martedì 29 novembre 2011

A Torinói ló (Il cavallo di Torino) - Bela Tarr

Eraserhead dice che i commenti al film di Bela Tarr sono inadeguati (mai stato più d’accordo), Giuliano dice che di affrontare un discorso su Bela Tarr ancora non se la sente, io per mia parte provo a raccontare qualcosa che il film ha scatenato.
A partire dalla storia di Nietsche aTorino un cavallo riporta a casa un uomo, forse il vetturino di quell'episodio. E' una storia con un uomo di 58 anni, della figlia, del cavallo e un pozzo che si asciuga. Bela Tarr fa un film, che nessuno, temo, distribuirà in Italia.


La storia, a partire da pochi elementi con poco contesto, diventa universale, e tutti la possono capire, a vari livelli.


Siamo alla fine della vita di un luogo, la Terra, chissà, appare un compratore di alcol, che cerca di spiegare le cose che succedono, e non succedono, con dei miti e complotti, il padre giudica il tutto come scemenze; appaiono degli zingari che vogliono partire e si invitano al pozzo, il padre deve tirare fuori un’accetta per mandarli via. Intanto il cavallo smette di voler viaggiare e poi anche di mangiare (sta lasciandosi morire?), poi padre e figlia e cavallo partono, ma tornano indietro, è inutile fuggire, l’elogio della fuga non esiste.
Mi è venuta in mente una frase di Cesare Pavese, “Non ci si libera di una cosa evitandola, ma soltanto attraversandola.”


Tre melodie accompagnano gli eventi, la musica pulsante di Vig Mihaly, la musica incessante del vento e il suono del silenzio.


Il mondo è sempre stato difficile, per molti lo è, e il futuro sarà oscuro. Tutto è essenziale, sorrisi non ce n’è, parole solo quelle indispensabili, anche meno, non esistono telefono, tv, riscaldamento, giornali, un grado zero della tecnologia e dei rapporti umani.
Mi sono venute in mente le parole di Primo Levi, “Voi che vivete sicuri Nelle vostre tiepide case, Voi che trovate tornando a sera Il cibo caldo e visi amici:Considerate se questo è un uomo…”, un corto circuito mentale, chissà. (Pavese e Levi, sono morti entrambi suicidi, a Torino).


È un film da vedere senza rete, lasciandosene attraversare, abbandonandosi alle immagini, alla storia, ai suoni, (alle associazioni mentali); Bela Tarr non lo ingabbi in schemi precostituiti.
Come volevasi dimostrare ogni commento è inadeguato.
L’ho visto in lingua originale, con sottotitoli in inglese, forse apparirà anche con sottotitoli in italiano, chissà.


Alla fine della visione sai solo che è un film immenso. - Ismaele



...La scala emotiva che fa crescere d’intensità l’opera non ha eguali nel cinema moderno, merito della sopraccitata dedizione al ripetere che quando esibisce l’inceppamento del meccanismo rende quest’uomo e questa donna – e sì, pensateli pure scritti in maiuscolo – l’emblema dell’impotenza.
La Fine non è mai stata così enorme nel cinema, così sovrastante (leggi: sovrumana), così immensa, e di conseguenza l’uomo non è mai parso così disarmato, così povero (di qualunque cosa, sia dentro che fuori), così minuscolo alle prese con l’ovvietà delle faccende quotidiane.
E tale progressione si deve anche alle solite musiche stratosferiche di Mihály Víg che non sono un semplice accessorio, ma parte fondante che si integra totalmente nell’Immagine, innervandola, donandole potenza ed emotività, al pari di tutti gli altri film di Tarr che non sarebbero gli stessi senza le note del suo fidato collaboratore. Ma qui il riconoscimento per il comparto sonoro è doppio visto che per l’intera durata del film le nostre orecchie capteranno continuamente quel vento tremendo che spira fuori dalla casa, costante e ripetitivo, senza alcuna accezione negativa, come è il cinema di Tarr...

...It's a unique and haunting film, like a filming of a near-wordless play of Beckett, stained with an indelible sadness and regret that our world cannot be saved from darkness....

...Scavare solchi – aprire sentieri laterali, squarci di cinema possibile. Tarr appartiene a quella generazione di cineasti che ha rimesso il tempo al centro del linguaggio. Si parla di remodernismo, minimalismo, slow cinema. La mia impressione è che una mappatura critica sia ancora sostanzialmente da fare, quanto meno in ambito continentale.
Quel che è certo è che le strade del cinema che verrà passano anche da da qui.

"Memento per chi celebra la vita contadina. La stamberga nello sprofondo ungherese è squallida, il vento ulula (quando per un attimo dà tregua, ulula la colonna sonora di Mihaly Vig), l'acqua va presa al pozzo (camminando controvento). Per unico pasto ci sono due patate (una per il contadino padre, l'altro per la contadina figlia). La cavalla da tiro è moribonda e inappetente. Così finisce il primo giorno. Il secondo si ripete uguale e gli altri pure. Il riferimento al cavallo che Nietzsche abbracciò a Torino è un pretesto. Dormivano quasi tutti, e oggi scriveranno 'capolavoro'." (Mariarosa Mancuso, 'Il Foglio', 16 febbraio 2011)

ricordo di Ken Russell

sabato 26 novembre 2011

Miracolo a Le Havre - Aki Kaurismaki

ogni film di Kaurismaki è un regalo e un miracolo, come dice il titolo (solo in italiano), forse per ricordare quello di Milano.
dopo tanti film di personaggi più vecchi dell'età anagrafica, per i dolori della vita, qui appare un bambino e tutti si impegnano ad aiutarlo nel suo sogno.
bello tutto, i dialoghi, la luce, le persone, è una favola, ma concreta.
il quartiere vecchio di Le Havre mi ha ricordato la Marsiglia di Marius e Jeannette.
cercatelo e non ve ne pentirete, promesso. - Ismaele


...la battuta più bella ed emblematica del film è proprio: “restano i miracoli”, dice il dottore, “non nel mio quartiere”, chiosa Arletty. È tutto qui il miracoloso (questo sì) nodo di poesia e disincanto, ottimismo e amarezza di cui è fattoLe Havre , uno dei migliori Kaurismaki in assoluto. Il finale si preoccuperà poi di illuminare il concetto, con uno splendido e improbabile ciliegio in fiore: un altro mondo è possibile o ci vorrebbe davvero un miracolo perché una storia come quella di Idrissa accadesse nella realtà? Entrambe le cose, sembra dire il regista: il cancro che affligge il nostro modo di vivere e di agire è a un livello più che mai avanzato, ma “restano i miracoli”...

...Miracolo a Le Havre è film popolare nel senso più nobile, con una storia universale e commovente, personaggi cui è impossibile non voler bene, un film che sa arrivare al cuore senza rinunciare all’autorialità e al rigore dela messinscena. Forse il migliore di sempre di Kaurismaki, di sicuro il più risolto e armonico...

...Kaurismaki stempera il realismo poetico d’antan con il fatalismo tipico della sua visione del mondo. Che questa volta, però, non prevale. La rivincita dei diseredati, che evoca l’ottimismo di Zavattini, è un’opzione filmica tra le possibili, un appello alla resistenza contro l’ottusità del mondo, affidata alla parte sana di una società irrimediabilmente malata. Come la moglie del lustrascarpe (Arletty!), che un “miracolo” strappa a un destino apparentemente segnato, senza che la trovata risulti zuccherosa o fuori luogo. Merito della fiducia assoluta nel cinema che consente a Kaurismaki di osare l’inosabile, sfidando la realtà sul terreno della mozione degli affetti. Il vero miracolo, in fondo, è quello di un film dove non c’è una sola inquadratura di troppo, una battuta superflua, un dettaglio fuori posto. Immenso Kaurismaki, che ha avuto l’ardire di fare un film massimalista travestito da racconto minimalista...

...È di pochi saper trattare temi alti con sincerità e al tempo stesso leggerezza, e in questo sta la grandezza di Kaurismaki: nel riflettere sull’Europa senza frontiere e sull’immigrazione clandestina, sull’identità e sulla solidarietà sociale, rinuncia da subito ai toni predicatori e conferisce a Miracolo a Le Havre la giocosità di un fumetto. A questo fanno pensare sia il suo stile di regia, fatto di immagini quasi sempre fisse ma con colori così netti e vividi, sia la caratterizzazione dei personaggi, sempre fortemente tipizzati: il lustrascarpe vietnamita, il rocker Little Bob, il vicino spione, l’esilarante Commissario Monet che mantiene il suo volto impassibile anche girando per Le Havre con un ananas in mano. Il regista finlandese è aiutato in questo da un cast straordinario, con molti habitué dei suoi film, dei quali asseconda minuziosamente ogni gesto e mimica facciale...

mercoledì 23 novembre 2011

Limite - Mário Peixoto

film muto, del 1931, musiche di Satie, Debussy, Borodin, Stravinsky, Prokofiev, restaurato da poco, è un film che contiene molto (ottimo) cinema degli anni e decenni successivi.
girato a 21 anni, unico film di Mário Peixoto, e film unico, un capolavoro da non perdere, forse non facile per gli occhi nostri, di oggi, ma merita - Ismaele



Pellicola assai insolita, che lascia dubbi sulla propria compiutezza, ma che lascia finanche esterreffatti. Preferisco riassumerlo in punti:
1. È un film muto che si basa essenzialmente sul dettaglio. Mai visto un film, che più di questo, eviti intenzionalmente la linearità e la narrazione. Addirittura, non fa quasi uso di cartelli; e dura due ore.
2. Considerato il classico brasiliano per antonomasia, sebbene non sia affatto noto.
3. Il restauro iniziò nel 1959, e terminò nel 1978 circa, anno in cui venne presentato in diversi festival. Soltanto una breve sequenza è andata perduta-
4. È uno dei film d'avanguardia più insoliti che si possano vedere-
5. Fu l'unico film di Peixoto, che lo girò a 21 anni. Prima di allora, frequentò uan scuola in Inghilterra dove venne a conoscenza del cinema d'avanguardia europeo. Limite, di fatti, verrà apprezzato anche da Pudovkin ed altri sovietici. Sicuramente, parte dell'ispirazone viene da lì…
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Limite does not intend to analyse. It shows. It projects itself as a tuning fork, a pitch, a resonance of time itself.
(Mário Peixoto)
Then came the revelation of Limite, the first and only film by 21-year-old director Mário Peixoto. This was a film of transcendent poetry and boundless imagination. Once again, I found myself in a state of shock, not only because of the film itself, which was made in 1931 and forgotten for many years, but also for the evidence it bore, that of our creative diversity.
(Walter Salles)


Taking in account the scenario as well as the actual movie, Limite must be seen as a film with a clear, elaborated and recognisable concept. This may explain Peixoto’s dislike of surrealistic movies, specifically those of Luis Buñuel, and the rejection of chance as an artistic principle, as found in Man Ray or Dada. Limite starts off with the image of a woman embraced by a man in handcuffs, a prototype image that goes on being modified throughout the film. The opening proto-image, from the photograph he saw in Paris in 1929, introduces the leitmotiv of imprisonment, of being trapped, and gives way to a long, almost hypnotic boat scene that is to transport us into the continuum of time, a rather fluid amorphous state in which the camera then moves into the past, tracing certain memory lines, episodes and associated details, objects, movements and images. These visual flashes of limitations are reflected in other images and thus escape from their fixed, limited and solid status, only to disappear or fade out without further explanation. The wrecking in the storm at the end then leads us back to the original proto-image, the initial theme, now extended and enriched by the visual and rhythmic variations that have been experienced. The scenario and film can therefore best be characterised as a visual cinematic poem that explores the medium for its poetic capacities, instead of using it for transporting non-visual conceptions and narratives…

lunedì 21 novembre 2011

formati





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The shout (L’australiano) - Jerzy Skolimowski

un film strano, che arriva da molto lontano.
può non piacere, mica è facile, ma è un film unico.
provateci - Ismaele


…In questo mondo quieto fa la sua irruzione un uomo misterioso, che si chiama Crossley. Non lo vediamo dall’inizio, arriva pian piano, quasi invisibile. Ne percepiamo prima l’esistenza, in modo quasi subliminale; poi, appare come se entrasse nella pellicola da un lato, da un margine; una volta entrato ed impostosi fisicamente, quasi come il Tartufo di Molière, riuscirà a introdursi nella casa e senza parere ad avere un’enorme influenza sulla moglie del musicista. Crossley fa racconti strani e inquietanti, dice di aver soggiornato a lungo in Australia, di aver convissuto con gli aborigeni, di aver sposato una delle loro donne, e di avere imparato le loro arti magiche. In particolare, racconta ancora l’uomo, egli è in grado di emettere un grido misterioso, che può uccidere tutto quanto vive nei dintorni, fin dove il grido può giungere…

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…The Shout deve alle sue ambientazioni grezze la maggior parte del suo fascino, e Jerzy Skolimowski utlizza magnificamente la natura dei paesaggi e degli avvenimenti e li trasforma in qualcosa di inquietante, silenzioso, modesto ma potentissimo. Lo scarno scenario rende facile la focalizzazione sulla storia e sulle magnifiche interpretazioni di Alan Bates, John Hurt e Susannah York che con umiltà si lasciano trasportare dagli eventi guidati e cullati dalla mano ferrea di Skolimowski. L'effettiva sensazione di fascino e misticismo però si lascia alcune volte dominare da un vago senso di ermetismo autocompiaciuto, un gioco di “dire non dire” troppo costruito che alcune volte risulta poco spontaneo. Ma il fascino ipnotico di Alan Bates fa dimenticare ogni imperfezione. Non sempre il Cinema riesce a regalare interpretazioni così sommesse, silenziose e bellissime; il Charles Crossley di Bates è una di queste rarità…



mercoledì 16 novembre 2011

Carlos Reygadas - Stellet licht - Luz silenciosa - Silent light

è un film stranissimo, inattuale, lento, succede poco, trama esilissima, immagini bellissime.
più nordico che messicano, qualcuno cita Dreyer.
una curiosità: appare  Jacques Brel alla tv, e piace, magari capiscono le parole, sembra strano Brel tra i Mennoniti.
di sicuro un film molto diverso dal soliti, occorre pazienza, merita la visione - Ismaele




Se analizziamo la trama si scopre, con un po’ di sorpresa, la sua risibilità se rapportata ai 145 minuti di proiezione. Di fatto abbiamo un uomo di mezz’età che ha una relazione con la cameriera di un ristorante, il resto, compresa l’amante, è contorno: la numerosa prole diventa massa indistinta, il padre e l’amico di Johan sono solo accessori, la moglie, consapevole del tradimento, figurina passiva, e lo stesso protagonista appare in alcuni frangenti vittima di uno slittamento ruolistico in subordinazione alla maestosità della natura...

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Stellet Licht runs a leisurely 132 minutes, and Reygadas manages to imbue every moment with spiritual weight—or what one character calls "the pure feeling of being alive." Given the filmmaker's attention to ambient and off-screen sounds, Stellet Licht is far from silent. It is, however, profoundly still. As with the earliest motion pictures, it's the quality of the light that really holds you.
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As a Mexican, I forget that this country is formed not only by cities'and country inhabitants. There is an almost infinite number of variables between those to macro worlds. A movie like this helps you remember how diverse and rich human race is, and that you are surrounded by so many different types of individuals, but it's just that you don't want to look carefully. This movie is really art cinema, and it was great for me watching this kind of production in a commercial location. From the moment of the initial sequence -that resembles the long scenes in Russian movies and theater- I knew that what I was about to witness was a display of delightful movie making. This one is definitely not for the average movie goer that wants to see explosions all over the place and easy to understand plots. No, definitely not. But If you are one of those, I strongly encourage you to see it, but do that with an open mind, knowing that it will be an extremely hard to digest film. And sometimes, you need to sacrifice something in order to enjoy the worthy things in life. And with the closing sequence, parallel to the opening one, I felt I paid to watch a real movie, and believe me, that does not happen often to me.

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martedì 15 novembre 2011

The fall - Tarsem Singh

un film difficile da classificare, mi ha ricordato in alcune parti "Le avventure del Barone di Munchausen", di Terry Gilliam. 
è una gioia per gli occhi, ecco, non vi tolgo nessuna sorpresa - Ismaele




Grande sorpresa questo film di Tarsem, dalle atmosfere magiche e sognanti. Interessantissima proposta dai tratti fantasy (ma non è propriamente un fantasy), in cui l'avventura e la fantasia si esprimono superando i confini della realtà. Buono il cast (su tutti, i due protagonisti Lee Pace e Catinca Untaru), realizzazione visivamente ammaliante, tante trovate che rendono la trama intrigante, fino ad un finale in cui tutti sembra precipitare ed andare per il peggio.. Vi consiglio assolutamente questo film (uscito da qualche tempo a noleggio pure in Italia, con enorme ritardo). Vi stregherà!

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…Se "The Fall" è appunto un gesto d'amore verso chi racconta storie e chi le ascolta, cavallerescamente e prevedibilmente viene data alla settima arte un'importanza particolare, come testimonia l'omaggio finale ai cascatori del passato, presentati attraverso un montaggio di sequenze in cui si vede anche Roy, di nuovo in piedi (o forse sono immagini prima dell'incidente, la magia del cinema...). I numeri mirabolanti degli stunt man dei tempi del muto che corrono, saltano, prendono al volo scalette attaccate ad aerei e, ovviamente, cascano (appunto, ancora la caduta...) ci riportano ad un periodo in cui il cinema sapeva sbalordire anche senza effetti speciali e l'arte e l'impegno di questi professionisti riusciva a regalare ai film quella magia che gli spettatori continuano ad aspettarsi ogni volta che entrano in sala.

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Cigarettes and Coffee - Cristi Puiu


domenica 13 novembre 2011

Cecità - Fernando Meirelles

mai uscito nelle sale italiane, "Cecità" è un film che ricalca il libro di Saramago, e riesce a rendere benissimo due cose, la cattiveria umana e il clima catastrofista e post-catastrofe, di tanti altri film.
bravissima Julianne Moore, è un film che non lascia indifferenti.
provateci, non sarete delusi - Ismaele


…Cecità non ha avuto accoglienze positive da parte della maggioranza dei critici. Comingsoon accusa il regista di “manierismo e arroganza”, The Times parla senza mezzi termini di “brutto film”, per Il Messaggero “Meirelles si accontenta di fornirci una sceneggiatura illustrata”, Il Corriere della Sera lamenta “lo stile ondivago, qualche volta estetizzante, altrove un po’ compiaciuto”: giudizi negativi a mio parere non corrispondenti al vero.
Meno concreto e realistico del suo seguito Lucidità (spietata analisi di coloro che detengono il potere, perennemente arroganti e bugiardi), il romanzo di Saramago è una pessimistica metafora della sostanziale mancanza di solidarietà tra gli essere umani che, lasciati a se stessi, non possono fare a meno di regredire guidati esclusivamente dall’istinto di sopravvivenza e di sopraffazione: l’amara formula hobbesiana «homo homini lupus» esprime al meglio la nostra vera natura. Allo sceneggiatore Don McKellar (che nel film interpreta il ladro d’automobile che finge d’aiutare il primo cieco) il merito di non aver tradito il libro attuandone una fedele trasposizione. Al regista Fernando Meirelles va riconosciuto il coraggio di non aver banalizzato il tutto riuscendo ad imprimere alla sua opera la dovuta suspense comunicando altresì allo spettatore il giusto senso di angoscia e di disperazione che la materia trattata comportava. Un film forse non facile ma che avrebbe meritato una larga diffusione sul grande schermo, sempre più avaro oggi nel mostrare opere di livello -invitanti alla riflessione e alla discussione- che esprimano fiducia nell’intelligenza e nella sensibilità del pubblico.
Formalmente il lavoro è da encomio (fotografia ottima, commento musicale appropriato, ambientazione di rara efficacia…). Da sottolineare la notevole prestazione dell’intero cast tra cui spicca, come al solito, una bravissima (e insolitamente bionda) Julianne Moore.
…Meirelles, dal canto suo, ha la felice intuizione di scegliere un cast multietnico per rendere la città che fa da sfondo al film ancora più aliena, ma poi sbaglia nell’affidarsi alla desaturazione dei colori che è ormai diventata una tecnica abusata, e in alcuni momenti esagera nella ricerca del lirismo.  Il brasiliano, in ogni caso, guida gli attori con mano sicura e dà al film un’identità registica di grande impatto, riuscendo così a costruire alcune sequenze davvero splendide. E se anche non decolla mai, il film riesce comunque a lasciare negli spettatori più di un pensiero profondo.
…All'origine di questo film sta un famosissimo romanzo di Jose Saramago. L'ultraottantenne autore ne ha sempre impedito la trasposizione cinematografica perchè temeva divenisse una sorta di film di zombie. Dopo lunghe trattative solo l'incontro con lo sceneggiatore Don McKellar lo ha convinto a cedere. La sua è stata una decisione saggia perchè, pur con le consuete e inevitabili differenze tra opera letteraria e cinema, Blindness conserva lo spirito del libro grazie anche alla scelta (criticabile da parte di alcuni puristi ma in questo caso necessaria) di far intervenire la voce narrante.
"Non penso che siamo diventati ciechi. Lo siamo sempre stati. Ciechi che vedono. Persone che possono vedere ma non vedono". Con queste parole ha inizio il film e il bianco in cui progressivamente l'umanità s'immerge è sconcertante più che minaccioso. Sarà la cecità collettiva a portare l'oscurità del ritorno a una ferinità primordiale priva di qualsiasi inibizione. Ma chi cercherà di riportare alla 'luce' coloro che la circondano sarà una donna. Unica a vedere, la Moglie (il personaggio non ha un nome nè nel libro nè nel film) caricherà su di sè tutto l'orrore di quanto la circonda offrendo poi la propria disponibilità quale guida a una possibile resurrezione così come nelle icone ortodosse Cristo scende agli Inferi per prendere per mano Adamo ed Eva e liberarli dal peccato originale…
Certo che adattare un'opera di un mostro della letteratura come José Saramago, geniale autore, poeta, drammaturgo e critico letterario che nel 1998 ricevette persino il Nobel, non dev'essere una cosa facile. Se poi contiamo che l'opera in questione è il bellissimo Cecità, l'impresa diventa allora veramente impervia. Colui che si vorrebbe imbarcare in un'avventura del genere dovrebbe essere o semplicemente pazzo, oppure un autore davvero con le palle, uno che non si perde in idiozie filmiche di qualsivoglia tipo e che ha invece l'intelligenza e la capacità di cogliere tutte le sfumature e i significati del romanzo, da quelli più ruvidi a quelli più lirici, e di riportarli in maniera efficace su pellicola…
…"Blindness - Cecità", dato il soggetto di partenza, sarebbe dovuto essere uno dei capolavori della storia del cinema, epico, sempiterno, uno di quelli che cambiano la vita di molti spettatori. La pellicola di Meirelles invece è piccola piccola, trasparente, quasi un po' naif, ma, fortunatamente, non per questo da disdegnare a priori. Il regista brasiliano ha avuto infatti un coraggio indicibile a prendere in mano un progetto del genere e, nonostante non abbia realizzato un'opera immortale, è da applaudire per la sua abilità nel ricreare atmosfere, sensazioni e significati che non sono quelli del suo genitore letterario, ma comunque una loro buona imitazione.






venerdì 11 novembre 2011

L’amerikano (État de Siège) – Constantin Costa-Gavras

Di nuovo Yves Montand e Renato Salvatori, musiche di Mikis Theodorakis, alla sceneggiatura lavora Franco Solinas, in un film girato in Cile e che racconta dell’Uruguay.
Un film “politico”, che ricorda tante cose ormai note, rapimenti, torture e cose che nel 1972 non sapevamo quanto oggi, e per questo il film vale ancora di più. Forse per questo è un film che ha girato poco e pochi lo conoscono.
Trovatelo e guardatelo, è grande cinema - Ismaele



qui il film in spagnolo


…De hecho, la cinta fue filmada en Chile en pleno gobierno de Salvador Allende, específicamente en Valparaíso, Santiago, Iquique y Viña del Mar, ciudades que sirvieron para retratar al Montevideo de la época. El rodaje de la cinta causó un gran revuelo en el país, ya que no era precisamente un lugar apto para llevar a cabo una producción cinematográfica de nivel. Por aquellas ironías del destino, solo un año después de filmada la cinta la realidad superó a la ficción; en Chile se llevó a cabo un golpe de estado tras el cual las calles se llenaron de militares, reinó el miedo y la represión, y las torturas se convirtieron en una práctica común…
…El mensaje final de la cinta es frustrante ya que da a entender que las acciones de ambas facciones son completamente inútiles; el gobierno seguirá torturando, los Estados Unidos continuarán entrometiéndose, y las guerrillas continuaran cometiendo actos de terrorismo como modo de protesta. Aunque Costa-Gavras claramente enjuicia el accionar del gobierno uruguayo y de los enviados de los Estados Unidos, también se preocupa de establecer que el asesinato de Michael Santore es un paso atrás por parte de una organización cuyo objetivo es procurar que se respeten los derechos humanos. “État de siège” es una película algo árida, cuyo ritmo pausado y su particular estructura narrativa no la hacen apta para todo público. Sin embargo, su carga histórica y la crudeza de sus imágenes la convierten a mi gusto en un thriller político de visionado obligado.
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…O cineasta mais político da História, grego radicado na França, autor de filmes produzidos nos mais diversos países, levou pouco mais de dois anos para pesquisar sobre o seqüestro e a morte de Dan Mitrione, toda a situação política do Uruguai naquele final da década de 60, início dos anos 70, e fazer seu filme.
Tudo indica que a recriação dos fatos é a mais fiel possível. É um ótimo filme; e, além disso, é um filme importante, da maior relevância, exatamente por reconstituir aquele período turbulento na história recente do Uruguai e também do Brasil – o Brasil é citado diversas, diversas vezes ao longo do filme.
Costa-Gavras abre seu Estado de Sítio com uma longa seqüência que mostra, com vários planos gerais, estradas e ruas de uma capital tomada por militares e policiais; há barreiras nas estradas, nas grandes avenidas, e as pessoas – nos carros, nos ônibus, nos caminhões – têm que mostrar seus documentos, ser revistadas, diante de soldados que portam fuzis. Em uns três, cinco minutos, o cineasta apresenta o quadro desolador, apavorante, de um país autoritário, ditatorial, militarizado, um país paralisado por uma busca frenética por inimigos do regime. Esses inimigos, saberemos logo em seguida, são os tupamaros – o grupo guerrilheiro de extrema esquerda criado ainda no início da década de 60…
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Tradotto beceramente in L'AMERIKANO, con “Stato di assedio” il regista franco-greco torna a denunciare le dittature di destra, come fece in Z, dopo essersi dedicato a quelle di sinistra.
Il principio comunque non cambia: si tratta di drammatizzare spettacolarmente un racconto solitamente assai vicino a fatti realmente accaduti, per dipingerne il sottofondo politico. O, meglio, la meccanica della repressione politica. Sono film onesti, utili e fatti in buona fede. Sono utili perché invitano gli spettatori ad approfondire le cose. Sono in buona fede perché sfruttano il richiamo spettacolare di un certo tipo di linguaggio cinematografico a scopi più o meno morali…
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This is Costa Gavra's finest film. Not only its message, and the brilliant actor's are world class. Also the cinematography, the script and the cut. Yves Montand's character is one of his strongest performances in his whole career. The whole cast is great. The guerrilla's as well as the secret police and the army generals. And of course the legend of German Cinema, O.E.Hasse as the intellectual journalist investigating the truths behind the kidnappings. State of Siege is probably not 100% objective but it shows the truth exactly. It's not speculative, naive or heroizing at all. a true intellectual film, but as exiting and riveting as a perfect Hollywood blockbuster. It's actually a quite cold blooded view at the history of that era. The story plays in an anonymous country in Latin America, and that's a great move by Costa Gavras because the events shown in the film did happen the same way not only in all countries of Latin America but also in many other countries all over the world. I had to leave Turkey after the coup d'etat in 1980 and I can tell you that the situation in Turkey then was exactly identical to the events that take place in this film. The dark atmosphere, the oppression and the violence are always the same. I watch this movie every time it's screened on German TV. And that's at least once a year. Z is another flawless masterpiece by Costa Gavras, and much more popular than State of Siege. But State of Siege has a melancholic atmosphere that I love so much. So it's not only a great experience for politically interested viewers. Also I want to mention that there's NO American movie in the same quality. and modern cinema is not able to produce such fantastic movies anymore.
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giovedì 10 novembre 2011

Pina - Wim Wenders

non so niente di danza, ma di questo film ne avevo letto bene.
ne sono uscito con la curiosità di vedere Cafe Müller e con l'idea che Pina Bausch sia viva nelle teste e nei cuori di quelli che l'hanno conosciuta.
Wim Wenders alterna teatro e ricordi, immagini e parole, senza mai annoiare, davvero da vedere - Ismaele



Un documentario non certo lineare, dal punto di vista narrativo, ma che rende omaggio in maniera adeguata alla coreografa Pina Bausch. Non aspettatevi delicate coreografie di ballerine in tutù, perchè la danza concepita dalla Bausch è energetica, vibrante e ironica. La regia di Wenders - in 3D - riesce a renderla sul grande schermo in maniera ideale, tra colori decisi, coreografie e scenografie sorprendenti e corpi in movimento. Un film che può sorprendere anche chi non è esattamente un fan della danza e che sarebbe da vedere in sala.

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…In Pina e per Pina, il regista tedesco ritrova dunque la materia che sa impastare, l'emozione e l'energia che mancavano da tempo al suo cinema (fatta salva l'ispirata eccezione di Non bussare alla mia porta). Portando i componenti dell'ensemble di Wuppertal in locations industriali o naturali (che evocano i migliori scatti del Wenders fotografo) dà nuova vita ai passi di danza, per contrasto o più spesso in ragione di una tensione condivisa, che invoca e provoca il limite, delle forze umane e naturali, e spazza via dal progetto ogni aura mortifera o agiografica…

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