novembre 2012

Argo - Ben Affleck

un film che ti tiene col fiato sospeso, una tensione che non molla mai, un'americanata come si deve.
poi, certo, i buoni sono da una parte, i cattivi dall'altra, ma è un gran film.
il cinema vi aspetta, e non vi deluderà - Ismaele




Affleck convince per il tono secco e privo di fronzoli, è ammirevole per come sa creare tensione da una vicenda che potrebbe esaurirsi dopo mezz'ora, costruendo una serie di complesse sequenze che inchiodano alla poltroncina (dall'assedio iniziale all'ambasciata americana, alla "fuga" in aeroporto conclusiva, benché estremamente spettacolarizzata rispetto alla realtà dei fatti), e, inoltre, sa scegliere con intelligenza il cast di comprimari (a partire dai sublimi John Goodman -in un ruolo, non a caso, quasi identico a quello in "Matinée"- e Alan Arkin, attori che piacerebbe vedere più spesso sul grande schermo…

Argo è una calibratissima macchina spettacolare, perfetta nel bilanciare i suoi vari ingredienti: a una prima parte in cui viene illustrato velocemente il contesto storico, segue una corsa verso il tempo per cercare di salvare gli impiegati americani la cui faccia sarà presto svelata dai documenti presi nell'ambasciata un po' come succedeva in Senza via di scampo in cui il protagonista , Kevin Costner, doveva dimostrare la sua innocenza prima che la sua faccia fosse ricostruita da un computer.Senza dimenticare la satira su Hollywood inscenata  dalle intenzionalmente sgangherate caratterizzazioni di vecchie volpi hollywoodiane ad opera di un sempre vispo Alan Arkin e di un debordante John Goodman a far intuire il lato cialtronesco della fabbrica dei sogni.
Dei cialtroni dal cuore d'oro, però…

...c'è un amore incondizionato per la settima arte, prima di tutto - dagli impagabili John Goodman e Alan Arkin alle reazioni a metà tra l'ebete ed il felice dei soldati iraniani omaggiati del contenuto dell'artbook di Argo -, il gusto per il suddetto Classico e la costruzione quasi geometrica di un climax conclusivo da cuore in gola, ritmo martellante, interpretazioni convincenti di un cast eterogeneo ed in gran forma, e soprattutto molta ironia…

...Ben Affleck orchestra un film che forza la realtà dei fatti quanto serve per creare tensione e suspense ma non manca mai di rimarcare gli elementi di veridicità e di confinare in maniera netta le licenze cinematografiche.
Il risultato è un'opera di sorprendente solidità, animata da un'etica di ferro e capace di muoversi attraverso i tre registri principali del cinema, amalgamandoli con l'invisibile maestria di un veterano del cinema. Nonostante sia solo al suo terzo film da regista Ben Affleck si conferma uno degli autori giovani più interessanti in assoluto, capace di fondere l'azione da cinema di guerra della prima parte con la commedia hollywoodiana della seconda e infine la tensione del dramma storico della terza. Un viaggio tra diversi toni in cui l'unica costante è il regista stesso, che incarna il protagonista Tony Mendez con una recitazione minimalista e pacata, esplorando tutte le declinazioni di un'infinita malinconia di sguardo che fa il paio con il rigore morale profuso nel raccontare la sua storia.
In questo straordinario esempio di modernità cinematografica c'è tutta l'esperienza del cinema politico, teso e aggressivo della Hollywood degli anni '70, unita ad uno stile fluido ed invisibile, ad un gusto post-
Mad Men per la precisa ricostruzione dei diversi costumi della società di qualche decennio fa e ad una capacità non comune di lavorare sul dettaglio della messa in scena…

Affleck is brilliant at choreographing the step-by-step risks that the team takes in exiting Tehran, and "Argo" has cliff-hanging moments when the whole delicate plan seems likely to split at the seams.

The craft in this film is rare. It is so easy to manufacture a thriller from chases and gunfire, and so very hard to fine-tune it out of exquisite timing and a plot that's so clear to us we wonder why it isn't obvious to the Iranians. After all, who in their right mind would believe a space opera was being filmed in Iran during the hostage crisis? Just about everyone, it turns out. Hooray for Hollywood.

Un reproche que se hizo al mago del suspense en aquella ocasión se podría emplear también contra Argo: es una americanada. Esa misma expresión se escuchó al final de su proyección en una sesión para la prensa en el pasado festival de San Sebastián. Pero el grito no acalló la salva de aplausos que recibió. Y es que, desde la perspectiva ideológica, no cabe duda de que es una obra «a mayor gloria» de la Agencia de Inteligencia estadounidense, que no se ha distinguido últimamente por su capacidad para evitar situaciones embarazosas a los ciudadanos de su país (sin ir más lejos, la muerte reciente de su embajador en Libia). Como todavía seguimos inmersos en lo que se llamó primavera árabe y que se ha convertido, más bien, en una escabechina sangrienta, el film no se libra de una interpretación socio-política pro-americana, pero esa lectura no debería empañar los muchos méritos que la película encierra. Y es que es una excelente muestra del cine de acción, de tensión e interés sostenidos, durante la cual el espectador disfruta con un relato narrado con recursos de buena ley (aunque no todos), una factura brillante, un ritmo constante, una música aceptable y una interpretación de todo el reparto francamente excelente con un sobresaliente para el propio Affleck, John Goodman y Alan Arkin. Argo es algo más que un mero pasatiempo o una americanata…

Sans entrer dans les détails d’un scénario qui mérite une découverte totale au cinéma tant il est habile, Argo est un petit bijou de confection, digne héritier de ses modèles cités plus haut et desquels il tire les enseignements nécessaires, mais également un beau morceau de mise en scène. La reproduction des années 70, au niveau de la direction artistique, est remarquable, mais elle est surtout sublimée par une réappropriation des codes de réalisation. Autant à travers l’image granuleuse, la photographie délavée, le sens du découpage ou quelques mouvements de caméra qui en appellent à ceux de Scorsese (quelques travellings-signatures et un plan-séquence magnifique lors de l’entrée en soirée de presse), tout est construit de façon classique sans que jamais rien ne paraisse artificiel…

mercoledì 14 novembre 2012

Night Moves (Bersaglio di notte) - Arthur Penn

al livello de "La conversazione" di Coppola, con lo stesso protagonista, ricorda "Il grande sonno".
bravi attori, un film ruvido, non pacificato.
Arthur Penn con una piccola storia, dentro la Storia più grande, tira fuori un piccolo (grande) capolavoro - Ismaele


…ciò che viene fuori da Bersaglio di notte, noir fortemente non convenzionale, è quindi una crisi “al quadrato”: la profonda difficoltà del momento storico americano è infatti significata sia dal ritorno al genere dark per eccellenza che dalle trasgressioni da Penn operate sulla struttura del genere stesso. 
Nel film, l’investigatore privato Harry Moseby viene incaricato di rintracciare e riportare a casa la sedicenne Delly, giovane figlia dei tempi dissoluta e libertina, fuggita non si sa dove: ciò che dal torbido intrigo verrà a galla - letteralmente - non sarà facile da decifrare, e tanto meno da accettare. 
Sgombriamo il campo da dubbi: tutto concorre a che l’ottavo film del regista sia ancora una volta un grandissimo film, uno dei suoi migliori. L’imprevedibile incursione nel noir di Penn non somiglia a nient’altro; merito dell’ottimo script di Alan Sharp, dell’ispiratissima messa in scena dell’autore - governata dal sapiente montaggio della fidata Dede Allen, qui più libera e creativa che mai - oltre che di uno stato di grazia attoriale difficile a trovarsi in un “film di genere” (ma l’espressione - seppur virgolettata - ci fa rabbrividire, tanto più parlando di anni settanta americani). 
Gene Hackman consegna al suo Harry Moseby statura ben più ampia di quella che spetterebbe al private eye di turno; la sua figura fa il paio con l’Harry Caul de 
La conversazione - era sempre lui - e arricchisce la straordinaria galleria di perdenti che il “nuovo cinema” ci va consegnando in quegli anni. La struttura di fondo è la medesima per tutti: individui in profonda crisi, incapaci di decodificare una realtà che non si dà mai come leggibile o abitabile, per i quali la ricerca di qualcosa, o qualcuno - la ragazza scomparsa -significa anche sempre ricerca di se stessi…

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…Il film di Penn però, non è solo una storia e non è nemmeno una sola storia (crisi di fiducia negli Stati Uniti), è anche e soprattutto un discorso cinematografico (quando la moglie va al cinema e gli domanda di accompagnarlo a vedere La mia notte con Maud, Harry risponde“No grazie, ho veduto un film di Rohmer, perché spendere per sbadigliare?”, oppure durante una colluttazione si sente dire “Adesso picchiami come fa Sean Connery”). Gran bel film, che nell’ultima mezz’ora capovolge, contorce, comprime e confonde verità e soluzione. Delly è interpretata da una giovanissima Melanie Griffith mentre James Woods è il tumefatto Quentin. Gene Hackman invece, interpreta un gran perdente della storia del cinema.

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Realizzato da Penn sulla base di una sceneggiatura preconfezionata, che il regista accettò anche come via d’uscita a un difficile periodo sul piano personale, Bersaglio di notte riflette tutto lo smarrimento dell’America post kennedyana (e post Watergate) degli anni Settanta. Una delle sequenze più significative è, infatti, quella in cui Paula chiede a Moseby cosa stesse facendo quando è stato ammazzato Kennedy. «Quale Kennedy?» ribatte lui. Moseby, ex giocatore di football, ricorda perfettamente cosa stesse facendo quando uccisero JFK, un po’ come tutti gli americani (così come da noi, chi all’epoca aveva l’età sufficiente, si ricorda cosa stesse facendo quando seppe del rapimento di Moro), ma si ricorda bene anche dov’era quando fu assassinato Bob…

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A Hollywood divorcee, clinging to the last shreds of a glamor that once won her a movie director (and half the other men in town, she claims) hires him to trace down her missing daughter. Harry takes the case, pausing only long enough to track down his own missing wife -- who is, it turns out, having a not especially important, affair with a man with a beach house in Malibu. His confrontation with the man, like so many scenes in the movie, is done with dialog so blunt in its truthfulness that the characters really do escape their genre.


Harry traces the missing girl to her stepfather, a genial pilot in the Florida Keys, and goes there to bring her back. And from the moment he sets eyes on the stepfather's mistress, the movie, which has been absorbing anyway, really takes off. The mistress is played by a relatively unknown actress and sometime singer named 
Jennifer Warren
, who has the cool gaze and air of competence and tawny hair of that girl in the Winston ads who smokes for pleasure and creates waves of longing in men from coast to coast. Miss Warren creates a character so refreshingly eccentric, so sexy in such an unusual way, that it's all the movie can do to get past her without stopping to admire. But it does.

The plot involves former and present lovers of the girl and her mother, sunken treasure (yes, sunken treasure), conflicts across the generations and murders more complex by far than they seem at first.

These are all the trademarks of the Lew Archer novels by Ross MacDonald especially the little-girl-lost theme, and Alan Sharp's screenplay uses them infinitely better than "
The Drowning Pool" did -- even though that was actually based on a Macdonald book. By the movie's end, and especially during its last shock of recognition, we've been through a wringer. Art this isn't. But does it work as a thriller? Yes. It works as about two thrillers.

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sabato 10 novembre 2012

One-Eyed Jacks (I due volti della vendetta) - Marlon Brando

unico film diretto da  Marlon Brando, amato da Scorsese, è davvero un gran bel film, non lo immaginavo prima di vederlo.
Brando sciupafemmine, con un preciso senso dell'onore. un grandissimo Karl Malden, 141 minuti di grande cinema.
insomma, un film da non perdere - Ismaele


One-Eyed Jacks (1961, Marlon Brando). It’s a shame this movie has to be included here. It’s unique: so extraordinary and so personal a vision, I can’t see how it could have been a flop. Brando even has the guts to ride off into the sunset, waving, on a white horse — and he gets away with it. Even in its cut version, it’s an amazing achievement — one of the best Westerns ever made.

secondo Martin Scorsese

 

"I due volti della vendetta" è un film particolare. 
Si tratta infatti dell'unico western che avrebbe dovuto girare Stanley Kubrick, che avrebbe apportato la sua mano anche nel genere + nobile del cinema americano. 
E' diventato invece l'unico film diretto dal grande attore Marlon brando. E' una buonissima opera prima, che tocca vari temi, quella dell'ossessione per la vendetta, ma anche sulla violenza, sulla libertà, sul fascino della cultura orientale. 
Brando tra l'altro è capace di descrivere delle figure non semplici a livello psicologico, e il rapporto che lega Malden a Brando è molto di + di una ex amicizia finita male. 
Le interpretazioni poi sono intense, sopratutto quella di Karl Marlden. Il ritmo è lento e riflessivo, ci sono momenti davvero affascinanti e inusuali per l'epoca. Sicuramente è uno dei film che avvrebbero contribuito successivamente alla nascita cinematografica di Sam Peckinpah (che aveva anche collaborato per questo film). 
In definitiva è un film da vedere, a mio avviso. Ha dei difetti ma come opera prima è notevole. Se poi consideriamo che è la prima e unica regia di un attore come Brando, allora bisogna per forza vederlo. 

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One-Eyed Jacks semble même se nourrir de ses lenteurs, des évidentes hésitations d'un scénario dialogué et d'une néophyte réalisation. Celles-ci procurent d'ailleurs aux quelques épisodes d'action (souvent cruels) une brusquerie inattendue. Le western préféré de Martin Scorsese confine aussi parfois à la tragédie romanesque…

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La Vengeance aux deux visages ne possède ni le nihilisme du premier ni l’ironie du second ; si violence il y a, elle est souvent plus psychologique que physique et si l’humour est bien présent dans les réparties et le caractère de Rio, il n’est pas utilisé avec l'intention de vouloir dynamiter le genre de l’intérieur. Car le film de Brando, outre une histoire de vengeance, se révèle être aussi un beau film romantique et contemplatif. Malgré la réduction de sa durée de moitié, le rythme demeure lent et l’acteur-réalisateur ne cherche pas particulièrement le spectaculaire à tout prix…

 

…Non seulement Brando rend captivante son histoire malgré un rythme lent, assure une tension dramatique presque constante et contrôle parfaitement sa direction d’acteurs mais sa mise en scène, malgré quelques tâtonnements, piétinements et fautes de goûts (les transparences derrière les gros plans en champ/contrechamp lors des retrouvailles de Rio et Dad au bord de la mer) s’avère elle aussi méticuleuse, dense et remarquablement maîtrisée. Ses recherches esthétiques, son sens de la composition plastique sont eux aussi non négligeables, d’autant qu’avec la complicité du grand chef opérateur Charles Lang (qui donne lui aussi le meilleur de son talent) il utilise des décors naturels assez insolites pour un western, les désertiques paysages mexicains puis surtout la ville de Monterey située en bordure d’Océan Pacifique. Il se plait à filmer ses cow-boys à cheval devant le tumulte d’immenses vagues qui viennent se briser sur les rivages rocheux, les flots de l’océan venant rythmer quelques unes des plus belles scènes du film comme celle au cours de laquelle Louisa s’est donnée à Rio. D’autres éléments qui confinent au baroque, la présence dans un saloon en fond de plan d’un tableau de la Joconde remaniée puisque si l’on y prête attention, Mona Lisa a des cartes dans les mains…

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giovedì 8 novembre 2012

De helaasheid der dingen (La merditude des choses) – Felix Van Groeningen

tratto da un romanzo di Dimitri Verhulst (ho letto un suo libro, anni fa, "Problemski Hotel", merita), è un film che acquista valore col passare dei minuti, e quando arrivi alla fine sei soddisfatto (merito di  Felix Van Groeningen, oltre che degli attori), la famiglia Strobbe ti ha conquistato.
un piccolo gioiellino, promesso - Ismaele




Van Groneningen fa un film molto "stretto" sui protagonisti, gestendo lo spazio in modo da creare nello spettatore un turbamento claustrofobico che, in sostanza, ricalca quello del giovane protagonista. L'autore propone un film molto sincero in cui, alla fine, non si riesce proprio a disprezzare quei personaggi certamente negativi ma anche così umani.

il film di Van Groenigen si esprime col registro del disgusto visivo, basato su un tripudio di liquidi organici: nella spudorata incontinenza dei corpi si manifesta la disgregazione della morale, che conosce solo il richiamo degli istinti più animaleschi, sia pur, in qualche misura, disciplinati dalle regole della convivialità paesana. Sono i riti collettivi a partorire mostri: le bevute in compagnia, le gare amatoriali di ciclismo, le carnevalate, che a Reetveerdegem sono un invito alla depravazione, individuano nella massa, soprattutto quella confinata nelle aree depresse della provincia, il fertile terreno nel quale germogliano le erbacce.  La bruttura inizia e finisce come un gioco, perverso ma ruspante, rozzo ma fantasioso: è impastato di sudiciume eppure sfoggia colori vivaci, è inesorabilmente tragico, eppure è intriso dei toni della commedia. E, allo stesso modo, riesce ad essere, nel contempo, inverosimilmente eccentrico e genuinamente popolare. Forse il suo segreto è la capacità di passare, in maniera pungente, attraverso tutti e cinque i sensi, con le speziate emanazioni della vita che, godendo, si moltiplica e si consuma.

Quel surprenant tableau de famille que voilà ! Les 4 frères Strobbe sont tous de véritables poèmes : Pieter, l’aîné, tout en muscles et en moustache ne jure que par sa batte de base ball ; Lowie ramène chaque soir une fille différente dans le lit jumeau à celui de son neveu (sa coupe mulet, à faire pâlir un joueur de la Mannschaft, les fait toutes craquer !) ; Koen, le troisième, est insignifiant tant il est déconnecté de la vie réelle. Seul Marcel, le père de Gunther, est réellement attachant. Pourtant ce n’est pas le dernier à boire et à réaliser des paris stupides. Pas facile de grandir avec de tels repères quand on est un adolescent timide et peu doué pour les études…

La vitalidad de los afectos contiene algunas escenas memorables en las cuales no se ahorra descripción alguna. El concurso de beber cerveza, la carrera de ciclistas desnudos, el polvo contra la pared del bar, la borrachera con canciones de Roy Orbison y el baño al aire libre donde cagan los Strobbe son postales de un retrato lamentable, hilarante, despreciable, querible y, sobre todo, sincero. Con el aporte de unas actuaciones soberbias, el relato de Felix Van Groeningen (quien a su vez se basó en la novela de Dimitri Verhulst) entrega toda su visceralidad sin golpe bajo alguno. Por toda la mugre que nos hace ver no hay reproche que hacerle.
Lejos de ese pasado de violencia y peinados ochentosos, el Gunther adulto consigue finalmente convertirse en escritor. De vez en cuando vuelve a Reetveerdegem a visitar a esa tribu de salvajes cuya penosa existencia le valió su obra consagratoria. Claro que con el éxito llegó la vida que tanto anhelaba, junto a una nueva mujer y a un nuevo hijo por los que, ahora sí, siente afecto. Algo así como un salto de calidad que lo alejó del infierno anterior. Van Groeningen no lo juzga, y quizá tampoco deberíamos hacerlo nosotros. Si hay algo que no se le puede señalar a su película, como dijimos, es falta de honestidad.