venerdì 29 gennaio 2021

Jenin, Jenin - Mohammad Bakri

 


Perché quel film va distrutto? - Miko Peled

Con una decisione particolarmente drastica, un tribunale israeliano ha stabilito che la proiezione del film documentario “Jenin, Jenin” sarà vietata in Israele. Inoltre, tutte le copie del film devono essere ritirate e distrutte. Il tribunale è andato anche oltre condannando il produttore, regista e attore Mohammad Bakri, l’uomo dietro il film che documenta l’assalto israeliano al campo profughi di Jenin, di risarcire un ufficiale israeliano che ha partecipato al massacro e appare nel film per circa cinque secondi.

L’invasione militare israeliana del campo profughi palestinese di Jenin e il massacro che ne è seguito hanno avuto luogo nel marzo 2002. L’esercito entrò nel campo con carri armati, forze speciali, unità di comando e diverse brigate riserviste. Il campo è stato bombardato dall’aria e da terra. Diverse centinaia di combattenti palestinesi hanno combattuto eroicamente, armati solo di fucili semiautomatici e rudimentali abilità di guerriglia. Venticinque soldati israeliani persero la vita nel campo e innumerevoli palestinesi, per lo più civili, furono uccisi.

Zittire le testimonianze dei sopravvissuti

“Jenin, Jenin” include testimonianze di persone di tutte le età che hanno vissuto l’assalto israeliano al campo. Non c’è dubbio che ascoltare le descrizioni e le esperienze dei sopravvissuti a quel terribile trauma sia straziante. Ma lo stesso Bakri non fa mai accuse dirette nel film. Mostra filmati di soldati israeliani, carri armati e veicoli corazzati, e di palestinesi che vengono arrestati, ma in nessun punto del film viene fatta un’accusa reale ed è chiaro che le uniche prospettive offerte nel film sono quelle di coloro che vivono nel campo.

Ci furono molte proteste in Israele non appena il film fu distribuito. Bakri è stato definito un nazista e calunniato dalla stampa e dall’opinione pubblica per aver osato mostrare ciò che i palestinesi avevano vissuto per mano dei soldati israeliani che entrarono nel campo. I soldati che avevano partecipato a quella che è conosciuta come “La battaglia di Jenin” chiesero alle autorità israeliane di censurare il film e di non permetterne la proiezione nei cinema, e alla fine ottennero quello che volevano.

Il film è stato bandito dall’Israeli Film Ratings Board (Commissione di Censura Cinematografica Israeliana) sulla premessa che fosse diffamatorio e potesse offendere il pubblico. Bakri ha fatto appello contro la decisione e il caso è arrivato fino alla Corte Suprema israeliana, che alla fine ha ribaltato la decisione della Commissione. Da allora, coloro che hanno partecipato all’assalto hanno cercato in tutti i modi di fermare il film.

Nel novembre 2016, Nissim Meghnagi, un ufficiale riservista che ha preso parte all’operazione Scudo Difensivo, nota anche come il massacro al campo profughi di Jenin, ha citato Bakri per 2,6 milioni di shekel, l’equivalente di circa 650.000 euro. Nella sua causa, Meghnagi ha affermato di apparire ed essere stato nominato nel film, e che diffamasse i soldati israeliani presentandoli come criminali di guerra.

Bakri sostenne, giustamente, che lo scopo della causa era persecutorio e politico, e che il film non fa alcuna accusa contro Meghnagi in particolare. Mostra solo, come Bakri ha continuamente ma inutilmente rivendicato, il punto di vista dei palestinesi che hanno subito l’assalto al campo. Tuttavia, il tribunale distrettuale della città di Lyd occupata da Israele si è pronunciata a favore di Meghnagi e ha condannato Bakri a risarcire Meghnagi con l’equivalente di 44.000 euro. Ora il caso dovrebbe tornare alla Corte Suprema.

Una storia di crimini di guerra

Le forze israeliane non hanno permesso alla Croce Rossa o ad altri osservatori internazionali di entrare nel campo per molti giorni dopo la fine dell’assalto. Questo gli ha permesso di ripulire il campo prima che qualcuno dall’esterno potesse accertare i fatti.

Le autorità israeliane, i tribunali, i media e l’opinione pubblica tendono a considerare le affermazioni palestinesi riguardanti violazioni dei diritti umani, violenza e massacri commessi da unità militari come bugie. Le indagini interne condotte dall’esercito e da altre agenzie governative israeliane raramente ritengono le forze israeliane colpevoli di qualunque crimine.

La ragione per cui “Jenin, Jenin” ha causato una reazione così forte in Israele è che le persone coinvolte, direttamente o indirettamente, sanno che Israele ha una lunga storia di atrocità e crimini di guerra. Israele afferma che l’IDF è “l’esercito più morale del mondo”, eppure quasi ogni singolo israeliano è stato testimone o conosce qualcuno che ha assistito, o addirittura partecipato, a queste atrocità.

Commettere crimini di guerra di ogni tipo è una tradizione profondamente radicata nell’esercito israeliano. Risale ai primi giorni dell’era pre-statale, alle operazioni delle milizie sioniste prima che fosse formato un vero e proprio esercito israeliano. Queste milizie furono trasformate in un esercito organizzato nel mezzo della campagna di pulizia etnica della Palestina del 1948. Erano nel bel mezzo di un crimine orrendo per il quale nessuno è stato giudicato quando divennero un esercito ufficiale e quando i coloni sionisti ebrei in Palestina sono diventati cittadini di un nuovo Stato di apartheid, uno Stato la cui stessa istituzione era un crimine di guerra.

Questo è il motivo per cui c’è una tale opposizione al film e allo stesso Mohammad Bakri tra gli israeliani. Bakri ha toccato un nervo scoperto e poiché come palestinese con cittadinanza israeliana, è molto conosciuto, gli israeliani sono furiosi con lui. Bakri ha osato entrare nel campo e parlare con i suoi residenti senza mostrare ciò che è comunemente noto come “contraddittorio”. Inoltre, come è ben chiaro in tutto il film, lo spirito delle persone nel campo rimane saldo.

Più e più volte durante il film, sentiamo i sopravvissuti all’assalto, anche mentre siedono sulle macerie delle loro case, ripetere che ricostruiranno il campo casa per casa e che non si arrenderanno mai. Questo non è certo il messaggio che gli israeliani, che solo poco tempo prima avevano votato per il criminale di guerra Ariel Sharon come loro Primo Ministro, vogliono ascoltare.

Alla guida di un bulldozer D9

Il 31 maggio 2002, il giornalista israeliano Tsadok Yehazkeli, che lavorava per il quotidiano israeliano Yediot Aharonot, ha pubblicato un articolo in ebraico sull’autista di un bulldozer D9 che aveva il soprannome di “Bear the Kurd” (Orso il Curdo). “Bear” si è fatto notare durante l’assalto al campo profughi di Jenin, quando per 72 ore di fila ha guidato il suo bulldozer tra le case avvolte in una coltre di fumo distruggendo ogni cosa sul suo cammino, radendo al suolo le abitazioni indipendentemente dal fatto che fossero abitate o meno.

È stato sentito vantarsi: “Ho trasformato il campo in uno stadio di calcio” e “non ho rimpianti. Sono orgoglioso del mio lavoro” e “Non ho lasciato scampo a nessuno mentre demolivo le case con il mio bulldozer”. Niente di tutto questo viene mostrato o menzionato nel film di Bakri, eppure fornisce un’idea dell’esaltazione tra le truppe israeliane che sono entrate nel campo.

L’unità dell’esercito in cui operava il guidatore del D9 ricevette una medaglia per le sue azioni durante l’assalto, e l’uomo conosciuto come “Bear the Kurd” divenne un eroe per le truppe. Poiché così tanti furono sepolti sotto le macerie, fino ad oggi nessuno sa esattamente quanti palestinesi siano stati uccisi nel 2002 nel campo profughi di Jenin.

È difficile prevedere cosa deciderà la Corte Suprema di Israele quando si pronuncerà sul caso Bakri. Tuttavia, in uno stato costruito su crimini di guerra e atrocità, ci si può aspettare che tutti i rami del governo si concertino per impedire che la verità venga fuori. In ogni caso, pochi crimini di guerra israeliani sono documentati come questo, e quindi “Jenin, Jenin” deve essere visto e condiviso ampiamente.

Petizione a favore di Mohammad Bakri

Miko Peled è un autore e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme.  È l’autore di “The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine” e “Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five”.

Fonte: English Version

Fonte italiana e traduzione: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org

da qui


giovedì 28 gennaio 2021

Luton - Michalis Konstantatos

gente con una vita di merda, noiosi e annoiati, il cui unico sfogo è la sopraffazione dei più deboli.

chi può scapperà (a Luton).

il cinema greco riflette la tristezza della vita di quegli anni, l'assenza di futuro e l'impotenza (solo di quegli anni?).

di sicuro il cinema greco degli ultimi 10-15 anni non è sponsorizzato dall'Ufficio del Turismo della Grecia.

buona visione - Ismaele


 

 

 

 

Il gioco di estenuazione nei confronti dello spettatore si fa più scoperto e provocatorio, ostacolando l’immedesimazione fin quasi allo sbarramento e facendo delle tre vicende intersecate di Maria, Makis e Jimmy un susseguirsi di azioni in cui l’intensità narrativa si approssima al grado zero. Grazie a questo trattamento reticente e antidrammatico, l’esplosione finale di violenza non si lascia irretire in spiegazioni rigidamente e meccanicamente sociologiche, mantenendo un margine d’inesplicabilità che scongiura l’effetto denuncia con la complementare, temibile semplificazione della lettura moralizzante. Nessuna scappatoia in Luton se non l'indicazione geografica del titolo, via di fuga che spezza all'improvviso - e soltanto per chi se la può permettere - la circolarità di un microcosmo all'insegna della prevaricazione e dell'umiliazione quotidiana.

da qui

 

La película muestra de forma radical, desnuda y nítida la definición de soledad. Y no por no tener a nadie en la vida, sino más bien por estar rodeado de gente a la que no le importas, lo que se nos antoja mucho peor. Tres personajes aparentemente desconectados serán los que nos acompañarán en este descenso a nuestro propio interior, porque es imposible no pensar en algún momento en el que no hayamos sufrido este tipo de sensación: el ser apartado, ninguneado, ignorado. Como los tres protagonistas. El tema es qué hacemos para liberar toda esa rabia que se nos acumula en nuestro interior…

da qui

 

Konstantatos logra mostrar como el germen del estallido social se encuentra en el día a día de la persona de a pie y logra que esta idea traspase la propia trama y se instale en la forma de la cinta. Sin duda, Luton es una película que requiere de varios visionados para entender hasta dónde puede llegar el nivel de detalle y de precisión formal y temática que encierra la propuesta de Konstantatos. Y es por ello que la reflexión final que nos deja no es otra que la del miedo a nosotros mismos. El viaje desde el comentario políticamente incorrecto a media voz y en privado a la acción violenta y primaria puede que sea mucho más corto de lo que nos pensamos: del mismo modo que la mecha va prendiendo poco a poco a través de escenas largas con planos estáticos casi interminables, puede que estemos ante una sociedad cuya tranquilidad cotidiana encierra una verdadera bomba de relojería.

da qui



mercoledì 27 gennaio 2021

Family Romance, LLC - Werner Herzog

sembra che Werner Herzog abbia girato molti documentari (dipende dalla definizione di documentario, naturalmente), e un po' di film di finzione. Family Romance, LLC è un documentario di finzione, o sulla finzione, che di più non si può.

chi ha studiato economia sa che beni e servizi nascono dai bisogni delle persone (si chiamano consumatori se spendono i soldi necessari a soddisfare i loro bisogni).

Ishii Yuichi, protagonista del film, ha un impresa che soddisfa bisogni, non i piccoli bisogni di tutti i giorni, ma quelli profondi, che nessuno si immagina di poter soddisfare, Ishii è un grande conoscitore dell'animo umano, e in quelle profondità si immerge, è un lavoro difficile e pericoloso, non c'è niente da ridere, molto da soffrire.

la società giapponese è piena di persone che si sentono non adatte, che non riescono a parlare, ancora desiderano, ma non sanno la strada, Ishii soddisfa bisogni (un po' come Wolf, mutatis mutandis, che risolve problemi).

cercate questo film, non ve ne pentirete, promesso.

il dio del Cinema conservi Werner Herzog, amen - Ismaele


ps: musiche bellissime


 

 

 

Filmato in bassa definizione, Family Romance, LLC illustra l'utopia di un uomo che vorrebbe ristabilire da solo l'equilibrio della (sua) società. Herzog si insinua nelle sue giornate, frequenta i suoi clienti, registra i desideri dei suoi clienti in ambasce per indagare da vicino questa pratica singolare, per decifrarla. Al cuore del film e di una mancanza si muove una sorte di giustiziere dei tempi moderni, che fabbrica verità e affetto. Forse il denaro non compra l'amore ma può comprare l'illusione dell'amore. E tutto nel mestiere del protagonista è 'apparenza'. Basta chiedere (e pagare) e lui può diventare il vostro migliore amico o un parente caro da piangere al funerale.
La società, fondata nel 2011, può coprire tutti i ruoli e recitare tutte le situazioni immaginabili, colmando assenze insopportabili o mitigando gli scacchi della vita. Family Romance, LLC è lo 'spin-off' del progetto ambizioso e onirico di Roc Morin, giornalista, fotografo, regista e produttore americano (del film di Herzog) che ha curato "World Dream Atlas", una collezione di sogni (e di incubi) raccolti in diciotto paesi. Herzog mette in immagini il male della società giapponese del Ventunesimo secolo, tracciando una riflessione sulla derealizzazione del mondo, dove tutto diventa simulazione e i robot si impongono.
Condottiere dell'impossibile, sovente confuso col suo attore feticcio, Klaus Kinski (Aguirre, furore di DioNosferatu il principe della notteFitzcarraldo), Werner Herzog conferma ancora una volta l'impossibilità di ricondurre il suo cinema a un registro preciso. Eterogenea e sempre impegnata a flirtare con la follia o il primitivismo, l'opera dell'autore interroga costantemente il posto dell'uomo nel mondo. Family Romance, LLC, finzione filmata come un documentario, affonda le radici in un Paese in cui la solitudine è diventata un fenomeno nazionale, addirittura un modo di vita (hikikomori), specificatamente, una resistenza passiva a una società esigente…

da qui

 

Family Romance, LLC, filme planeado de manera casi casual, recurre a un imaginario muy popular en el mundo globalizado: el que corresponde al Japón de lo otaku y lo hipertecnológico. La mirada de Herzog renueva la nuestra propia, realzando lo que hay de extraño e inquietante en realidades que hemos aprendido a normalizar. Pese a que por momentos podría parecernos un registro de episodios casi aleatorios —desde una visita al Hotel Henn-na, atendido por robots, hasta los cosplays en Yoyogi—, en realidad Herzog está tomándole el pulso al estado de una civilización. Con la calculada ligereza de un dorama, el cineasta esboza intuiciones, no exentas de poesía, a propósito de un país donde conviven tradiciones primitivas, de raíz mágica, con un estado avanzado de la sociedad del simulacro y la simulación. Por primera vez en la filmografía del alemán —y este es uno de los aspectos que hacen de Family Romance, LLC una obra importante en su carrera—, el ser humano ha alcanzado en su conquista de cimas absurdas su último límite. Aquel que ya no puede franquear sin convertirse en algo distinto, inédito. Un diálogo sencillo y emocionante sigue resonando tras concluir esta fábula:

—¿Estás intentando comunicarte con alguien muerto?

—No, intento hablar con alguien vivo.

da qui

 

Cittadino di un mondo senza confini e con ancora pochi limiti da superare, il gigante e temerario regista tedesco Werner Herzog si trasferisce in Giappone per studiare il fenomeno di questa incredibile, stravagante concezione di business, che prende origine da uno spunto sconcertante: la solitudine e, come causa e conseguenza, l'indifferenza che regna sovrana in una società realizzata ed evoluta a tal punto da perdere di vista quell'umanità di fondo che ci ha reso esseri viventi sensibili e premurosi almeno nei confronti del ceppo familiare tradizionale.

Herzog utilizza l'approccio curioso e senza fronzoli di chi mira con concretezza al cuore del problema, ma stavolta aggiunge alla sua scandagliata indagine, che prende in esame anche quanto il progresso tecnologico possa incidere su questa specie di disumanizzazione in corso, una sorta di apporto narrativo che differenzia il film dai suoi più recenti ed ottimi lavori documentaristici, utile a definire il fulcro della problematica, e la soluzione a cui il business si spinge per risolvere da una parte un problema ormai generalizzato, dall'altra per lucrarvi sopra in cambio di una efficace soluzione di fondo.

E' davvero incredibile come l'uomo Herzog riesca ad adattarsi a tutte le circostanze, a tutti i luoghi e situazioni che lo vedono acuto indagatore di fenomeni o processi interessanti o curiosi che ci circondano, da abile uomo di mondo quale egli è sempre stato, nonché esploratore instancabile dei misteri più profondi di un pianeta in continua evoluzione anche quando minacciato da una presenza umana invasiva e molesta, ed una medesima umanità sempre più sola e sempre meno capace di interagire all'interno di se stessa, che sempre più spesso avrebbe bisogno di fermarsi un attimo per riflettere e fare il punto sul traguardo raggiunto, lasciando da parte tentazioni commerciali e consumistiche.  

da qui

 

Family Romance LLC è un film unico. Non somiglia a nulla, non ha un genere. Non è realmente un documentario ma non è un film di finzione. È un’opera costruita a partire dalla realtà, in collaborazione con i suoi protagonisti che qui diventano attori come in un film di Roberto Minervini. Werner Herzog spoglia il cinema di ogni ammennicolo, limitandosi ad intendere il mezzo come una semplice possibilità di inquadrare, riprendere e raccontare una storia. Senza musica, senza recitazione, senza soldi e senza fotografia la realtà diventa finzione.

da qui


lunedì 25 gennaio 2021

Roza - La terra dei due fiumi - Kutbettin Cebe

quando gli aguzzini non riescono a imprigionare un popolo si vendicano su chi ne parla.

buona visione - Ismaele


 


Il regista curdo Kutbettin Cebe condannato al carcere per un documentario sul Rojava.

Il regista curdo Kutbettin Cebe, 32 anni,  è stato condannato da un tribunale di Balıkesir con l’accusa di "fare propaganda per un'organizzazione terroristica".

La base di questa condanna è il documentario "Roza - La terra dei due fiumi" sulla rivoluzione di Rojava, girato da Cebe nel 2016. Il film tratta i vari aspetti della rivoluzione sociale di curdi, siriaci e arabi, che hanno creato strutture di governo autonomo in Rojava nel bel mezzo della guerra civile siriana e hanno combattuto sia contro il regime di Assad che contro i gruppi jihadisti. Cebe descrive il suo lavoro come una critica ai media mainstream occidentali, che hanno spesso riportato i successi militari della rivoluzione di Rojava, senza mai citare quelli socio-politici.
Il processo si è svolto presso il 3° tribunale del circuito di Balıkesir. Cebe era in tribunale, il suo avvocato difensore, Ebru Akkal, si è unito all’udienza da Ankara attraverso il sistema di controllo video SEGBIS. Akkal ha dichiarato che non è stato commesso alcun reato e ha chiesto l'assoluzione del suo cliente. Ha anche chiesto la revoca del divieto di viaggio precedentemente imposto a Cebe. Lo stesso Cebe ha dichiarato in sua difesa: "Ho fatto un documentario all'epoca della guerra contro l'autoproclamato Stato islamico. Come regista, faccio domande e ottengo risposte. Respingo fermamente l'accusa di "propaganda terroristica"".
Il tribunale ha condannato Kutbettin Cebe a due anni e quattro mesi di reclusione. Finché il verdetto non sarà definitivo, il regista rimane libero. Ebru Akkal ha già annunciato che farà appello alla sentenza.

da qui


ricordo di Jean-Pierre Bacri

sabato 23 gennaio 2021

Chi è senza colpa (The Drop) - Michaël R. Roskam

Michaël R. Roskam va in trasferta negli Usa, capita a molti, e fa un piccolo film, quasi intimista, una piccola storia di (forse) amore e di (è sicuro) violenza.

bravi gli attori a rendere interessante la storia, quella del colpaccio ai mafiosi (non più italo-americani).

non sarà un capolavoro, ma Tom Hardy, timido e violento, vale da solo il prezzo del biglietto (se esistessero le sale cinematografiche).

buona visione - Ismaele

 

 

 

 

Tratto da un racconto breve di Dennis Lehane che l’autore di Boston ha poi espanso in un romanzo appena pubblicato in Italia da Piemme con lo stesso titolo del film, Chi è senza colpa è un thriller freddo e dal ritmo compassato, ma con una storia intrigante e ricco di personaggi giustamente enigmatici. Per la prima volta è stato lo stesso Lehane ad adattare per il grande schermo il suo lavoro, e non si può dire che abbia mancato il bersaglio: dialoghi mai banali e secchi quando serve, tensione strisciante che esplode a sorpresa e un’ambientazione convincente tra i bassifondi di New York…

da qui

 

Chi è senza colpa è un film che si muove piano, un sommovimento costante e sempre più inquietante, una goccia dopo l’altra, fino a concentrare la sua energia in un finale di grande intensità. Il delizioso Rocco, curioso nome del cane, sembra messo lì come sorta di McGuffin o cupido per far conoscere Bob e Nadia, ma diventerà il motore delle esplosioni emotive dei personaggi coinvolti. Lì spingerà a prendere in mano il loro destino, senza indugi e troppi sensi di colpa…

da qui

 

…Tom Hardy, lui, il Grande, l’Attore, gioca a fare il piccolo Edward Norton e da contratto interpreta per sottrazione, ma dovrebbe smetterla una volta per sempre, basta con la dicotomia tra Bronson e Locke, possiede tutte le corde di questo mondo e occorre fare in modo che sia libero di suonarle. Noomi Rapace è indegnamente svilita, il ruolo dell’emaciata pupa del pazzoide le sta addosso come un sacchetto di cellophane sul viso, parimenti soffocante. Gandolfini fa quel che sa, sembra Palminteri in una cartolina da Little Italy, poi gli altri comprimari hanno due dimensioni e non riescono a occupare un fotogramma che sia uno. Il racconto di Lehane vorrebbe essere edificante alla maniera di Lehane, ma muore di luoghi comuni e di frasi fatte, l’immanenza e la necessità del male naufragano nella palude del non significante…

da qui

 

mercoledì 20 gennaio 2021

L'affare della sezione speciale - Costa-Gavras

Costa-Gavras fa centro, in un film che racconta un'accezione diversa della banalità del male.

durante la repubblica di Vichy, una specie, mutatis mutandis, di repubblica di Salò, i governanti francesi si erano uniti, abbracciati, fusi con i tedeschi, e contro la Resistenza si comportavano esattamente come i nazisti.

i nazisti pretendevano, e riuscivano senza tanto sforzo, che i francesi ghigliottinassero alcuni innocenti, per spaventare tutti.

e per ottenere questo, la banalità del male si traveste da tribunali, toghe, processi farsa, a norma di legge (infame).

grande e terribile film, da non perdere - Ismaele

 

 

QUI il film completo, con sottotitoli in portoghese


 

L'affare della Sezione Speciale non costituisce soltanto una lucida e spietata disamina delle vergogne del collaborazionismo: la pellicola, tra le più controverse del regista greco quanto meno in termini di accoglienza da parte della critica, sceglie infatti, piuttosto coraggiosamente (e coerentemente con il proprio cinema: il “nemico”, infatti, è sempre il Potere), di circoscrivere l'analisi storica alle dinamiche politiche e morali che scatenarono e consentirono quest'aberrazione giuridica perpetrata in nome della ragion di Stato. Scelta senz'altro rischiosa, soprattutto per il pericolo di affondare nella retorica e nel populismo: L'affare della Sezione Speciale, invece, riesce ad aggirare le trappole della demagogia puntando sul taglio incalzante del racconto, scandito dall’escalation dei processi, tra le udienze in aula e le delibere private della Corte in Camera di Consiglio, e sul sarcasmo e sull’indignazione con cui gli autori si accostano alle manovre politiche e ai giochi di potere dei personaggi coinvolti nella vicenda.
Quello che la maggior parte dei detrattori del film imputò alla scrittura di Costa-Gavras e Semprùn, ovvero la verbosità della sceneggiatura, l'ampollosità dei dialoghi, invadenti fin quasi al didascalismo, si rivela, però, anche un paradossale punto di forza della pellicola, che alla distanza riesce a caratterizzare con maggiore equilibrio e intensità di toni il crescendo di indignazione suscitato dalla rievocazione della vicenda: il paragone, piuttosto che con le forme del cinema di denuncia degli anni Settanta, è con il Rossellini “didattico”, secco (ma, non a caso, verboso), seriale, lucidissimo e sempre estremo nelle scelte di metodo (il rigore della Storia vs. la rarefazione emotiva) del decennio conclusivo e notoriamente più “teorico” della propria carriera.

da qui

 

…è un film che dimostra come la regia di Costa Gavras sia sempre concentrata sull’esercizio autoritario del potere, intenta a smascherarne tutta l’impalcatura politica che ipocritamente ne rende necessaria l’applicazione. Sempre con il pregio di conferire un ritmo serrato ad una narrazione che, altrimenti, risulterebbe soffocata da troppa (inevitabile) verbosità, e sempre col difetto più o meno accentuato di rasentare le derive tentatrici della retorica di maniera o del didascalismo spicciolo. Dall’equilibrio di queste caratteristiche di stile (chiamiamole così), Costa Gavras ha spesso fatto pendere la bilancia verso un esito positivo delle sue opere. A mio avviso, tutti i suoi film concentrati sull’analisi della violenza del potere (oltre a quelli già menzionati includerei anche “L’Amerikano”) meritano di essere visti e di essere riflettuti.

“I tedeschi volevano sei morti. Al posto dei tre “sfuggiti” alla ghigliottina, fucilarono tre appartenenti alla Resistenza. Ma i tre “sfuggiti”, così come gli altri condannati, furono giustiziati in seguito o morirono nei campi di concentramento. I Tribunali Speciali rimasero in attività per tutta l’occupazione. Dopo la liberazione nessuna sanzione grave fu presa nei riguardi dei magistrati che in essi avevano operato. Sempre la ragion di Stato……”

da qui

 

Poco conosciuto questo film di Costa Gavras che sullo sfondo del governo collaborazionista di Vichy orchestra con una certa maestria una vicenda paradossale e grottesca nella sua tragicità, cioè quando i principi che regolano il diritto vengono calpestati di fronte alla cosidetta ragion di stato. si innesca quindi una vicenda dai toni cupi, quasi kafkiani, dove viene distrutto ogni principio di legalità. Pur essendo un film che si svolge quasi totalmente in interni, il ritmo è estremamente serrato e il regista evita di addentrarsi in tecnicismi che avrebbero affossato certamente il ritmo della pellicola. Non è uno dei migliori film del regista di Z e L'amerikano, ma vale la pena dargli un'occhiata.

da qui

 

…prend la forme d’un violent réquisitoire contre la France collabo et les agents sans scrupules du pouvoir d'hier comme d'aujourd'hui, en détaillant assez scolairement (le propre de beaucoup de reconstitutions historiques) les rouages de la machine institutionnelle. Le film est sous certains aspects plutôt grand public, mais il assène des vérités peu agréables à entendre sur cet intermède historique (et qui suscitèrent à l’époque, dans les années 70, des réactions violentes de la part des magistrats). Les politiques y sont dépeints, pour beaucoup, comme des hommes à l’opportunisme patent, sans cesse renouvelé, les yeux rivés sur leur carrière depuis l'ENA, n’hésitant pas à instrumentaliser la justice pour asseoir leur autorité. Quelque part, il donne à voir ce que pourrait être la naissance d’un régime de dictature, dans un cadre dépourvu d'opposition structurée, exerçant son pouvoir grandissant dans le strict espace que lui confère la loi — qu’il a lui-même modelée. Ce n'est pas la nomination d'un chancelier de la République de Weimar en 1933, mais presque. Costa-Gavras en fait des tonnes pour souligner (surligner au stabilo serait plus juste) l’arbitraire de la situation, des dossiers de prisonniers à exécuter que l’on choisit au hasard aux gestes mécaniques du procureur général et du président de ladite section spéciale. Les citations des grands principes fondateurs de la constitution, comme la séparation des pouvoirs théorisée par Locke et Montesquieu, auraient gagnées à être plus subtiles et mieux contextualisées. Mais le film a le mérite non négligeable de se saisir d'un événement historique assez peu connu, et la dimension contemporaine de ses enjeux reste saisissante. Enfin, le réalisateur aura au moins eu le très bon goût de confier le rôle (mineur) du secrétaire général de L’Humanité à Bruno Cremer, auteur d'un discours à la morale un peu trop facile et à la signature un peu trop évidente, et celui (encore plus mineur) d’un des rares magistrats intègres à Michel Galabru.

da qui

 

…"Special Section" is the sort of film Costa-Gavras excels at (it comes after "Z," "State of Siege" and "The Confession"). It expresses a moral protest while at the same time dealing with the banal details of murder (the judges are all too concerned with getting to their swearing-in ceremony on time that they shun the task of picking their victims). If the movie isn't as absorbing as "Z" or "The Confession" - if it doesn't have Costa-Gavras' customary touch of melodramatic outrage, maybe that's because the special sections themselves were so cut and dried. Men died and French law was raped and it was all done with the most proper ceremony.

da qui


lunedì 18 gennaio 2021

Holubice (La colomba bianca) - Frantisek Vlácil

premetto che Frantisek Vlácil è un grandissimo regista, anche se da noi è praticamente sconosciuto.

Holubice è la sua opera prima, per molti registi sarebbe il loro capolavoro, ma non voglio essere polemico o antipatico.

il film racconta di una colomba bianca viaggiatrice, attesa da chi l'ha allevata, in Germania.

la colomba si ferma invece a Praga, perché un ragazzino in sedia a rotelle le ha sparato.

la magia del film sta in quello che la colomba riesce a tirare fuori dagli umani, in Germania la aspettano e due giovani si innamorano grazie alla colomba che non arriva e nessuno sa perché, il bambino si pente e comincia a guarirla, e guarisce anche lui, un pittore dipinge un quadro bellissimo, protagonista la colomba, e aiuta il bambino a crescere.

la Praga magica si vede sempre sullo sfondo, ma anche la periferia è magica.

se non hai paura della bellezza del cinema e se non soffri di vertigini per il volo bellissimo della colomba e della poesia, allora questo film è per te.

buona visione - Ismaele

 

 

QUI il film completo, con sottotitoli in inglese

 

Le peripezie di una colomba viaggiatrice sono al centro di questo film: si perde, viene ferita, viene curata fino a quando... Il primo lungometraggio di Vlacil è già un piccolo gioiello ricco di stile e poesia. Il regista mostra sin da subito grandi capacità nell'allestire inquadrature molto curate e di grande bellezza visiva. La storia è semplice ma non manca della capacità di coinvolgere lo spettatore. Per non creare aspettative eccessive è bene dirlo: le vette di Marketa Lazarova sono certo lontanissime, ma avercene di esordi così.

da qui

 

It’s a very simple story it’s about a boy who nurses a dove after he injures it so it can return back home. It contrasts his story and the girl Susanne waiting for it’s return to his home in the Baltics. There really is much more to that story than that, it’s only slightly over an hour. It exceeds its simplistic story which wonderful cinematic touches throughout. It’s compared to Kes in the press notes but it’s a very strange comparison cause it has tons of surrealistic touches, which is the complete opposite of Ken Loach’s great film. It’s photography is truly stunning and leaves indelible marks on the viewer’s memory, it won award for it’s cinematographer Jan Curík who would later shoot Valerie and Her Week of Wonders and The Joke

da qui

 

…Our tale begins with a young wheelchair-bound boy, Michal (Smyczek), coming upon the titular dove after it gets lost in a storm on the way to the sea. He impulsively wounds it with his air rifle but, goaded on by artist Martin (Irmanov), Michal urgently wishes to nurse it back to health. Meanwhile the bird's intended owner, a young girl, wait for its arrival, and Martin works on producing a stylized print inspired by the bird's arrival.

Simple but visually striking, The White Dove manages to spin visual poetry out of its simple structure with the final fifteen minutes in particular turning into an almost entirely nonverbal feat of storytelling. The idea of a world connected by the behavior of people to each other and the creatures around them is handled with restrained effectiveness, coupled with compositions that become more stylized and powerful as the film progresses. It's certainly a far cry from the animal-themed movies Disney was turning out around the same time…

da qui

 

What on paper seems like an undistinguished and nominally uplifting fable turns out to be a finely crafted miniature, splendid with echoing visual metaphors and painterly details. The contrasting palette of deep, smoky grays and bleach whites is echoed in the score, which alternates between sonorous orchestral motifs and shimmering, chiming electronic passages. In addition to the symmetry within the individual frame, there are visual cues joining the scenes in the two parallel locations of the film; ripples in glass prefigure the rolling waves of the seaside; the layered reflections of a cityscape in Martin’s window become warm glints of sunlight in a lagoon at low tide.

Director Vlacil’s method of rigorous pre-planning is evident throughout the film. Geometry, both intensely structural and giddily ephemeral, infuses its compositions. He and cinematographer Jan Curík make ample use of laminal compositions. Their frames will often incorporate bodies and their shadows, along with numerous points of focus on a single plane, not to mention the use of glass surfaces that carry both the image of the object behind them and an imposed layer of text or reflection, code or embodiment.

The avian theme, symbolizing liberation, goes back to Old Testament Noah and surely before, inspiring people by traversing that which they are unable or unwilling to themselves, and with ease and grace. But the homing pigeon carries a special significance for people of the 20th Century, passing over walls and political boundaries to deliver news from the free world, the just world (as it exists in the mind of the imprisoned), materializing from an idealized nothingness and baring the thread that leads back to our past of a unified humanity. There are so many things flying through the sky (bombs, satellites, helicopters, etc.) but the dove is somehow separate from these, untarnished and eternal.

da qui


sabato 16 gennaio 2021

Undine - Un amore per sempre - Christian Petzold

Paula Beer e Franz Rogowski sono bravissimi, Undine, che cerca l'amore, fino alla fine, e poi tutto si paga, e Christoph (che mi sembra un Jaoquim Phenix tedesco) diventano innamorati oltre i limiti concessi, occorre arrivare alla fine per saperlo.

il film è anche la storia urbanistica di Berlino, che è cambiata tante volte per restare se stessa, raccontare Berlino è il lavoro di Undine al museo.

il mi mi ha ricordato un po' La forma dell'acqua, di Guillermo del Toro, un po' Ondine, di Neil Jordan, fra gli altri.

è una storia d'amore uguale e diversa, bel film - Ismaele


 

 

….Undine (Paula Beer) è una storica freelance devota all’evoluzione urbanistica della città di Berlino. La incontriamo per la prima volta mentre minaccia l’amato Johannes (Jacob Mastchenz) di tener fede ai suoi propositi di amore eterno, proponendo in alternativa soluzioni drastiche. L’impasto di quotidiano e mitologico che anima il confronto tra i due illude sulla capacità del film di conservare la magia del doppio spirito, realistico/fantastico. Fallito il primo tentativo, Undine tenta l’exploit di una seconda possibilità in aperta violazione delle regole innamorandosi del sommozzatore professionista Jacob (Franz Rogowski). L’ondina è uno spirito immortale destinato a conquistarsi l’anima tramite la perfetta unione con l’amato. Se le cose non funzionano, lui muore e lei se ne torna nell’acqua. Ostinarsi nella ricerca di un secondo amore è il succo della ribellione di una donna che sfida il racconto e forza la storia a piegarsi alle sue necessità…

da qui

 

En la Historia, la Alemania moderna que se describe en Ondina es el resultado de una suma de actos violentos que han borrado del mapa, literalmente, el pasado del país. Se entiende en las magníficas escenas, aparentemente insustanciales, que se desarrollan en el lugar de trabajo de Ondina, guía en el museo de urbanismo de Berlín. La Alemania del Oeste liquidó a la Alemania del Este, tal y como sucedió con la Alemania nazi frente a la República de Weimar o, antes, con la Alemania de los káiseres frente a la Alemania de los emperadores. Los barridos de cámara sobre las maquetas que expone el museo son muy significativos en este sentido, así como la representación de los códigos de colores que en esos mismos dioramas muestran la evolución/demolición urbanística de la ciudad. El hermanamiento es una ilusión, un relato urdido a posteriori. “El progreso es imposible”, le dice Ondina a Christoph mientras ambos contemplan un paisaje de acero y cristal. Lo nuevo no es mejor que lo viejo porque lo viejo fue también nuevo en su momento. Un poder se impone a otro…

da qui

 

Undine è dunque anche un mélo, rivisitato, asciugato, non per questo schematico, e il mélos, la musica, si adatta di conseguenza. Avrebbe avuto tanti spunti musicali, soprattutto ottocenteschi, legati alla figura della bella ninfa fluviale che uccide il compagno traditore, e invece, fin dall’incipit, impostato come un congedo tra amanti quasi da Nouvelle Vague, Petzold fissa la temperatura emotiva con il tema musicale che diventerà ricorrente: l’Adagio in re minore, BWV 974, dal celeberrimo concerto per oboe di Alessandro Marcello, adattato per il pianoforte da Johann Sebastian Bach: asciuttezza timbrica e tonalità melodrammatica per eccellenza. L’unico altro brano è appena canticchiato o orecchiato attraverso degli auricolari e sta all’altro polo della sfera musicale:  Stayin’ Alive dei Bee Gees, va al ritmo del battito del cuore, come lo insegnano nei corsi di primo soccorso, e come lo ha imparato Christoph, ed è qualcosa che ha a che vedere più con i miti del popD’altra parte, il cinema, che è un fatto non  solo metaforicamente architettonico, è proprio il mito che cerca una nuova forma, o meglio, i film sono forme nuove per miti antichi. Sembra questo un pensiero implicito nel cinema di Petzold, che non nasconde, per esempio, come l’apparato per le immersioni di Christoph sia mutuato dall’immaginario di Jules Verne, già filtrato attraverso lo sguardo di Richard Fleischer…

da qui

 

Ondina es una clara pieza donde lo fundamental es la búsqueda de la belleza de las cosas, ya sea en los oficios o las relaciones personales. Relato redondo, cargado con una gran emotividad, nos traslada a este mundo propuesto donde todo es posible.

Respecto al final, es una interpretación bastante fiel al de leyenda, aunque transforma la figura de la mujer, de un alma vengativa, a un ente cuyas decisiones buscan el bien para su amado. Quizás con un final menos abrupto la película hubiera conseguido su broche de oro, pero sigue siendo muy recomendable.

da qui

 

…. Undine è una divinità corrosa dai limiti umani: rabbia, gelosia, violenza nel sentire. Le sequenze magiche e acquatiche, pur di bellezza madreperlata e reminescenti tanto di Vigo quanto dell’incanto favolistico di Del Toro, non si amalgamano con l’asciuttezza cruda, grigia della Berlino quotidiana e contingente. Gli angoli battuti dai venti, i treni che attraversano la città, i plumbei paesaggi osservati dalla finestra trovano, nelle scene in immersione, un corrispettivo poetico alieno, tanto affascinante quanto estraneo.

Resta però la suggestione dell’acqua come dimensione altra e separata in cui esiste una possibilità di vita: un tema che ricorre, in forme più naturali e fluide, in tanti anime giapponesi – come Ponyo sulla scogliera di Miyazaki o 
Ride your wave di Masaaki Yuasa. A Petzold manca la visione animistica e la religione della natura propria di tanta cultura giapponese; e forse il suo sguardo occidentale è troppo inevitabilmente corrotto dall’esperienza per toccare il mito senza infrangerne l’incanto.

da qui

 

… Nel film convivono due punti di vista importanti: quello di Undine e quello del mondo; il primo occupa la maggior parte della narrazione, mentre il secondo subentra poco dopo la scomparsa della donna, facendoci vedere il mondo con gli occhi di Christoph, il suo cercatore. Disperato e affranto dalla perdita, inizia a cercare Undine ovunque, a casa, al museo, ma è come se non riuscisse mai a trovarla pur cercandola perché anche lei, come il mito, è sempre viva: ogni sua azione, ogni momento in cui si trova da sola, sono accompagnati da un leitmotiv che, soprattutto dopo la sua dipartita, ne ricorda la presenza.

Il gesto ultimo ce lo suggerisce arriva direttamente da Christoph quando in un’immersione vede Undine e risale con la statuetta del sommozzatore, sigillo del loro amore. Ma è proprio quando smette di cercarla che la trova e capisce che il loro amore è ancora vivo e così la battaglia che Undine stava affrontando per salvare ciò che li legava, diventa anche sua.

In conclusione, penso si possa guardare il film tenendo a mente la modernità della fiaba perché si è prestata in modo eccezionale ad una nuova rivisitazione, e la sua magia, ridataci da un montaggio lento ma costante, così come lo sono le fiabe; da una fotografia che valorizza i colori, in particolare nelle scene sott’acqua dove tutto assume i toni del verde e del blu, e, da ultimo, dalla chimica che unisce i due attori Paula Beer e Franz Rogowski

da qui

 

 

 


giovedì 14 gennaio 2021

Altar - Rita Azevedo Gomes

una storia d'amore oltre la morte, René Gouzène interpreta un vedovo che ricorda il suo amore.

certo non è un film di cassetta, dicono che questo si chiama cinema sperimentale, avercene così.

non esiste una trama, un assassino, un tribunale, soli immagini e parole, una vita (e la sua assenza) che viene ricordata ed evocata.

buona visione - Ismaele




 

Perhaps Rita's most experimental film. As she refers is an essay movie, which recalls a lot of recent Godard. If Rita's oeuvre always positioned itself quite close to literature and theater here we move to painting. It is breathtaking the way Acácio de Almeida's camera moves through the paintings, working with light and superimposition, giving life to the inanimate object. Again the love story in the center of everything, catalyst of the whole narrative, in the weight of René Gouzène's words.

da qui

lunedì 11 gennaio 2021

Adozione (Örökbefogadás) - Márta Mészáros

finora non ho mai visto un film comico ungherese, anche questo film lo conferma.

e i film "seri" in Ungheria li sanno fare benissimo, Bela Tarr e Miklos Jancsò, fra gli altri, lo dimostrano.

Örökbefogadás è la storia di un'amicizia quasi filiale fra Kata e Anna e del desiderio di avere un figlio, in un tono quasi documentaristico.

un gran film - Ismaele



 

 

 

 

What does loneliness mean to a 43-year-old plain looking widow who is having an affair for the last 5-years with a married man? Katalin Berek as Kata Csentes is in love with such a man, and she is troubled both by the secrecy of the relationship and that she doesn’t have her own child. Kata gets a check-up to see if she is in good health to have a baby but is disappointed that her lover, Joska (Szabó), refuses to make her pregnant, even if she wants to raise the child without him or his support.

Kata lives comfortably in a pleasant house not worried over financial matters due to her secure job in the factory where she is a skilled-worker, a trade she learned from her father who was a joiner. Nearby is an orphanage for delinquent girls. One day a group of these girls come by unannounced. A relationship is struck up with one of the troubled girls a very attractive brunette, Anna Balint (Gyöngyvér), who befriends the independent-minded Kata, asking her if she could use one of the spare rooms in the house to make love to her boyfriend Senyi (Péter Fried). Kata is put off by this request, but continues to be interested in seeing the girl.

The most perceptive thing Anna tells her when she refuses Kata’s offer of adoption, is that abandoned children are all wounded inside and difficult to manage. To show that she meant what she said about orphans, Anna pretends to be crying and when Kata goes over to comfort her she is greeted by Anna’s laughter. When Kata slaps her, Anna indignantly replies that she has been hit enough in her lifetime and doesn’t need another parent now…

da qui

 

Adoption est une œuvre remarquablement réalisée. Sur la base de travellings discrets, d’une grammaire simple plongée dans un noir et blanc somptueux, Mészáros aligne en plans moyens tendant au rapprochés une suite de portraits. Sa caméra dévisage travailleuses, pensionnaires d’un foyer ou enfants en attente d’adoption dont la vigueur apparente vient contredire l’affirmation d’Anna (qui porte au fond sur elle-même) que tout orphelin est déjà fêlé. Ce n’est que secondairement que le film donne à ressentir la chape hongroise de ces années, dans l’ennui d’un quotidien sans surprise et par l’attitude de parents oscillant entre désintérêt et désapprobation. L’amitié d’Anna et Kata est d’autant plus précieuse qu’elle prend place dans un climat de désaffection ambiante. Frappante beauté de la jeune fille, traits durcis de celle qui pourrait être sa mère… Injustice du vieillissement féminin à laquelle s’ajoute celle d’un sexisme alors omniprésent. Chercher chaleur humaine : la modernité non-ostentatoire de l’Adoption rend le film d’une intemporalité saisissante, sa sensibilité vindicative en fait un fleuron de la contestation des années 70. Un achèvement féministe.

da qui

 

...chez Meszaros, quand la douleur des personnages nous ravage, il reste toujours l’immense compassion des héroïnes qui arrivent à partager avec nous cette foi inébranlable dans la solidarité féminine et dans la beauté de la vie. Pas comme un cliché sur quelque paysage, mais dans des instants volés sur ces deux filles qui s’apprivoisent, un visage qui s’éclaire. Et grâce au casting et à la direction des acteurs, ils sont lumineux ( Katalin Berek et Vigh Gyöngyvér ). C’est quand ils se frôlent ou qu’ils se rejoignent que l’électricité passe. Pour dévoiler les âmes, Meszaros n’oublie pas de passer avant tout par la construction du personnage. « Pour cette génération de cinéastes de l’après-guerre, la vie quotidienne n’ayant pas fondamentalement changé ou s’étant même plutôt aggravée avec l’arrivée des pouvoirs communistes, il s’agissait avant tout de faire un retour sur soi. Le cinéma se devait d’être introspectif ou mettre l’accent sur des destins fortement individualisés » 2 . Les gestes simples du quotidien pèsent alors beaucoup ( la coiffure négligée de Kata en début de métrage ).

 

“Le film organise un voyage dans un monde d’enchevêtrements magiques, un monde différent qui ignore les secondes et les heures, un espace qui ne connaît pas de points précis mais des lieux significatifs. Pour Balâzs, le chemin qui y mène passe par la physionomie des êtres”3

L’autre qualité de Meszaros dans Adoption, c’est la spatialisation. Regarder et saisir au meilleur moment l’évolution des corps dans le cadre, dans ce contexte peu attrayant d’une petite ville de province ordinaire. Parce que Kata est en attente de quelque chose, de quelqu’un qui ramènerait la vie et la joie dans ses yeux. Son existence trop rangée manque l’essentiel. L’usine, mais aussi le foyer ou la maison des parents d’Anna, ne sont que des structures contraignantes et pas des lieux d’épanouissement. Un discours acerbe, assez rare dans le cinéma des pays de l’Est. La vie s’invite dans le film, non avec Joska, son amant adultère, plutôt taiseux et uniquement préoccupé de préserver le statu quo, mais avec l’apparition des filles. Belles, mal fringuées comme les orphelines prolétariennes de l’Est vouées au monde ouvrier, animaux sauvages avançant sur leurs gardes, soudées dans un esprit de groupe. Un plan qui exprime à lui seul la position de politique de Meszaros. C’est une fin de non-recevoir pour l’homme de 1975, dont elles n’ont plus besoin pour assurer leur vie.

Dans Adoption, la plupart des éléments masculins tirent la mise en scène vers l’enfermement. D’ailleurs, ils s’avèrent tous pesants, sauf en dernière extrémité, le directeur du foyer ou le médecin, participant enfin à l’émancipation de leurs pupilles et à leur mieux être. Cette volonté de libération résulte du vécu de Meszaros. Elle a connu la disparition des pères, engloutis par les purges ou supplantés par le vide idéologique des années 50, qui a succédé à la terreur des années 30. La stalinisation des esprits entrait alors dans une phase micro sociale. Le Petit père des peuples dirigeait la cellule familiale elle-même, à travers l’intransigeance des mères…

da qui