venerdì 23 dicembre 2011

Marilena de la P7 - Cristian Nemescu

Sono 45 minuti intensi. Una storia di ragazzi, di puttane, di una Romania in rovina. Un ragazzino si innamora di una prostituta giovanissima, due fiori nel letame. Alcune scene sembrano citazioni di Fellini. Tosto, ma da vedere subito.  - Ismaele


Cristian Nemescu, un genio che ci ha lasciati a 27 anni,
regalandoci un lungo, un medio e due corti.
Biografia e filmografia sorprendentemente simili a quella del grande Jean Vigo.
Il Vigo del terzo millennio?
Se guardiamo il suo mediometraggio, Marilena della P7, direi di si, tanto è sorprendentemente contiguo a zero in condotta per il suo ribellismo adolescenziale, iconoclasta e surrealista.
All’inizio il film appare come un compitino sulla periferia degradata di Bucarest, con ragazzi di strada e donne di strada; la P7 mi pare di aver capito sia una piazza o comunque un luogo dove battono; cinepresa a mano sempre in movimento nevrotico, con serie incalzante di sequenze e stacchi frenetici, che descrivono documentaristicamente un mondo ed un ambiente degradato; mano mano che il film procede prendono forma personaggi e sentimenti; pulsioni e ribellismo giovanile, voglia di sesso, sesso represso, sesso impossibile; mano mano che procede da cupo realista il film diventa surrealista, nasce la storia di un amore impossibile, che sublima nella poesia. Il sogno del ragazzo sembra potersi avverare grazie ad un escamotage grottesco ed assurdo, un colpo d’ala del genio dell’autore; ma subito dopo si abbatte il finale, un pugno nello stomaco, che tronca il sogno e riporta alla realtà tragica nella quale era iniziato il film.
Non so dire se sia un capolavoro, propendo per il si, ma certo è opera di un genio.

da qui










Mihai si Cristina - Cristian Nemescu


C Block Story - Cristian Nemescu

mercoledì 21 dicembre 2011

California Dreamin' (Nesfarsit) - Cristian Nemescu

morto a 27 anni, sarebbe diventato un grandissimo del cinema.
il film, che non è stato montato del tutto, causa morte, è già bellissimo così, per i miei gusti.
sotto metto qualche recensione sfavorevole, per completezza, giudizi ingenerosi e sbagliati.
i romeni, vedi anche Radu Mihaileanu, in "Train de vie, devono avere un talento per i treni:)
imperdibile, a un passo dal capolavoro - Ismaele




There are many layers of discourse in this movie that develop as main lines of the narrative - on one hand, there is a sad, cynical, and auto-meditative look at the Romanian society in its purest, unaltered form; on the other hand, the movie speaks of the obsession of a generation of Romanians, that have been waiting for the Americans to liberate them ever since the Second World War; when those two lines meet, incredible things happen; and last, but not least, it shows the personal development of a few characters that are very relevant for Romanians today…

 From the characterization of the Romanian army captain (a spineless cipher of a man who pulls on his vodka bottle while his American counterpart sips water) to its view of corruption as intrinsic to the provincial mindset (our first glimpse of Doiaru shows him siphoning off supplies from a train passing through his station) to the racy entertainments that dominate the town's stages (a sexy vampire musical), Nemescu's satirical observations fruitfully echo Milos Forman's comically jaundiced worldview. Both directors, too, view the logical endpoint of a community of venal, power-grubbing citizens as conflagration and apocalypse, though in California Dreamin' the Americans are at least partly to blame…

…Le oltre due ore e mezza di materiale, che compongono un nucleo più che coerente e compatto (anche se qualche sforbiciata resta necessaria) sono state accolte nella sezione "Un Certain Regard" di Cannes 2007 e hanno addirittura vinto la sezione.
Come molto cinema rumeno di oggi (per esempio Cum mi-am petrecut sfarsitul lumii di Mitilescu), lo sguardo è rivolto al passato recente della nazione, per fare il punto su una Storia per forza di cose ancora da scrivere…
La metafora sociopolitica è chiara come è chiara una certa nostalgia verso un'autenticità popolaresca discutibile (come è discutibile Doiaru) ma pur sempre sanguigna e familiare. Il che francamente fa nutrire più di un sospetto sull'apprezzabilità di un prodotto come questo, in cui è facile subodorare una certa furbizia programmatica. Lo stile, per esempio, che rincorre energicamente la fragranza dell'istante presente muovendo di continuo la macchina da presa per incollare insieme gli elementi sparsi dell'azione, è sì accattivante, ma anche ruffianamente ultranarrativo, per cui California Dreamin' (Nesfarsit) ci sembra sostianzalmente un lavoro da accogliere con le dovute cautele.

…it could have gone any number of ways in Nemescu's hands, but without his input, this is the kind of material better fit for an archive in memory of a promising talent than exhibited in public, as it was in Cannes, where it generated expectations it cannot possibly meet…


martedì 20 dicembre 2011

Triage - Danis Tanovic

un film che inizia bene e poi si perde.
meglio la prima parte, poi Tanovic si perde, è più bravo a far vedere la guerra che a parlarne.
senza infamia e senza lode, si può vedere, per merito di Will Farrell - Ismaele


… La prima parte di Triage funziona a dovere, fotografia immersiva e una regia asciutta ben trasmettono il disagio di una terra divorata dalla guerra e i ritmi restano intensi, almeno sino all’incidente e alla caverna-ospedale.
Poi il ritorno a casa, le suggestioni da dramma psicologico con un repentino arrestarsi della narrazione che scivola in un’immobilità totale, che solo nella partecipata recitazione molto fisica di Colin Farrell riserva qualche guizzo.
Triage purtroppo si rivela un film non particolarmente riuscito, troppi obiettivi da perseguire, troppe strade intraprese per poterle veicolare in un unico percorso narrativo che non perda consistenza lungo la strada, resta una grande interpretazione di Colin Farrell, attore troppo spesso sottovalutato che anche stavolta dimostra una totale devozione al suo ruolo.

Colpisce l'estrema, assoluta incapacità del regista premio Oscar per No Man's Land, di imprimere una qualunque direzione alla materia, insensibile come le gambe ferite del protagonista, a questa sua traballante pellicola – che non sa mai decidersi se essere un film di denuncia, uno war movie, un dramma psicologico, una storia d'amore tormentata.  Nonostante Paz Vega e Christopher Lee cadano inermi in tutto e per tutto nella trappola letale di un cinema che pur narrando di reporter di guerra, che per mestiere fissano i propri occhi sull'accecante insostenibilità di un reale non visto, Tanovic non riesce mai ad avere uno sguardo sulle cose, limitandosi a registrare ciò che accade sullo schermo senza nemmeno per un attimo tentare di restituire la squassante potenza delle emozioni, dei gesti, dei ricordi, delle parole. Ecco, nonostante tutto questo, Farrell – inspiegabilmente costretto a dimagrire sino a scoprire le ossa – fieramente sopravvive al trattamento riservatogli da Tanovic

Ci si domanda, a volte, perché alcuni registi abbiano scelto il cinema come territorio di espressione. Certo, ogni individuo ha il diritto di operare nel settore che più gli aggrada ma perché intestardirsi a percorrere la strada dell’ovvietà, della banalità?
Prendiamo il caso di Danis Tanovic, cineasta bosniaco che vinse “la lotteria” quando nel 2001 si aggiudicò il Premio Oscar per il Miglior Film Straniero con No Man’s Land. Si trattava di un’opera modesta il cui unico merito era affrontare l’argomento giusto attraverso meccanismi espressivi e narrativi utili a colpire il pubblico in maniera positiva. L’equivoco su questo regista è continuato anche con la sua seconda prova, Hell, ma con il suo terzo (recente) lungometraggio la questione appare ormai conclamata.
Triage, infatti, è un’opera che non si distingue certo per originalità e per abilità creativa.
Siamo alle solite: la guerra è un orrore e chi l’ha vissuta direttamente si porterà questo orrore dentro per sempre. Chi potrebbe essere in disaccordo con questa posizione? È totalmente fuori da ogni dubbio che violenza, sopraffazione dell’uomo sull’uomo e morte facciano ribrezzo. Questo lo affermiamo con chiarezza inequivocabile. Ma basta un argomento così serio a fare grande un film? La risposta è: no.

Triage infila in novantasei minuti, banalità una dietro l’altra e, forse, inconsapevolmente alimenta alcuni luoghi comuni macroscopici…

Promettevano bene, ma appena il fotografo torna in Irlanda, senza il compagno di tante battaglie, con troppe foto troppo vere, una gamba fuori uso e il cuore spento, l’opera si sgonfia sotto il peso di una retorica sentimentalista a cui si aggiungono anche la bellezza pleonastica di Paz Vega e l’inadeguatezza di un (ex) mostro sacro come Christopher Lee…


lunedì 19 dicembre 2011

Le idi di marzo - George Clooney

la prima parte è lenta e niente di eccezionale, poi partono i fuochi d'artificio, grandissimi attori senza che nessuno faccia la primadonna, una sceneggiatura a orologeria, in una clessidra dove passano etica, successo, lealtà, innocenza, insomma si parla di noi e del nostro mondo e George Clooney fa un gran bel film.
non perdetelo - Ismaele




…Magistrale sia la scelta che la (non facile) gestione del cast stellare: ogni attore è in totale sintonia con il proprio personaggio. Il suo ruolo di attore è marginale (in modo da concentrarsi sulla regia), tutto ruota attoro a Ryan Gosling che conferma le sue grandi capacità già mostrate in “Drive”. Stavolta Gosling ha la possibilità di interagire anche attraverso la parole (il Driver del precedente film era un solitario e taciturno). Conserva una mimica facciale essenziale, fredda, pur mostrando con efficacia come Stephen interagisca con le altre pedine in gioco, e come evolva il suo comportamento a causa degli eventi. Ottime le interpretazione della coppia a supporto Hoffman / Giamatti. Philip Seymour Hoffman è, oggi, uno degli attori più versatili in circolazione; Paul Giamatti conferma le sue doti in una parte più drammatica. Positive anche le due donne in scena, Marisa Tomei e Evan Rachel Wood, una giovane attrice che sta venendo su molto bene…

Il film si colloca nel filone del thriller politico che fiorisce negli anni 60’-70’ grazie a registi del calibro di Elio Petri, o Sidney Lumet. La splendida sceneggiatura, tratta da Farragut North di Beau Willimon e scritta a quattro mani da Grant Heslov e dallo stesso Clooney, supporta mirabilmente l’opera elevandone la caratura artistica e sociale, impreziosita da un brillante uso di dialoghi, che aiuta la narrazione a non cadere in un immobilismo tipico di una messa in scena teatrale…

Intorno al corpo della stagista si gioca la più sanguinosa delle battaglie, con diserzioni di campo e rovesciamenti di allenze. Ci saranno vincitori e vinti, e il bravo ragazzo alla fine si ritroverà anche lui meno innocente, molto meno. Un racconto morale sul potere, ma senza lagne e prediche, svolto con encomiabile economia di mezzi e con asciuttezza. Una messinscena di inganni e veleni e maschere e pugnali, dove a pagare sono i più fragili e i più ingenui. Clooney, che compare poco (il vero protagonista è Gosling), è però indimenticabile come politico piacione cui basta un sorriso sghembo per lasciar trasparire il demone.

Clooney va oltre: ne segue la lezione liberal, ma la supera in arte e ideologia. Didascalismi tenuti a bada, attori super (Gosling, il pulitino che ti frega) e una drammaturgia tanto classica quanto efficace, perché ora Yes We Can non lo dice più Obama, ma questo cinema con le orecchie drizzate e gli occhi puntuti, perché – l’han detto – oggi Shakespeare sarebbe il meglio (video)blogger e posterebbe queste Idi di marzo. Che ci portano per mano nel backstage, tra uomini-macchina, uomini-faccia e sintesi concesse: è la politica, bellezza. E ci fa pensare: chi tra i nostri registi di sinistra avrebbe polso e sguardo per mettere alla berlina un Obama nostrano, che ne so, un Veltroni qualsiasi o un Renzi eventuale? No George no film?

Partendo dal presupposto che a ognuno di questi personaggi Clooney assegna un fuoriclasse di Hollywood, il film è tutto un susseguirsi di dialoghi serrati, alternarsi di registri brillanti e drammatici, tutto per narrare di una vicenda che nasce, cresce e si sviluppa nel buio del dietro le quinte. È la storia di come un gruppo di uomini e donne, partiti tutti con buoni propositi e grandi ambizioni, finiscano per corrompere se stessi, la propria etica pubblica e privata, per pagare il prezzo giusto della preservazione del potere. E il regista sceglie lo stile che più gli è congeniale per ottenere questo risultato: opta per una narrazione classica, una messa in scena raffinata e compassata, che pure non rinuncia a preziosismi da cineasta navigato (alcune riprese "fuori campo" sono davvero impressionanti per la capacità che posseggono di alzare il livello della tensione...

venerdì 16 dicembre 2011

classifica 2010-2011 (2)

un film davvero bello, di quelli che fanno godere a ogni immagine, un'estetica che è anche un'etica (filmica e politica); , attori bravissimi, film cugino di "Louise-Michel" e "Il mio amico Eric", (Jeunet cita se stesso in "Delicatessen").
insomma, un film imperdibile – Ismaele
Un film durissimo, con una bravissima attrice, fra gli altri, senza buonismi gratuiti. 
Non ti annoia un minuto e ti fa venire dubbi sul genere umano, se ce ne fosse bisogno.
Ree è un'eroina, con una storia così disperata che neanche per andare a morire in Afghanistan la vogliono.
(curioso che un altro film di Debra Granik abbia la parola "bone" nel titolo)
Non perdetelo. - Ismaele
Un film molto bello, sempre di attualità, su chi riesce a dire di non avere le forze e/o le capacità di ricoprire un certo ruolo, su chi abbandona, su chi "diserta".
E' un film bellissimo,  chissà se Moretti ha voluto citare il ballo dei preti de "Il ritorno di Cagliostro", di Ciprì e Maresco.
Il vagare di papa Melville (omaggio al regista francese?) mi ha ricordato Moro - Herlitzka (quando in "Buongiorno notte" esce dalla prigionia e passeggia libero per Roma). 
Non perdete il film di Moretti, merita! - Ismaele
leggo che è un film che merita, non so niente, provo.
quando esci non hai parole, è un film che racconta una storia terribile, che forse in un universo parallelo (o in questo, chissà), succede ma non lo sappiamo.
un film che non ti molla in attimo, e fa soffrire.
la cosa più terribile è che tutti i ragazzi sono rassegnati al ruolo che la società ha dato loro, la scuola gli ha insegnato a eseguire gli ordini, a non desiderare altro, a soffrire se osano avere un desiderio.
non è un film di fantascienza, se ne avete paura, siatene certi.
non lo si perda, è il mio consiglio, magari poi state male, ma è un film necessario. - Ismaele
All'inizio sembra uno dei soliti film di droga, di gangster, di poliziotti, stai per arrenderti, ma il film non molla mai, cresce col passare dei minuti, colpi di scena, personaggi ben disegnati, un finale in crescendo. E quando esci sei ancora colpito e contento di aver visto un bel film, che è un'opera prima di lusso. Guardalo, non te ne pentirai. - Ismaele
Un film che mi è piaciuto molto, su Allen Ginsberg, il processo, la poesia. I registi hanno fatto molte cose belle, tra cui questo. Vedendo il film non puoi fare a meno di pensare ai processi a Pasolini, a Baudelaire, a Flaubert, sempre per le solite cose, immoralità e oscenità. Nel film Allen Ginsberg (James Franco) recita “Urlo”, e lo racconta e poi ci sono anche delle animazioni giuste per il film. Sembra sia passata un’era geologica da allora, sono passati solo 50 anni. Il film termina con questo canto bellissimo. Sarebbe un peccato non vederlo - Ismaele

Un film unico, che raccoglie giudizi da 1 a 10. 
Raramente succede, significa che Malick colpisce a fondo le sensibilità di chi guarda.
A me è piaciuto molto, mi ha ricordato l'inizio e la fine di "Agora", con l'agire umano una piccola cosa nell'universo.
Cosa siamo noi, nell'universo, sembra chiedere Malick, perchè dannarsi e non riuscire a vivere felici?
E la musica, "Lacrimosa" di Preisner, per esempio, bellissima.
Brad Pitt eccezionale, come la moglie e i bambini, Sean Penn boh.
Finale un po' mistico, new age, ma Malick è uno che si prende o si rifiuta in toto.
Io lo prendo, senza se e senza ma - Ismaele

classifica 2010-2011 (1)

Un film forte e doloroso, bellissimo e terribile, una sceneggiatura ad orologeria, temi importanti e sempre attuali, da tragedia greca, trattati senza mai annoiare. Un gran bel film, fra i migliori dell'anno di sicuro, non fatevelo scappare. - Ismaele
Prima pensi che ci sono troppe disgrazie tutte insieme, ma poi pensi che per molti questo mondo è l'inferno e che ogni tanto bisogna ricordar(ce)lo. Iñarritu riesce a sommare dramma a dramma e a non fare un film strappalacrime, grande suo merito. Javier Bardem è Uxbal, è immenso ed è commovente e misterioso come attraversando tutte le brutture del mondo riesca ad essere un padre così affettuoso. Per me è un film grande, andate al cinema, non ve ne pentirete. - Ismaele
un film che fa star male, la descrizione di un mondo schifoso (il nostro!), con preti che vogliono far carriera e si dedicano a fare i galoppini elettorali, la tv che indirizza i comportamenti, di quasi tutti.
Marta, che si affaccia alla vita, la mamma, e il prete vecchio sconfitto sono i pochi personaggi "positivi" del film.
bravissimi il prete in carriera (solo un illusione, la carriera), e Marta sopratutto-
non perdetelo, è un piccolo grande film - Ismaele
Andrea Arnold è una regista che ha fatto “Wasp”, un corto davvero bello, “Red road”, una grande opera prima (ho avuto la fortuna di vederli entrambi), adesso questo film, che per capire, è Ken Loach e Dardenne insieme. E’ un film duro, non facile, come non è facile la vita di Mia, che cerca strade per sopravvivere e per raggiungere una sua strada e una sua vita. Un film da non perdere, cercatelo, se qualche cinema ha il coraggio e la forza di farvelo vedere. Di sicuro non ve ne pentirete, promesso. E ringrazierete Andrea Arnold di averci fatto conoscere Mia.- Ismaele

un film potente, non lascia indifferente.
mi è piaciuto, ma non troppo, ha un difetto, per me, è troppo freddo, cerebrale; non mi ha coinvolto come i precedenti film di Nolan (escluso Memento),  non mi ha coinvolto Leonardo di Caprio come lo ha fatto in "Revolutionary road", non mi ha coinvolto il film come lo ha fatto una storia parzialmente simile, "Se mi lasci ti cancello".
che ci fosse Cotillard-Piaf, e che apparisse a più riprese una canzone di Piaf, a me è sembrato imbarazzante.
mi è sembrato come se Nolan abbia voluto fare un film summa di troppo cinema precedente.
poi la storia circolare, l'inizio e la fine contengono tutto, in qualche maniera, mi è sembrata forzata, forse necessaria, ad effetto, mentre forzata non lo era in "Lasciami entrare" o in "Se mi lasci ti cancello".
è spettacolare, le strade che si piegano sono immagini bellissime, come i palazzi che si sgretolano, i sogni costruiti e distrutti.
è un grande film, forse troppo grande, a scapito forse della "godibilità" della storia.
forse merita una seconda visione, chissà non migliori il giudizio.
la prima volta lo si guardi senza dubbi, poi giudicherete. – Ismaele

giovedì 15 dicembre 2011

classifica 2009-2010 (2)

La pivellina (Non è ancora domani) – Tizza Covi, Rainer Frimmel
Uno di quei film che fa ricordare, e forse capire, la frase di Bukowski, "solo i poveri riescono ad afferrare il senso della vita, i ricchi possono solo tirare a indovinare".
Racconta di una vita difficile, di gente che non sa chiudere la porta a chi ha più bisogno, di persone che sono i figli e i nipoti delle persone dei film sceneggiati da Zavattini, con cuore e anima. Ci sono pochissime copie in giro, non ci sono scuse per non vedere questo gioiello, cercatelo, non ve ne pentirete, promesso. - Ismaele


Bastardi senza gloria - Quentin Tarantino
Un film sempre sopra le righe, con attori davvero bravi. Tarantino riesce a fare un film eccessivo, estremo, concreto, sempre tenuto con briglia tenuta da un fantino che sembra Dettori  su un cavallo che sembra Varenne . Amore per il cinema, alla magia del cinema, da Cenerentola a qualsiasi altro film mai girato, si diverte e ci fa divertire (mi è sembrato anche che sia apparso in qualche fotogramma quando nel film il cecchino spara dalla torre). Dopo “Pulp fiction” il suo film che mi è piaciuto di più, fa volare un aquilone che fa  le giravolte più incredibili e con abilissime manovre lo fa tornare ordinatamente a terra.  I dialoghi sono eccezionali, i ritmi da artigiano orologiaio non fanno pesare le due ore e mezza del film.- Ismaele


Welcome – Philippe Lioret
Racconta un pezzo di mondo meglio di tanti reportages e libri, non si può far finta di non vedere e di non capire. Essenziale, senza mai annoiare, fa capire che essere qui o lì è solo un giro della roulette e che questo bel mondo per molti è un inferno. Grande film, musica di Piovani. - Ismaele


La doppia ora – Giuseppe Capotondi
A tratti sembrava che fosse un fiume che si ferma e muore nelle sabbie del deserto, invece ogni volta riprende fiato e arriva al mare, grazie a una sceneggiatura che fa la finta e poi riparte per una strada laterale. Bravissimo Filippo Timi, subito dopo Ksenia Rappoport. A Ksenia capita il premio, ma se lo meritava di più per “La sconosciuta”, esattamente come Kate Winslet, che lo meritava più per “Revolutionary road” che per “The reader”, ma forse sono sottigliezze. Bellissime le ultime facce disperate e innamorate di Guido e Sonia, in un universo parallelo avrebbero vissuto insieme e felici. Io andrei a vederlo al cinema, dai, lascia il divano e il telecomando – Ismaele


Avatar – James Cameron
Finalmente ho visto “Avatar”. Bello il 3D, avvincente la storia, magari prevedibile, con un lieto fine (temporaneo?), è stato detto tutto e di più.
Vorrei invece parlare di qualcosa che risulta, in tutti, o quasi, i commenti letti, assente o in secondo piano.
James Cameron fa un’operazione coraggiosa, racconta i meccanismi e le strategie di dominio, di conquista e di sterminio dell’Impero. Sembra che Cameron tolga il velo e ci faccia vedere quello che è successo, e succede, con gli indiani d’America, con gli indios e la natura dell’Amazzonia, con i popoli del Centro e Sud America, e non solo. Cose già dette e viste, mai con questa forza e chiarezza. Nella scena della ruspa come non pensare a Rachel Corrie, e, per tutto il film, come non pensare a come viene sfruttata la figura dell’etnologo o del ricercatore nei territori vergini del pianeta, a cosa è servita la figura romantica dell’esploratore? Da vedere di sicuro! - Ismaele


Cosmonauta – Susanna Nicchiarelli
Davvero una bella sorpresa, un film che racconta una storia di 50 anni fa, come fosse oggi, con bravi attori, Luciana bravissima. Una storia di quando ancora esistevano gli ideali. La musica è insostituibile, un personaggio del film. Dai, un paio d'ore al cinema, non ve ne pentirete. Bellissimo il cartone che precede il film - Ismaele

classifica 2009-2010 (1)

Morendo Splinder, cerco di recuperare qualcosa del vecchio blog - Ismaele

Nel paese delle creature selvagge – Spike Jonze  
Giudizi un po' controversi. A me è piaciuto molto, non è la solita storiella per bambini, Max è un ragazzino complicato, come tutti, e i "mostri" sono umanissimi. Forse non è perfetto, ma è un grandissimo film, gli sguardi e gli ululati sono forti quanto le parole, e anche commoventi. La storia non lascia indifferenti, ha partecipato anche Dave Eggers nella scrittura del film, la musica ci sta benissimo. - Ismaele

District 9 – Neill Blomkamp
Secondo me è andata così. Nel 2005 Neill Blomkamp aveva fatto “Alive in Joburg”, un corto di 6 minuti (lo trovate in questo blog nel post precedente) . Per qualche coincidenza Peter Jackson l’ha visto, ha telefonato a Neill, che non ci voleva credere, e gli ha detto, sei in gamba, sviluppa quell’idea, ti produco il film.  Neill, secondo me, aveva una bozza di sceneggiatura o si è messo d’impegno ed è uscito questo grandissimo film, so già che sarà fra i migliori dell’anno. Dentro c’è tanta roba, politica, immigrazione, apartheid, tutte cose che respiriamo ogni giorno, è un apologo incredibilmente efficace e sopratutto è grande cinema . Io non me lo perderei per niente se vi piace il cinema cinema, ma non sono obiettivo, durante il film parteggiavo per i gamberoni, e non per gli umani di merda. - Ismaele

L’uomo che verrà – Giorgio Diritti
Un film visto dagli occhi di chi subisce la Storia, di chi è parte della natura e della vita violentata dalla guerra. Straordinarie le facce, facce da poveri (facce che gli immigrati dell'est Europa o dei paesi mediterranei ci mostrano tutti i giorni). Una storia di gente che (r)esiste, che vuole vivere tranquilla, che si chiede perchè i soldati stranieri non tornano a casa loro (tema universale e attuale). Contadini che sono parte della natura, bambini che diventano grandi, se ci riescono, troppo in fretta, gente "che non voleva né vincere né morire" (cantava Tenco). 
Magari pensi  "non lo capisco", "i film di oggi non sono più quelli di una volta", e cose così. Invece è' un film per te, ti aspetta, ti parlerà, non te ne pentirai -  Ismaele

Up - Pete Docter, Bob Peterson
“Nel paese delle creature selvagge” e “Up” sono una coppia eccezionale. Carl, Russell, Max, Carol sono ancora qua, con noi. E lo resteranno. Senza troppe parole. - Ismaele

Il tempo che ci rimane – Elia Suleiman
è un film da non perdere, il racconto dei drammi con l'umorismo (palestinese-ebraico o ebraico-palestinese, cambiando l'ordine degli addendi la somma non cambia) è qualità dei grandi, ed Elia Suleiman lo è; che il dio del Cinema protegga Elia Suleiman - Ismaele

Il segreto dei suoi occhi – Juan Josè Campanella
Bellissimo film, una storia ben scritta, ricca, thriller, amore, calcio, amicizia, vendetta,attori grandissimi, un regista che conoscete tutti benissimo (dirige Dr.House, vedere qui per credere). Uno di quei film che le parole non possono descrivere, in zona capolavoro. Insomma un film da non perdere, appena arriva nei cinema, sperando che non sia la prima settimana di luglio.- Ismaele

Scialla! - Francesco Bruni

non è un capolavoro, ma è un film che fa divertire, senza volgarità, con una sceneggiatura ben fatta.
una commedia italiana che merita di essere vista al cinema . Ismaele 



un ottimo sceneggiatore che un produttore illuminato come Beppe Baschetto ha finalmente fatto alzare dalla sedia collocata davanti al computer per metterlo al comando di quella ciurma (che immaginiamo divertente e divertita) che ha realizzato un film che trova una sua collocazione originale nel panorama del cinema italiano contemporaneo. Perché Francesco Bruni non vuole proporci l’ennesima commedia generazionale, non vuole spacciarci volgarità a buon mercato ma nemmeno propinarci un’opera prima ‘autoriale’. Vuole qualcosa di più e di diverso. Ci vuole innanzitutto ricordare che una sceneggiatura che funzioni ha bisogno di un costante ancoramento alla realtà. Bruni racconta un adolescente ‘vero’ non un ragazzo immaginato al chiuso di una stanza e poi riversato sulla tastiera di un iPad. Così come nell’inedia di Beltrame ritrae una parte di questa nostra società italiana che si è ormai ritratta, per perdita di fiducia anche nelle proprie capacità, dall’interazione…

Poche volte ormai capita di uscire dal cinema con la faccia tirata da un sorriso di soddisfazione, soprattutto quando non ti aspetti di vedere un film che ti piacerà. Ma questo è quanto succede conScialla! (stai sereno), esordio alla regia di Francesco Bruno, già sceneggiatore di successo con film importanti alle spalle (vedi La prima cosa bella, Tutta la vita davanti), inaspettata commedia ‘scialla’, ovvero rilassata, comoda e incredibilmente divertente, anche se attenta a problemi importanti e temi che toccano il quotidiano e la vita dei giovani e dei meno giovani…

…La storia è furbetta perché prova (e riesce) a coinvolgere lo spettatore più giovane MA ANCHE quello più attempato e sviluppa un doppio registro narrativo che per essere tenuto in bolla sfiora spesso lo stereotipo. 
È grazie alla bravura di Bentivoglio e Scicchitano, ottimo esordiente, un Vaporidis almeno più simpatico, che perdoniamo molte strizzate d’occhio, piccole astuzie narrative, autentici scadimenti di tono quali l’incontro con l’immancabile e pasoliniano poeta-delinquente (cameo di Vinicio Marchioni) o anche l’insulsa e omonima canzoncina che fa da leit-motiv al film.
Interessante notare, comunque, che togliendo Bentivoglio da tutte le inquadrature, della nostra storia resti ben poco. Il mondo giovanile si limita a panoramiche scorciate all’interno dei sempre più fatiscenti istituti scolastici, con bidelli che si spacciano per “operatori scolastici” e insegnanti dalle profonde e sconfitte occhiaie; e poi qualche “scazzo” qua e là, il “problema della droga” e a tutto coprire l’hip hop dell’abruzzese Amir sempre e rigorosamente in cuffia, come una reliquia da tenere ben celata, un segreto inenarrabile...

mercoledì 14 dicembre 2011

Japon - Carlos Reygadas

questo è un film che arriva da un altro mondo, o forse è di questo mondo e Carlos Reygadas ha gli occhi per vederlo e ce lo mostra.
è uno di quei film nei quali ti devi far prendere per mano dal regista e vedere con fiducia, magari poi non ti piace, ma devi lasciarti condurre da Carlos-Virgilio, è un viaggio che raramente si vede al cinema e non siamo abituati.
a me è piaciuto molto, il privilegio di poter ascoltare la musica dell'uomo è grandissimo, Ascensiòn è un miracolo.
come perderlo? - Ismaele


P:S: mi ha ricordato molto "Los Muertos", come stile registico, come raccontano la storia; i due protagonisti, in "Japon" è Alejandro Ferretis, nel film di Lisandro Alonso è Argentino Vargas, sono quasi la stessa persona, con un passato da dimenticare e un futuro da costruire, o abbandonare.
se qualcuno ha visto entrambi i film mi dica :)




Il film mette in scena all'inizio un road-movie, senza spiegare le ragioni per cui il protagonista decide di intraprendere un viaggio, lasciando la civiltà e il resto del mondo alle sue spalle: l'uomo appare sofferente, segnato nel fisico, anche per via dell'anomalia rimarcata dal suo spostarsi, sorreggendosi a un bastone. Egli porta con sé pochi oggetti: una pistola nella tasca del giubbotto (che svolge la funzione della fatidica pars pro toto, cara al cinema sovietico classico che il regista preferisce), dallo zainetto spuntano un catalogo d'arte e un mangiacassette, dotato di auricolari, che ogni tanto inforca per rompere il silenzio del film, permettendo anche allo spettatore di ascoltare le sue predilezioni musicali: il Concerto n°15 di Shostakovic, la Passione secondo Matteo di Bach e una cantata di Britten dedicata a Bach.
La presenza dell'arma e una battuta fatta al cacciatore che gli darà un passaggio, curioso di sapere perché voglia finire in quel paese sperduto ("A matarme" è la laconica risposta), sono gli unici indizi che consentono di prefigurare un dramma, che resta appiccicato al suo vagabondare, apparentemente senza una meta precisa, trasformando il suicidio in una sorta di fantasmatico compagno di viaggio. Permane comunque la sensazione che lo voglia in realtà accompagnare a "riveder" la luce fuori dal tunnel, come anticipato nella sequenza iniziale, prolettica e profetica al contempo, perché restituisce una presa di coscienza attraverso l'unico materiale che un cineasta ha a disposizione: la grana dell'immagine e la maniera di fotografarla, esponendola, sfocandola, cancellando certi colori per restituirne altri, che solo l'occhio della macchina da presa può intercettare…

Forza della contraddizione: film languido, eppure potentissimo, film sussurrato, eppure rimbombante, film sgraziato, eppure bellissimo. 
Si potrebbe andare avanti all’infinito nel descrivere il fulminante esordio di Carlos Reygadas, ma Japón (2002) è un film che deve necessariamente essere visto, deve subire l’atto biunivoco del vedere, dell’osservare, dell’ammirare, fino a che, come capita quando ci si trova di fronte alle grandi opere d’arte, si ha la sensazione che l’oggetto guardato stia in realtà guardando te, dentro. 

Il nocciolo della questione è: Reygadas ha un fottutissimo talento perché aldilà del citazionismo rimarcato in ogni recensione, il suo sguardo è, sul serio, una delle cose più emozionanti a cui mi sia capitato di assistere negli ultimi anni...

His first film Japón concerns a man obsessed with suicidal ideation who travels from Mexico City to the rim of the Sierra Tarahumara canyon to end his life. The Man (Alejandro Ferretis), who remains nameless, commences his existential pursuit by catching a ride into the canyon with a truck full of hunters (Reygadas appears in a Hitchcockian cameo). The hunters drop him off in a small village where he seeks out temporary lodging in the barn of a viejita named Ascen (short for Ascención, not Assunción), "performed" to saintly perfection by Magdalena Flores.

Reygadas frames images of sublime horror. A decapitated bird's head gasps one or two last breaths as it forgets all flight. Pig blood is spilled on sun-baked dirt. A stallion mounts a mare much to the amusement of the local children. A black beetle flees a sudden rainfall. Funereal white flowers bloom beside dark railroad tracks. The viscerality is hypnotic. The heat that hazes the canyon and bleaches all color is hypnotic…

A metà strada tra il naturalismo herzoghiano e il cinema meditativo\metafisico di Tarkovskij, JAPON, povero come la realtà che descrive, aspro e crudele come la natura che circonda l’umanità sperduta che racconta, girato in cinemascope con attori non professionisti, autoprodotto, con un montaggio ridotto all’essenziale (componendosi di prevalenti pianisequenza) e un sapientissimo uso delle musiche (si pensi solo al brano di Arvo Part che accompagna il bellissimo, enigmatico finale) è film di sgranata contemplazione, astratto e concreto ad un tempo, asciutto e coraggioso, che rivela, pur nelle sparse indecisioni, una visione e uno stile già maturi (il regista ha poco più di trent’anni). 
In sala non c’è nulla di interessante da mesi, può forse concedersi una possibilità a una pellicola certo non facile e a tratti sgradevole ma che ha l’indiscutibile merito di non somigliare a nessun’altra e che è ulteriore dimostrazione di come il cinema può ancora sfuggire alle trappole industriali e culturali nelle quali si cerca regolarmente di recluderlo…

En lo alto de un valle desconocido de la geografía mexicana, una anciana hospeda en su casa a un hombre cuyo único objetivo es hallar la muerte. El encuentro entre este hombre agotado por el existencialismo y el rostro inexpresivo de esta indolente señora es la premisa narrativa que todo aficionado tiende a buscar como orientación previa antes de ver una película. En este caso, estas dos líneas sirvieron también como pretexto al propio Carlos Reygadas para instalarse sobre el valle mexicano con su cámara y filmar una de las películas más desconcertantes de los últimos años…

We have seen this before, humanity giving back a taste for life to those who have lost it. Hope and goodness bring back those who are standing on the brink of the great chasm. The film is at the antipodes of Hollywood studio stews and is obviously more inspired by a current European wave which gives a spiritual, almost theological, insight of human life through carefully chosen characters of ordinary background. 

Don't expect much action, life is not always a whirlpool. Japon is earthly, poetic and sometimes a bit raw. It could be boring to some viewers as well.


lunedì 12 dicembre 2011

The Offence - (Riflessi in uno specchio scuro) - Sidney Lumet

non è un film consolante, Sean Connery è davvero cattivo dentro,  se lo inizi a vedere non ti stacchi fino alla fine,  soffrendo, certo, ma è grande cinema - Ismaele




In una cittadina britannica – che da qualche tempo vive l'incubo di una serie di stupri ai danni di bambine sole – si arresta il sospetto pedofilo Baxter, sposato con figli. A un 1° interrogatorio normale subentra, di nascosto, il sergente Johnson che, sicuro della sua colpevolezza, lo maltratta così violentemente da mandarlo all'ospedale dove muore. Johnson espone la sua versione dei fatti, diviso tra l'indignazione e il desiderio di aiuto di chi scopre in sé stesso preoccupanti segni di collasso mentale. Sottovalutato o ignorato dai critici, pochi spettatori, e riserve da parte di Lumet che lo definì un film “voluto da Connery, non veramente soddisfacente da cui si esce un po' frustrati”. Forse avevano torto tutti. Sceneggiato da John Hopkins e basato sul dramma This Story of Yours, è fin dalla prima sequenza un film insolito (per Lumet e per Connery), originale e intenso. Johnson non è un indemoniato giustiziere né un angelo vendicatore, ma un disturbato mentale. Lo si deduce dai confronti con il sospettato, la moglie e il superiore, con gli SOS d'aiuto che invia ai suoi interlocutori. Sulla fondatezza dei sospetti su Baxter – e sullo stesso Johnson – “il film è reticente, ambiguo, o meglio aperto” (Mario Molinari). Non è l'ultima delle ragioni del suo complesso fascino.

Il film è un disperato e crudele ritratto dell’ambiguità umana, uno sconvolgente e morboso viaggio all’interno del male che ci portiamo dentro: il cinismo è così estremo e radicale da far risultare l’altro( e ben più famoso) capolavoro crudele di Lumet, “Onora il padre e la madre”, un film per bambini.

Connery è strordinario nel tratteggiare un personaggio disturbato e disturbante e Lumet da una prova di regia grandiosa grazie ai bellissimi piani sequenza; degne di nota anche le luci cupe e fredde.

Siamo davanti ad un film circolare, che gira intorno alla stessa scena presentata all’inizio per renderla solo alla fine del tutto coerente. Anche la mente di Johnson funziona in modo circolare: per quanto l’uomo cerchi di scacciare le immagini che la affollano, essa ritorna sempre a mostrargliele, senza via di scampo…


Remarkable, dark, disturbing film. Sean Connery was a perfect, suave James Bond, and many of his later films were just audience-pleasing parodies, but this man can act. His portrayal of a seemingly hard-boiled detective merge perfectly later with the sociopathic figure he really has become. This is a searing film, which creeps up on you, and stuns you with sudden realizations. Connery's character (Sergeant Johnson) would have probably lived out his career, and his life, literally drowning in his sickness and misery, but for his meeting with Baxter, a suspected child molester and murderer. As the interview progresses, Baxter can clearly see the illness and pathology in Sergeant Johnson, and each push the other's buttons, closer and closer to the edge, and beyond. The revelations revealed take you back and forth, until you don't quite know who the real deviant is.

Sean Connery and Ian Bannen were simply breathtakingly good. Great atmosphere and pacing in this dark, chilling movie. The slow, brooding, quiet pace to the film lends an air of disquiet, and an impending tragedy.