Visualizzazione post con etichetta Bae Doona. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Bae Doona. Mostra tutti i post

martedì 18 ottobre 2022

Le buone stelle – Broker - Hirokazu Koreeda

Hirokazu Koreeda dopo Parigi gira un film in Corea.

il film è una storia che sembra un thriller con dei delinquenti che commerciano bambini.

la realtà è un'altra, ai confini della legalità, magari oltre, e quelli che sembravano guardie e ladri sembrano più vicini di quanto si potesse credere all'inizio.

mutatis mutandis sembra un film neorealista scritto da Zavattini.

il film riesce a non annoiare mai, con dei colpi di scena ben assestati, e attori bravissimi, naturalmente, in mano a un signor regista.

e però, sarò incontentabile, i registi in trasferta spesso perdono qualcosa rispetto a quando girano in casa, tuttavia il film merita molto.

buona (nippo-coreana) visione - Ismaele

 

 

Con Broker racconta invece una storia coreana (che lo vede lavorare con star locali come il Song Kang-ho di Parasite) che inizia a Busan e diventa poi un road movie itinerante, pur rimanendo molto vicina ai temi tradizionali del suo cinema.

Innanzitutto la famiglia, organismo primario che va oltre anche i legami di sangue. Per il regista nipponico famiglia vuol dire pathos, impegno e responsabilità: è un modo di resistere al sistema e alle sue storture sociali, questa volta con particolare enfasi sulle leggi per l'adozione e sulle politiche di welfare infantile. Broker si chiede e fa chiedere ai suoi personaggi cosa sia più giusto, esaminando un caleidoscopio di casi da diverse prospettive durante il viaggio sgangherato di questa famiglia improvvisata.

Ci sono madri bisognose, coppie che hanno provato di tutto, ospedali che si prendono cura dei neonati abbandonati, gestori di orfanotrofi, e la polizia che deve applicare leggi a volte troppo severe. L'immagine della "baby box", un buco nel muro illuminato e con ninna nanna incorporata dove poter lasciare alle cure dello stato un bambino a cui non si può dare un futuro, è quella che apre il film e rimane sempre centrale nel suo sviluppo. Ma è davvero un aiuto oppure incentiva le giovani madri all'abbandono?

Dilemmi sui quali Kore'eda si schiera sempre dalla parte dell'empatia e dei buoni sentimenti, in quello che è un inno alla vita gentile e perfino un po' ingenuo. Qualunque gruppo di persone può imparare a diventare famiglia nell'universo del regista, che però è diverso dal mondo reale. Il sentimentalismo che lo ha spesso aiutato a illuminare con dignità il genere del dramma sociale stavolta lo fa apparire poco incisivo, benché il film si mantenga piacevole grazie a un variegato cast di personaggi decisi a fare - più o meno - sempre la cosa giusta

da qui

 

Nel momento in cui i loro cuori iniziano a schiudersi, ciò accade anche al film, il quale svela il proprio ai suoi spettatori. Più i personaggi si raccontano, si smontano di ogni preconcetto e si privano di ogni segreto, più il ritmo rallenta, concentrandosi quella dimensione intima ed esistenzialista che Kore’eda è un maestro nel mettere in scena. È in questa seconda metà del film che fuori escono tutte le riflessioni sul significato di famiglia, di genitorialità e, in particolare, sul conflitto tra il voler essere dei genitori e l’incapacità di esserlo davvero. Un’incapacità che è però anche in questo caso la conseguenza di un contesto sociale sempre più individualista, che non protegge i propri membri.

Tale dinamica è in particolare esplicitata dalla presenza delle due detective intente ad osservare i movimenti del gruppo per coglierli in flagrante e arrestarli. Si tratta di due personaggi che incarnano quella legge cieca a determinate dinamiche e unicamente motivata a punire ogni infrazione, senza valutare gli elementi di contorno. Quella legge che, come avvenuto anche in Un affare di famiglia, riporta il racconto ad una dimensione particolarmente cupa e soffocante. L’elemento crime è in effetti particolarmente presente all’interno di Le buone stelle – Broker, con una serie di indagini portate avanti dalla polizia e che contribuiranno a far emergere ulteriori scheletri nell’armadio dei protagonisti.

La sceneggiatura di Kore’eda si configura dunque come un continuo susseguirsi di elementi e generi diversi tra loro, che si incastrano a meraviglia grazie alla delicatezza con cui il tutto è narrato. Un lavoro di scrittura a dir poco brillante il suo, che traspare anche grazie al controllo con cui egli regola i toni del film, capace di passare dalla commedia spensierata al dramma più puro. Con un impostazione di regia come suo solito invisibile, discreta, che lascia parlare le immagini, Kore’eda si divincola dal solito rischio di ripetersi per regalarci un’opera che ancora una volta aggiunge qualcosa di nuovo alla poetica, ribadendo però la bellezza delle tante sfumature che una famiglia può possedere.

da qui

 

 Le buone stelle. Broker sembra aver smarrito la purezza, per svilupparsi in una serie di superfetazioni, deviazioni, sovrastrutture. In una dinamica che potrebbe sembrare più “accattivante”. Ma che lascia emergere anche la dimensione più ombrosa e problematica della visione di Kore-eda. Una sorta di pessimismo di fondo, a cui si tenta di trovare un antidoto nel cuore segreto delle relazioni. Un nuovo equilibrio. Nelle possibilità di una famiglia allargata, lontana da quella tradizionale, fondata più sulle ragioni profonde delle sensibilità che sul sangue, più sul desiderio e il bisogno di trovare una comunione alternativa che sulle differenze generazionali. E, qui, in questa dimensione Kore-eda riesce sempre quei momenti inarrivabili, struggenti, in cui l’emozione sorge spontanea dalle immagini. Senza forzature, senza retorica. Come la straordinaria scena sulla ruota panoramica. Sono quei momenti che solo i giganti sanno toccare con tanta semplicità. E in cui, una volta di più, avverti tutta la tua impotenza, l’inutilità di ogni discorso critico, l’impossibilità della parola a restituire solo una minima scintilla dell’energia che smuove l’anima. In cui l’immagine ti parla con la stessa evidenza della vita.

da qui 



martedì 30 agosto 2022

Cane delle Fiandre (Barking Dogs Never Bite) - Bong Joon-ho

un'opera prima sorprendente, con personaggi veramente azzeccati.

un aspirante professore, che vive a carico della moglie, ha un odio verso i cani domestici, che in quel palazzo fanno una brutta fine, poi la moglie ne prende uno, e allora cambia tutto.

un'impiegata (Bae Doona) capisce, per caso, cosa succede e fa di tutto per salvare i cani.

film un po' thriller, un po' animalista, un po' giallo, un po' slapstick, coi tempi perfetti,

Bong Joon-ho poi farà carriera, delle più splendenti, seguitelo.

buona (canina) visione - Ismaele

 

 

…il titolo originale del film è un riferimento a Il cane delle Fiandre , un romanzo ottocentesco di Ouida sugli animali domestici molto popolare in alcuni paesi dell' Asia orientale…

da qui

 

Yun-ju è un nullafacente che non ha i soldi per corrompere il suo preside e diventare professore; frustrato, si sfoga con i cani del vicinato, cercando goffamente di eliminarli. Di contro Hyun-nam, giovane svampita ma di buon cuore, decide di indagare per scovare il rapitore di cani.
Mascherato sotto i panni della commedia surreal-demenziale, Barking Dogs Never Bite lavora sottopelle e insinua più di un dubbio sulla sua reale natura. Commedia bizzarra o riflessione tutt'altro che banale e tutt'altro che ottimista sul quotidiano?...

da qui

 

Un aspirante professore infastidito dall'abbaiare dei cani del vicinato decide di farli sparire; un'ingenua ragazza indaga sulle sparizioni. Dal romanzo inglese Il cane delle Fiandre, l'esordio nel lungometraggio di Bong Joon-ho "si avventura ai limiti più eccentrici del cinema coreano più dei film successivi del regista, pur mitigandoli con la leggerezza della commedia" (Scott Tobias). In questo doppio registro già riconosciamo la poetica dell'autore: "è negli anfratti della vicenda che si coglie l'amarezza dell'analisi di Bong. Nell'assurdo della superficie, invece, pullula una fauna variegata di psicosi umane" (Emanuele Sacchi).

hda qui

 

Una commedia basata su un umorismo paradossale, sulla satira sociale e sulla descrizione della banalità e dei piccoli orrori che accompagnano la quotidianità dell'uomo comune contemporaneo, Barking Dogs Never Bite fa ridere, a volte anche risate amare, e riflettere sul carattere delle persone più ‘normali’, sulle loro aspirazioni e sulla vita che invece fanno in realtà. Tutti i personaggi qui rappresentati sono il vicino e il conoscente di tutti, per niente speciale, che come tanti si lascia trascinare dalle regole vigenti nei grandi conglomerati urbani della Corea moderna.

Il cane è il motivo portante che unisce le storie che compongono il film, tanto semplici da non sembrare nemmeno storie vere e proprie, in una trama che si snoda con piccoli colpi di scena, spesso sarcastici, ironici e derisori dei piccoli avvenimenti che ritmano la lenta e noiosa vita dell'uomo comune. Una commedia insolita, che ripropone l'assurdo come la regola per la normalità, in una pungente satira sociale divertente e seria allo stesso tempo.

Nonostante l’argomento che può ad una prima occhiata apparire futile, Bong in questo film realizza un’estetica complessa e ben eseguita. Interessante anche la caratterizzazione dei ruoli femminili, che scavalca la tipica immagine di donna ingenua, dolce e curata, tanto frequente nel cinema coreano. I personaggi maschili sono dipinti nei loro difetti e nella loro 'umanità' (Yun-ju rapisce il cane per poi sentirsi in colpa, il portiere con non chalance si permette stufati di cane nei sotterranei del condominio), e le situazioni più paradossali risolvono vari problemi (come una disputa risolta srotolando rotoli di carta igienica)…

da qui

 

E' vero che tutto il film è trattato con il tono da commedia, altrettanto vero che l'esordiente Bong Joon-ho evidenzia l'aspetto tragico del microcosmo condominiale. Un protagonista frustrato e senza lavoro dopo anni dedicati alla ricerca universitaria, mantenuto a sua volta dalla compagna incinta. Ma sono un po' tutti i personaggi che muovono in tale contesto a soffrire di egoismo e di fronte alle avversità, si rifanno sempre sui più deboli, simboleggiati dai cani. Personaggi coinvolti in situazioni divertenti ma cui è difficile provare un minimo di empatia proprio per la loro sgradevolezza. Unica eccezione è la giovane Hyeon-Nam, giovane ragazza ingenua a cui non manca spirito d'altruismo nei confronti degli altri.

da qui


 

sabato 27 agosto 2022

A Girl at My Door – July Jung

splendida opera prima di July Jung, con una sceneggiatura a orologeria e due protagoniste bravissime.

una poliziotta (la bravissima Bae Doona), esiliata in un commissariato di campagna, per motivi che si scopriranno, prova a difendere una ragazzina dalle violenze del padre e dall'ignavia di tutto il paese.

quel paese è un postaccio, prepotenza e alcool sono diffusi oltre ogni dire, e la vita per una ragazzina è impossibile, ma non per sempre.

cercatelo e godetene tutti.

buona (sorprendente) visione - Ismaele


 

 

 

Un monstruo en mi puerta es una historia de amor basada en la búsqueda desesperada de cariño entre una adolescente, marcada por un cruel pasado y un presente desolador, y una mujer que se niega a sí misma para no caer en un abismo. Una conexión llena de ternura absoluta. Una historia llena de humanidad y esperanza.

da qui

 

Omaggiando il suo produttore con ambientazioni che ricordano le sue migliori opere, July Jung ha il grande pregio di aver costruito con attenzione e meticolosità due figure femminili efficacissime, come raramente capita per mano di una regista, due donne in lotta disperata per la sopravvivenza: una per riacquistare la sua dignità personale e professionale, l’altra per potersi regalare un futuro lontano da violenze e soprusi, entrambe che tentano di galleggiare tenendo la testa fuori dal letame che le sommerge, generato da pregiudizi e da situazioni brutali. E se Lee sembra quasi avviata verso la rassegnazione, nascosta dietro le bottiglie piene di soju, la ragazzina ha ancora un soffio di vitalità, un ultimo sussulto di voglia di vita che la porta ad essere il deus ex machina del film, decisa a dare luce alla sua esistenza: quello che dice il giovane poliziotto verso la fine del film appare come una verità assoluta: “Doo-he è una ragazzina problematica ma con tutta la comprensione possibile non si può non dire che sia un piccolo mostro”…

da qui

 

July Jung es una de las contendientes a la Cámara de Oro con su debut en la dirección con A Girl at My Door, cinta coreana cercana al melodrama de telenovela sobre una agente de policía lesbiana que decide acoger en su casa a una niña que sufre abusos físicos por parte de su padre. Jung aborda temas tabú de su país como son la homosexualidad y la xenofobia poniendo el punto de mira en cómo su sociedad desvía la mirada ante la problemática de los abusos infantiles mientras aquellos que se comprometen acaban salpicados por un sistema poco justo. No carga las tintas más de la cuenta pero sí aporta escenas —y sobretodo una muy concreto en el clímax— que ayudan a que el resultado no sea demasiado débil. Doona Bae, más conocida por encarnar al androide de El atlas de las nubes, dibuja a su personaje con hermetismo y reservas. Su pasado en Seúl condiciona el presente en su trabajo hasta que se vuelve incontenible. La relación que establece con la niña le crea una dependencia afectiva a esta última que se vuelve parte clave de la trama y aunque ofrece un relato que se aprecia en sus intenciones, también está plagado de elementos desubicados; en concreto el de un emigrante extranjero que se percibe impostado en el discurso sólo para marcarlo todo con un rotulador aún más llamativo. Es un filme que se queda en zona media, como muchos hemos visto estos días. Interesante y con ese toque contemplativo y pausado que caracteriza a parte de las producciones asiáticas que retratan el costumbrismo rural de su país.

da qui